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L’occhio sensibile di Amy Luo che illumina i paesaggi interiori e mentali delle persone.
Amy Luo è una fotografa commerciale e di studio, che ha conseguito il Master in European Film Studies presso l’Università di Edimburgo ed ha proseguito le sue ricerche presso l’Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne. Ha lavorato a progetti di lungometraggi, documentari e reportage sia in Cina che all’estero da quando si è laureata. Ha ricevuto il Rita.K.Hillman Award of Excellence dall’International Center of Photography (ICP) di New York nel 2015. Da allora il suo lavoro è stato esposto e pubblicato a livello internazionale. È stata anche citata con una serie di premi, tra cui l’inserimento come finalista per la fotografia Fine Art nella prima edizione dei Magnum Photography Awards nel 2016. Lavora come fotografa e regista freelance sia a New York City che a Shenzhen. Ha avviato una serie di progetti di fotografia pubblica dal 2018 al 2021 con l’obiettivo di rappresentare la vita dei lavoratori migranti rurali in Cina, una comunità in gran parte emarginata. Le sue foto hanno un grande impatto cinematografico, riflettendo l’individualità di ogni soggetto ed il suo personale stile narrativo e di lavoro. Con le sue foto spera di documentare la difficile situazione dei lavoratori migranti in Cina e di mettere in discussione il modo in cui queste persone sono state trattate. I suoi progetti hanno suscitato notevole interesse ed interazioni nella comunità in Cina e all’estero e sono stati presentati in numerosi programmi televisivi, tra cui un documentario NHK World nel 2019.
Questa intervista è apparsa originariamente su Planet China Vol. 17
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Come ti sei avvicinata alla fotografia e quando hai deciso di sceglierla come professione?
Ho lasciato la Cina a 20 anni, dopo aver studiato letteratura a Pechino. Ho studiato produzione televisiva e cinema in Europa e sono tornata nel mio paese lavorando regolarmente nella produzione cinematografica e nel giornalismo. Ho scelto la fotografia come professione principale dopo aver studiato fotografia all’International Center of Photography di New York nel 2015. Da allora, ho continuato ad usare la fotografia come un modo per verificare la mia esistenza e per vedere me stessa, la mia identità, le mie relazioni, e la mia evoluzione.

Chi ha avuto la maggiore influenza o è stata fonte di ispirazione su di te come persona e come creativa?
Ho passato diversi anni ad indagare sulle molteplici intersezioni di immagini, identità e genere, ma la mia comprensione del potere trasformativo della fotografia si è formata mentre studiavo all’ICP. Il mio tutor Frank Franca, che ama anche il cinema europeo, ha incoraggiato il mio interesse per la creazione di narrazioni all’interno di un singolo fotogramma. I miei quadri sono spesso descritti come cinematografici, riflettendo una delle influenze più forti nel mio lavoro personale. Ho anche partecipato ad un seminario con Rick Sands, il direttore della fotografia di Gregory Crewdson, che è stato di grande ispirazione. Ciò su cui molti fotografi ritrattisti si concentrano è la persona, e alcuni di loro tendono a ignorare la scena. Rick ha in mente l’intera scena e la illumina come un set cinematografico.


Qual è l’aspetto che preferisci del tuo lavoro? Quali sono quelli più gratificanti e soddisfacenti?
Sono principalmente attratta dalle comunità marginali: nei miei progetti precedenti, ad esempio, ho fotografato prostitute cinesi a Flushing, nel Queens, lavoratori migranti cinesi, comunità trans in Cina e tra gli altri pescatori che sono maltrattati dalle circostanze. A causa della violenza e della falsa rappresentazione che questi gruppi affrontano ogni giorno, il bisogno di immagini caratterizzate da complessità e compassione è urgente. Sento un’acuta responsabilità nel fare la mia parte nel trasmettere la loro esperienza e nel riconoscere la nostra comune umanità.

La fotografia come estensione dell’occhio, e della memoria, per fermare il tempo, ma anche come macchina del tempo. Cosa vuoi raccontare e speri di comunicare con le tue immagini? Qual è la tua filosofia artistica?
L’ambiguità mi affascina. Alcuni dei miei lavori sono soggettivi, riflettono la mia interpretazione dei miei soggetti. A volte i miei ritratti di altre persone riguardano me stessa e la mia ricerca delle mie radici. Nel mio lavoro sono sempre entusiasta nel trovare nuovi modi per saldare narrazioni fittizie che sono ancora da tempo molto radicate nella realtà. Cerco spesso di utilizzare la combinazione di realtà e finzione per creare una dinamica interessante nei miei progetti. Siccome sono influenzata da molti registi europei, sono interessata a tagliare i fotogrammi visivi convenzionali ed a reinventare il linguaggio visivo.

Miu, New York City. Part of “Dreams” series. (c) Amy Luo


Andy Gong, Palm Springs. Part of “Dreams” series.
Preferisci realizzare foto di stage preparati o scatti spontanei?
Mi piace lavorare in entrambi i modi e talvolta possono essere combinati. Ad esempio, nella mia precedente serie di belle arti, “Dreams”, il set è stato messo in scena, ma quello che è successo davanti alla mia macchina fotografica è stato spontaneo: ho chiesto alle persone di rievocare i loro sogni. Dopo aver illuminato un luogo e quindi osservato i miei soggetti a distanza, attivata la mia macchina fotografica utilizzando un trigger remoto era come se loro recitassero una scena dalla memoria. Questa idea per il fatto che sono interessata a sapere come usare la fotografia per descrivere i paesaggi interiori e mentali delle persone.

Il tuo portfolio è pieno di ritratti intensi e profondi. Qual è stato il progetto che ti ha entusiasmato di più? C’è qualche tuo lavoro a cui sei particolarmente legata o che ha segnato un momento significativo nella tua vita personale?
“20-07 198th St, Flushing” è uno dei miei progetti di installazione video. È iniziato come documentazione di una sala massaggi a Flushing, nel Queens, dove lavora quotidianamente un gruppo di immigrati cinesi clandestini. Il mio progetto ha indagato il modo in cui queste donne abitavano questo spazio chiuso e condiviso, che sembra allo stesso tempo pubblico e privato, mentale e fisico. Come puoi immaginare, le riprese sono state impegnative ma entusiasmanti. È stata un’esperienza molto stimolante e gratificante.

Puoi condividere con noi una storia significativa dal backstage di un tuo set fotografico o progetto?
Vedo la mia serie artistica “Till We Meet Again” e “Secret Scriptures”, che ho girato nel 2018 in Tibet, come una sorta di “collaborazione” con il mio defunto nonno. Ognuna delle mie immagini ha un’associazione con un verso o una poesia nel diario che ha tenuto durante i suoi viaggi in Tibet. Mio nonno era un poeta ed un insegnante di lettere a lungo affascinato dal buddismo zen e dalla filosofia taoista. Quando aveva 40 anni, lasciò improvvisamente la sua famiglia, andò in Tibet e vi trascorse quattro anni come pellegrino e “monaco errante”. Sono cresciuta in un villaggio nel sud della Cina, quando ero una bambina piccola e gli ero vicina. Ma dopo che io e i miei genitori ci siamo trasferiti in una città, ho avuto contatti con lui solo nei giorni festivi. La mia famiglia non ha mai parlato del suo periodo in Tibet e non ho mai avuto la possibilità di poter fare delle domande sull’argomento. Dopo la sua morte, sono tornata a casa sua per il funerale. Ho trovato un libretto di poesie ed osservazioni che aveva fatto di persone e luoghi che aveva visto allora. Ho quindi deciso di realizzare un progetto in Tibet per onorare la sua memoria. Ho trascorso sette settimane viaggiando in Tibet, incontrando persone ed affrontando il mio dolore. Ogni volta che vedevo una scena che mi ricordava gli scritti di mio nonno, chiedevo il permesso di fare una foto. È stata un’esperienza meravigliosa, come ricreare ciò che ha descritto usando personaggi e luoghi della vita reale.

Lavori nel campo della fotografia e dell’arte da molto tempo. Che ruolo credi abbia il genere nella fotografia contemporanea? Il genere è ancora rilevante? Le donne stanno lentamente influenzando l’arte e la fotografia?
Il genere è sempre stato al centro delle conversazioni sull’uguaglianza ed il potere e l’influenza che le donne detengono sulla scena mondiale sono inconfutabili. È sorprendente misurare i progressi che abbiamo fatto negli ultimi, diciamo, cinquant’anni. Ma la lotta dura. L’emergere della fotografia come mezzo essenziale nelle pratiche alternative, in particolare nell’arte concettuale, corrisponde alla crescita del movimento di liberazione delle donne negli Stati Uniti ed in Europa negli anni ‘60. Le artiste interessate a documentare se stesse e la loro esperienza vissuta si allineavano facilmente con il femminismo. La fotografia offriva opportunità flessibili e illimitate. In un momento di grande incertezza e promessa, credo che il genere sia ancora molto rilevante. Ci sono tanti approcci fotografici nell’arte fotografica quante sono le espressioni di genere. È bello vedere che artisti di tutti i sessi in tutto il mondo stanno definendo idee di identità di genere alle loro condizioni. Sebbene non tutti gli artisti affrontino esplicitamente la politica femminista, ognuno di loro, a modo suo, si preoccupa di come le donne sono immaginate dall’arte, dalla cultura e dalla memoria. Il loro lavoro sottolinea come la fotografia abbia plasmato il femminismo tanto quanto il femminismo ha plasmato la fotografia. Mentre la lotta per l’uguaglianza di genere continua e mentre abbiamo aperto le nostre definizioni di uomini, donne e persone intermedie, ci stiamo muovendo verso un orizzonte in cui le persone sono libere dal binario di genere.

Qual è la più grande sfida nell’essere una fotografa durante l’era dei social media? Quali sono i limiti e i vantaggi?
I social media sono una grande fonte di ispirazione ed idee per fotografi ed artisti. È anche un modo perfetto per coinvolgere le persone nei tuoi progetti e far notare il tuo lavoro. Inoltre, l’ascesa della “fotografia sociale”, introdotta da Flickr nel 2005, ha aperto nuove affascinanti possibilità per la ricerca culturale. Ma l’universo fotografico creato da centinaia di milioni di persone può anche rendere più difficile per la fotografia istruire, interpretare e chiarire opinioni e informazioni. Penso anche alla natura mutevole e fluida dei ruoli e dell’identità di genere nel modo in cui ci presentiamo online. Le possibilità di costruire un’identità visiva, fisica e teorica sono al momento schiaccianti. I social media ci consentono anche un livello di controllo nella nostra presentazione di sé che non è sempre possibile nella vita reale. Ma anche se Internet ha aperto nuove opportunità per proiettare immagini di auto-esplorazione e per connettersi con gli altri, dobbiamo comunque essere vigili.

Foto cortesemente concesse da Amy Luo

Ciao! My name is Dominique. I’m Italian and I’m proud to be a mix. My father was an Italian chemical engineer and high school teacher, with Greek and Polish heritage. My mother is Haitian, she was high school language teacher, with Dominican, Spanish, French, Portuguese, African and Native American heritage. Being a mix makes me appreciate to want to understand different cultures and lifestyles. I grew up in Italy, lived few years in Haiti, travel around main European capitals, lived seven years in China, six in Spain and UK. Traveling makes me feel that we can learn something from every situation in every part of the world.