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Come ci ricorda Sun Tzu ne “L’Arte della Guerra” (孫子兵法, Sūnzǐ Bīngfǎ), il generale deve considerare cinque elementi prima di scendere in battaglia: il Tao (la legge morale), il clima, il terreno, il comando e la disciplina.
Con conoscenza del terreno Sun Tzu intende la misura delle distanze e la conoscenza della natura dei luoghi, che determinano le probabilità di sopravvivenza o di morte.
Fin dal quinto secolo avanti cristo quindi in Cina era evidente l’importanza della cartografia a scopo militare, elemento fondamentale per lo stratega.
Ed è proprio al quinto secolo avanti cristo che risalgono i primi esempi di cartografia cinese, che in seguito, all’espandersi dell’impero cinese e all’aumentare delle conoscenze, arrivarono a riportare su carta anche regioni al di fuori del celeste impero.
L’importanza della cartografia in Cina è testimoniata anche dal fatto che la leggenda vuole che la prima mappa sia un dono degli dei.
Durante la leggendaria dinastia Xia si narra che una divinità fluviale, He Bo Xian Tu (河伯 獻 圖, nome che significa letteralmente “la divinità del fiume che presenta una mappa“), avrebbe fatto dono a Yu il Grande (leggendario regnante cinese celebre per aver introdotto vari sistemi di controllo delle alluvioni in Cina) di una pietra con sopra incisa una mappa.
Yu fece uso della mappa per riuscire a domare le alluvioni che minacciavano l’agricoltura locale.
Se lasciamo da parte la leggenda e torniamo alla storia della cartografia cinese, vediamo che la successiva evoluzione dell’arte cartografica si attesta al periodo della dinastia Tang, quando Jia Dan, un ufficiale e geografo della seconda metà del 700, aiutò l’imperatore ad approfondire la conoscenza geografica della Cina e delle nazioni confinanti.
L’opera culminò con la realizzazione della mappa detta Hainei Huayi Tu (海内華夷圖), che letteralmente significa “Mappa dei territori cinesi e non cinesi del mondo”.
La mappa originale è andata perduta ma se ne conserva una copia più tarda (risalente al 1136 e scolpita nella pietra) che dà l’idea di quanto fosse sviluppata la cartografia cinese nel periodo.

Dalla mappa si evince l’essenziale rilievo dei fiumi, fulcro della civiltà cinese per gran parte della storia del paese.
Dobbiamo attendere il 1390 per la prima “mappa del mondo” di origine cinese. La grande mappa del mondo epoca Ming (Da Ming Hun Yi Tu, 大明混一圖) copre dalla Russia a Java e dall’Europa al Giappone.
Nella mappa, che ovviamente pone la Cina al centro, è evidente la distorsione verso gli estremi, rendendo molto poco distinguibili ad esempio Africa ed Europa.

La mappa di Mao Kun rappresenta invece il successivo sviluppo cartografico cinese, collocato nel 1500 (dinastia Ming) e frutto dei sette viaggi nei mari a sud della Cina da parte dell’ammiraglio Zheng He.
I viaggi, fortemente voluti dall’establishment eunuco del tempo (gli eunuchi di corte in Cina avrebbero rivestito un importante ruolo politico fino agli inizi del 900), portarono alla creazione di un atlante marittimo di quaranta mappe, di cui è sopravvissuta solamente la copia presumibilmente in possesso del collezionista Mao Kun.

La scoperta dell’America
Secondo una diversa versione, avallata da alcuni storici, i viaggi di Zheng He avrebbero prodotto mappe molto più estese, arrivando addirittura a dimostrare che la Cina avrebbe scoperto l’America prima di Colombo.
Questa mappa cinese che viene fatta risalire al 1418 rappresenta chiaramente il continente americano ha fatto discutere nel 2013 quando è stata presentata come la prova della scoperta dell’America da parte dei cinesi.

Secondo i sostenitori della scoperta, la stessa rappresenterebbe il risultato delle spedizioni marittime dell’eunuco Zhang He.
La datazione della mappa è stata però subito sconfessata dagli storici, che la considerano una riproduzione di una mappa europea risalente al 1800, questo per la caratteristica suddivisione della mappa in due emisferi (tipica delle mappe europee) e per il dettaglio di fiumi e catene montuose, che poco si adattano ad una spedizione marittima come quella dell’eunuco Zheng He.
Le mappe di epoca Qing
Per vedere mappe come quella erroneamente attribuita al periodo Ming, bisogna attendere l’epoca Qing (1644-1912), quando i regnanti dell’epoca si resero conto della necessità di condurre con metodi scientifici l’attività cartografica, mappando nuovi territori (come, ad esempio, Taiwan) e utilizzando i dati di latitudine e longitudine.
La cartografia come strumento politico
In epoca più recente la Cina, promotrice di pretese territoriali che sono il più tangibile segno dello spirito di rivalsa storica del paese e della viva intransigenza della sua politica simil irredentista, ha utilizzato le mappe per dimostrare le proprie pretese territoriali, reagendo con fermezza di fronte a coloro che osavano e osano “dipingere” il mondo a colori diversi da quelli voluti da Pechino.
Innanzitutto, la cartografia cinese moderna è -ovviamente- rimasta sinocentrica, con la Cina che ancora oggi rimane il “regno di mezzo” nella cartografia ufficiale, come accade anche nei paesi limitrofi.
Ad esempio, in questa mappa giapponese del 1853 (la cartografia giapponese deve molto alla tradizione cinese, salvo svilupparsi più velocemente secondo gli standard occidentali a partire dal 1800) è chiaramente percepibile la centralità del Pacifico e dei paesi asiatici.

Le mappe di Taiwan
Il primo esempio lampante di uso della cartografia a fini politici è costituito dalla “provincia ribelle” di Taiwan, che i cartografi cinesi non rinunciano a “mappare” come se fosse parte della Cina nelle mappe del paese disponibili entro i confini del Celeste Impero.
Numerose compagnie occidentali si sono dovute scusare pubblicamente per aver prodotto o diffuso prodotti in cui Taiwan è indicata come nazione o anche solo per aver creato una maglietta contenente l’elenco degli store del brand indicando nell’associazione città/nazione ad esempio “Taipei – Taiwan” e non “Taipei – China” (Versace nel 2019 ha avuto un problema simile indicando nelle sue magliette “Hong Kong – Hong Kong” e “Macau – Macau” dimenticando che le due città, pur godendo di autonomia governativa, fanno parte a tutti gli effetti della Cina).
Chiaramente i taiwanesi, dal canto loro, non sono da meno dei cinesi del continente e a Taiwan le mappe ufficiali della Repubblica Cinese la rappresentano come se Taipei governasse sull’intera nazione cinese.. e oltre..
I nazionalisti cinesi non hanno infatti “gradito” che i comunisti della Repubblica Popolare si siano presi la libertà di decidere su dispute di confine o addirittura di concedere l’indipendenza ad intere nazioni come quella mongola e propongono, nelle loro mappe, l’estensione della Cina risalente a quando è stata fondata la Repubblica Cinese, senza ammettere alcuna perdita territoriale.

Abbiamo così rivendicazioni sull’intero territorio amministrato dalla Repubblica Mongola (indipendente dal 1911/1921), sulle isole Sengaku (per il controllo delle quali anche la Cina continentale si sta battendo con il Giappone), su territori russi, indiani, afghani, tagiki, birmani e addirittura controllati dal minuscolo stato del Bhutan!
La piccola isola di Taiwan, in sostanza, rivendica il controllo su un territorio ben più vasto della Cina.
La questione del mar Cinese Meridionale
Un’altra caratteristica delle mappe cinesi (sia della Cina popolare che di quella di Taiwan) è quella di rivendicare il controllo di larghissima parte del Mar Cinese Meridionale.
Ovviamente questa rappresentazione (che si traduce, nei fatti, in un’intensa attività militare della flotta cinese nella zona) non è gradita agli stati confinanti, con Filippine, Vietnam, Malesia, Brunei e Indonesia che rivendicano un’espansione delle proprie acque territoriali sul tratto di mare rivendicato dai cinesi e il controllo delle isolette presenti in loco (e per la più parte non abitabili).

Di questa disputa ha finito per farne le spese la Dreamworks, che ha commesso l’imperdonabile errore di inserire, nel proprio film Abominable (“Il Piccolo Yeti” in italiano), una mappa filocinese del Mar Cinese Meridionale, che ha fatto molto arrabbiare gli altri stati che avanzano rivendicazioni sull’area (in particolare in Vietnam e nelle Filippine si sono susseguiti gli inviti al boicottaggio del film).
La piccola protagonista del lungometraggio è infatti una bambina cinese di Shanghai, che nella propria cameretta ha una mappa del Mar Cinese Meridionale (che ha ben poco a che fare con la trama del film) sulla quale sono riproposte le rivendicazioni cinesi (in rosso nella mappa che precede). Sebbene la mappa sia accurata e “realistica” (una ragazzina di Shanghai non potrebbe che avere una mappa del genere nella sua stanza, una diversa rappresentazione del Mar Cinese Meridionale è infatti ben difficile da reperire nella Repubblica Popolare) i paesi limitrofi hanno interpretato la sua presenza come una rivendicazione gratuita inserita in un film per bambini dallo studio di animazione cinese che ha collaborato con Dreamworks alla realizzazione del film.
Da ultimo (la notizia è di pochi giorni fa) è stata la nota catena svedese di abbigliamento H&M a finire nel mirino per la modifica di una mappa inserita sul proprio sito, anche qui inserendo la cosiddetta “nine dash line” (ovvero la “linea dai nove tratti”, ovvero la linea tratteggiata che sulle mappe cinesi delimita la porzione di Mar Cinese Meridionale rivendicata da Pechino) così suscitando l’ira del Vietnam.
Voci non confermate riportano che la modifica sarebbe frutto del tentativo da parte dell’azienda di ricucire i rapporti con la Cina dopo il boicottaggio subìto a seguito delle affermazioni di H&M sull’impegno ad un approvvigionamento di materie prime equo e solidale e sulle preoccupazioni circa le notizie relative al lavoro forzato nella regione dello Xinjiang.
Il confine indo-cinese
Ulteriori territori oggetto di aspro dibattito sono quelli che fanno da confine fra Cina e India.
L’india, come la Cina, è impegnata in numerose dispute territoriali che coinvolgono anche Pakistan e Nepal, ed è particolarmente suscettibile sull’argomento cartografico, tanto che nel 2019 il periodico Economist ha pubblicamente denunciato la censura che subisce nel paese, avendo difficoltà ad importare in India il proprio periodico tutte le volte che questo contiene una mappa dell’India che non rispecchia i desiderata di Nuova Delhi.
Zelanti ufficiali indiani a quanto pare intercettano il periodico in dogana e ne impediscono la commercializzazione quando sono presenti mappe “sgradite”, ovvero la consentono ma prima pongono degli adesivi non rimovibili sulle rappresentazioni “incriminate”.
Il fondamento di questa attività di censura trova ragione in un emendamento del 1961 al Codice Penale indiano, che recita: “Chiunque pubblichi una mappa dell’India, che non è conforme alle mappe dell’India pubblicate dal Survey of India, sarà punibile con la reclusione che può essere estesa a sei mesi, o con una multa, o con entrambi”. Le conseguenze per chi viola il divieto possono quindi essere molto pesanti.
L’Economist ha quindi reagito inserendo una mappa oscurata nella versione del proprio periodico destinata al mercato indiano, denunciando al contempo la rigidità del governo di Modi, che in questo senso si dimostra addirittura più intransigente delle sue controparti cinesi e pakistane.
L’India, come la Cina, ha quindi fatto della cartografia una questione di principio e controlla accuratamente che quanto è oggetto delle rivendicazioni indiane trovi corrispondente rappresentazione nelle mappe disponibili nel paese.
La “battaglia” è anche una questione di nomi, con entrambe le parti che conservano la loro toponomastica originaria sulle mappe (anche se hanno da tempo perso il controllo del territorio). Questo fenomeno, nutrito di orgoglio nazionale, ha portato ben presto ad abbandonare quei (pochi) nomi occidentali nelle mappe locali.
Possiamo infatti escludere con certezza di rinvenire su mappe cinesi il nome “Monte Everest” (nome introdotto nel 1865 in onore di Sir George Everest, topografo britannico di servizio in India) in quanto il nome del monte sulle mappe cinesi è Zhūmùlǎngmǎ Fēng (珠穆朗瑪峰, termine che deriva a sua volta dal nome tibetano dal significato di “Madre dell’Universo”), mentre su quelle nepalesi il nome è Sagaramāthā (सगरमाथा termine che significa, “Dio del cielo” e che è stato introdotto più recentemente, negli anni sessanta del secolo scorso).
La rivalità fra Cina e India è stata recentemente riaccesa proprio dal Nepal che nel giugno 2020 ha approvato una mappa ufficiale che disegna il confine fra Cina e India nel piccolo tratto che “tocca” il confine nepalese spostando il passo di Lipulekh in territorio cinese.
Gli indiani hanno reagito condannando l’”asserzione cartografica” del Nepal e chiedendogli di fare un passo indietro e di ritirare la mappa.
Un elemento apparentemente “innocuo” come la cartografia si rivela quindi oggi, in Cina così come nei paesi limitrofi, un importante strumento di pressione politica, un’occasione di censura e un’occasione di disputa in grado di infiammare gli animi.
Le mappe cinesi oggi sono quindi in fondo una espressione essenziale di quella “guerra” di logoramento e di isolamento politico che sta conducendo la Cina per strappare dalle nazioni confinanti e più deboli un assenso alle pretese che da tempo la Cina avanza su Taiwan, sulle isole Sengaku e sul Mar Cinese Meridionale.
Autori:

Avvocato a Verona, con un Master alla Beijing Foreign Studies University, da lungo tempo si interessa di Asia, tecnologia e dei relativi aspetti normativi.

Giurista d’impresa, esperta di diritto ambientale e agroalimentare, con una passione per i paesi asiatici ai quali ha dedicato numerose relazioni, articoli e approfondimenti.

Avvocato a Verona, con un Master alla Beijing Foreign Studies University, da lungo tempo si interessa di Asia, tecnologia e dei relativi aspetti normativi.