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Muna Tseng è una ballerina, coreografa, performer e fondatrice di Muna Tseng Dance Projects Inc.
Muna Tseng è nata a Hong Kong, ha studiato in Canada e dal 1978 è una ballerina e coreografa residente a New York. Nel 1988 ha fondato Muna Tseng Dance Projects a New York City. Muna ha sempre collaborato con artisti contemporanei a New York ed in tournée in tutto il mondo. Ha coreografato e interpretato in diverse opere teatrali di danza contemporanea acclamate dalla critica, apparendo al Kennedy Center, al Lincoln Center, nelle stagioni di New York City ed ad eventi e festival negli Stati Uniti ed in tutto il mondo. Ha vinto il “Bessie” New York Dance & Performance Award e ripetutamente delle borse di studio coreografiche del National Endowment for the Arts, del New York State Council on the Arts e della New York Foundation for the Arts. I riconoscimenti includono “An Artist of National Merit” della Smithsonian Institution e “Distinguished Service in the Arts” del presidente del Consiglio di New York City. Muna Tseng ha fatto parte per diversi anni nel comitato di selezione Bessie: New York Dance and Performance Award. Ha fatto parte del Consiglio d’amministrazione del Danspace Project e ha partecipato a panelli tra cui il New York State Council on the Arts, la New York Foundation for the Arts ed il Maryland Council on the Arts. Dal 1990 è direttrice ed esecutrice dell’archivio fotografico del suo defunto fratello Tseng Kwong Chi, supervisionando mostre, edizioni e pubblicazioni con gallerie, collezioni e istituzioni in tutto il mondo.
Questa intervista è apparsa prima su Planet China Vol. 13, un numero dedicato alle donne che fanno la differenza.
Official site | Facebook | Instagram | Tseng Kwong Chi Photographic Archive
Quando hai capito di voler diventare una ballerina? Cosa ti ha motivato?
Sono cresciuta ad Hong Kong, ho imparato la danza popolare cinese da bambina. Dopo che la mia famiglia è immigrata a Vancouver, in Canada, ho scoperto la danza moderna. Ho visto una performance della ballerina Heather McCallum, era come una statua in movimento, vestita con un sari blu pavone che reggeva un’arancia. Conteneva tanta bellezza e squisitezza. Ho capito subito che la danza sarebbe stata il mio sfogo creativo, per esprimere il mio essere interiore. Mi ha aiutato ad affrontare il trauma del trapianto da una cultura all’altra. Ha salvato la solitudine ed è diventata la mia ricerca di significato da adolescente.

A che età hai iniziato la tua formazione? Quali sono i ricordi più belli di quel periodo? Come hai iniziato la tua carriera di ballerina professionista? Puoi condividere la sensazione prima di esibirti sul palco al tuo debutto?
Avevo 13 anni quando ho iniziato il mio rigoroso corso di danza moderna a Vancouver. I miei primi insegnanti Magda e Gertrude Hanova erano ballerine con Mary Wigman in Germania, quindi la mia educazione era molto classica. Frequentavo le lezioni 3 volte alla settimana nello studio seminterrato dell’Auditorium scozzese con queste sorelle emigrate cecoslovacche. Hanno sviluppato la mia tecnica fisica e mi hanno incoraggiato ad avere la mia visione di artista. Che straordinaria fortuna avere quell’istruzione! Nel 1971 ho tenuto il mio primo concerto coreografato con musica originale e scenografia alla Vancouver Art Gallery. Avevo 18 anni. Ero una coreografa, designer, ballerina: era il mio primo debutto professionale e mi sentivo estasiata. Sono sicura che ci fosse nervosismo ed aspettativa, ma ricordo solo la gioia. Tra il pubblico c’era Gerald Arpino del Joffrey Ballet di New York. Mi ha invitata ad entrare nella compagnia ed ha messo l’idea di New York nella mia giovane testa ambiziosa. Ma sapevo già quello che volevo, avevo una visione completa come artista nella danza, non solo per essere una ballerina in una compagnia. All’epoca non lo sapevo, ma la strada per collaborare con artisti visivi, compositori, film e video, per avere una mia compagnia, era già tracciata. Sei anni dopo, conclusa l’università ed un anno di risparmio, sono arrivata a New York per inseguire quel sogno. Sono entrata a far parte del Theatre of The Open Eye, fondato dall’ex ballerina di Martha Graham Jean Erdman e da suo marito, il famoso mitologo Joseph Campbell. Sono stata guidata dalla loro visione dell’intreccio tra letteratura mondiale (Joyce, Yeats) e mitologie antiche e contemporanee. Era una compagnia di ballerini, attori, musicisti, artisti visivi, che realizzava teatro-danza interdisciplinare. Sono stata la prima ballerina della compagnia per 7 anni fino al pensionamento di Jean nel 1985.
Muna Tseng è stata la prima ballerina in Theatre of the Open Eye di Erdman e di suo marito il mitologo Joseph Campbell dal 1978 al 1985

Muna Tseng Dance Projects, a New York dal 1988, è stata fondata per produrre arte in una cultura di idee creative – con collaboratori che sono leader nei loro campi di ricerca sull’arte contemporanea – attraverso performance dal vivo, installazioni di arte visiva, mostre, libri, media, e progetti d’archivio in fotografia, video e film.
Dance, solo, DTW, Tseng Kwong Chi, 1980
Oltre a passione, determinazione e volontà, quali limiti della vita ti ha aiutato a vincere la danza? Cosa ti ha aiutato a rafforzare?
Penso che la cosa più importante sia la passione di farlo, non importa cosa. Ciò potrebbe significare sacrificare la sicurezza o l’approvazione dei genitori per farlo. Sono venuta a New York con il mio risparmio di $ 6000, che pensavo sarebbe durato un anno (non è andata così). Prendevo 2 lezioni di tecnica (danza classica e moderna) al giorno, provavo lunghe ore di studio, camminavo invece di prendere la metropolitana per risparmiare i soldi del biglietto. Ho integrato il mio magro stipendio di ballerina facendo lavori saltuari, ma l’obiettivo era sempre chiaro: essere un artista! New York era così dinamica, c’era una comunità di spiriti affini, tutti quelli che vengono qui a New York, per lottare e prosperare, quindi è stato divertente farlo. Non stavo perseguendo una carriera, quello che volevo era essere un’artista. Eravamo giovani, idealisti, la faccenda della carriera si è in qualche modo messa a posto lavorando. La cosa più importante era vivere la propria vita nel modo più completo possibile come artista.
La sua pluripremiata performance solista di teatro danza SlutForArt aka Ambiguous Ambassador, una collaborazione con Ping Chong, ha utilizzato fotografie di suo fratello Tseng Kwong Chi ed è stata coreografata e ballata da Muna, per riflettere sulla vita di suo fratello in qualità di sorella ed artista negli anni ’80.

Choreography: Muna Tseng
Dancers: Miki Orihara and Hahn Tran
Music: Bruce Tovsky
Da ballerina a coreografa, cosa ti piace di più di entrambi i ruoli? Quali sono le principali responsabilità di ciascun ruolo?
Come ballerina, si ha la responsabilità di mantenere il corpo fisico ad un certo livello d’eccellenza, di essere lo strumento disciplinato. Mi è stata data l’opportunità di coreografare i miei lavori mentre ero una ballerina all’Open Eye. Come coreografa, avevo idee e visioni che volevo realizzare a tutti gli effetti sul palco. Ho fondato la mia compagnia, Muna Tseng Dance Projects, nel 1986. Come direttrice artistica, significa avere una visione, una missione, trovare collaboratori e ballerini per realizzare la visione, per completare il progetto dall’ideazione alla produzione. Poi ci sono i doveri finanziari fiscali, la scrittura di sovvenzioni, la prenotazione ed il tour, sostenendo non solo il mio stile di vita, ma anche la possibilità di raccogliere fondi per commissionare altri artisti e pagare i ballerini.
Muna Tseng è una coreografa acclamata per la sua perfetta fusione di estetica asiatica con idee di performance incrociate occidentali ed una ballerina celebrata per la sua eloquenza e la sua appassionata precisione

Sei nata a Hong Kong, hai studiato in Canada e hai vissuto e lavorato a New York. Quali sono stati i maggiori vantaggi? Queste città hanno influenzato il tuo modo di vedere la vita e crescere come persona e come artista?
Sono grata di aver vissuto in 3 città. A Hong Kong, ho assorbito la mia eredità cinese dalle mie nonne, dai primi gusti e dalle prime impressioni di quella città. A Vancouver, ho sperimentato la natura canadese, la vasta apertura e la solitudine. Mi sono immersa e mi sono impegnata totalmente nell’intensità e nel rigore di New York. Credo che gli artisti debbano avere una visione globale, essere in grado di avere dimensioni macro e micro nel loro lavoro ed un punto di vista personale nei confronti del mondo. L’intero viaggio di un’artista è trovare ed esprimere il sé autentico, e non finisce mai.

Durante la tua carriera hai lavorato in molti paesi. C’è una performance o un palcoscenico che avrà sempre un posto speciale nel tuo cuore?
Faccio tesoro di molte esperienze indimenticabili girando all’estero ed interagendo con il pubblico. Sono ispirata da persone che amano la danza così tanto che senti che è una fonte vitale di vita per loro. Momenti memorabili includono ballare il ruolo di Medusa sotto le stelle e la luna piena nell’anfiteatro di Erode Attico (che ha più di 2000 anni) guardando il Partenone ad Atene, in Grecia. A Bihac, in Bosnia-Erzegovina, mi sono esibita al festival riaperto dopo la guerra civile bosniaca, la loro sete di cultura era così intensa. Ho tenuto un seminario con gli adolescenti ed ho ascoltato le loro storie eroiche su come hanno difeso la loro città dall’invasione. A Karmiel, in Israele, il pubblico del Kibbutz batte i piedi mentre esulta e applaude per te. A Tallinn, in Estonia, ballerini locali russi ed estoni si sono uniti al mio cast di New York, ispirandosi a vicenda, e abbiamo aggiunto un’altra performance sold-out, per la quale hanno pagato quasi un intero mese di stipendio per acquistare i propri biglietti. Ad Hong Kong, anche qui, di nuovo i ballerini locali, si sono uniti a noi, in uno scambio culturale e mi sono esibita per gli anziani della mia famiglia che mi conoscevano ed avevano visto solo da bambina. E ovviamente ogni volta che salgo su un palco a New York, che si tratti di un locale in centro come Danspace alla St. Mark’s Church, o The Kitchen, o La MaMa, o nei quartieri alti del Lincoln Center, sento il brivido lungo la schiena, sapendo che è qui che ho scelto di iniziare il mio viaggio più di 40 anni fa.
È stata docente presso la New York University, il Douglas College presso la Mason Gross School of the Arts NJ della Rutgers University, e ha fondato e diretto il programma Summer Dance Residency al Queens College (City University di New York)

Ho letto che tuo fratello ha avuto per te un ruolo chiave d’ispirazione importante. La danza è una disciplina artistica che implica anche sacrificio. Quanto è stato importante il suo sostegno nella tua carriera per vincere nuove sfide?
Il mio defunto fratello Kwong Chi è venuto a New York lo stesso anno in cui mi sono trasferita nel 1978. Eravamo artisti e fratelli di sangue. Ha fotografato e realizzato tutti i miei primi poster di danza e le foto per la stampa. Mi ha presentato artisti visivi come Keith Haring e Kenny Scharf che hanno realizzato scenografie e costumi per i miei balli. Aveva 3 anni in più ed un’educazione artistica più profonda e sofisticata, quindi mi ha insegnato a guardare ogni cosa esteticamente. Aveva un apprezzamento ed un appetito per la vita, una joie de vivre che ha contagiato me e molti altri.
Anna Kisselgoff del New York Times ha osservato “Una ballerina squisita, assolutamente mozzafiato. Una coreografa con qualcosa di importante da dire.”

Dal 1990 sei direttrice ed esecutrice dell’archivio fotografico di tuo fratello. Puoi condividere con noi cosa significa per te? Cosa speri che il pubblico comprenda attraverso la sua fotografia?
Ha lasciato la sua eredità sotto la mia tutela dopo la sua prematura giovane morte nel 1990 all’età di 39 anni. La sua opera creata in un decennio era così forte ed espansiva che meritava di essere mostrata e conosciuta al mondo. Non ha avuto il tempo di vedere i riconoscimenti e di apprezzare il modo in cui il mondo riconosce il suo lavoro come preveggente, rilevante ed ora fa parte del canone dell’arte contemporanea della fine del XX secolo. Le sue fotografie continuano a provocare osservazioni sull’identità, performance queer ed una questione di appartenenza alla società ed alla storia americana. Sono orgogliosa e privilegiata di avere un ruolo attivo nella gestione del suo archivio. È anche una miniera di idee creative per me dato che era un fotografo performativo concettuale. Ho realizzato un’opera molto personale chiamata “SlutForArt” nel 1999. Era un omaggio a mio fratello, al suo mondo, alla sua arte, al suo tempo. Ping Chong, il regista teatrale, era il mio collaboratore. Abbiamo intrecciato le sue foto, le storie raccontate dai suoi amici e colleghi, la musica e le cose effimere dalla sua collezione personale in un potente pezzo di teatro-danza. Ero la solista sia come sorella che come artista. Era il mio modo di riconciliare e piangere la perdita.
Non evito la bellezza, la luminosità, il dolore o la bruttezza. Voglio creare una presenza teatrale che sia reale e palpabile come afferrare una pietra o assaporare le tue lacrime.” – Muna Tseng

La pandemia COVID-19 sta influenzando la vita di tutti i giorni su tutto il pianeta. Il digitale sembra essere diventato lo strumento principale per connettere l’arte con il pubblico. L’arte e gli artisti di tutte le discipline sono nel mezzo di un’enorme crisi. Qual è la tua opinione su questo tema?
È fenomenale quanto lavoro creativo venga svolto durante questo periodo di pandemia. L’arte non può essere fermata. La creatività è una fonte di vita e, come l’acqua, troverà il suo flusso. All’inizio del 2020, ho realizzato un assolo per la fotocamera dell’iPhone, un progetto di musica dance iniziato a Milano, in Italia chiamato “Human Signs”. Si è trasformato in un’esibizione di gruppo dal vivo su un tetto a Brooklyn e continua una vita propria a livello globale in forma digitale, coinvolgendo ora antropologi e accademici. Durante questo periodo di isolamento, ho dovuto entrare nel profondo di me stessa per trovare significato ed espressione, insegno la mia pratica di qigong infusa di danza tramite Zoom settimanalmente, scrivo, mi concedo tempo libero per non fare molto, per passeggiare ed osservare le nuvole . È difficile risolverlo, ma ora che abbiamo trascorso un anno intero, dobbiamo evolverci in un altro modo di essere presenti. Gli artisti tendono comunque ad avere del tempo solitario in studio, quindi quella parte non è difficile. Mi manca la vera interazione sociale dal vivo e non vedo l’ora che arrivi di nuovo. Nel frattempo, penso che continueremo a inventare, sperare, evolvere in modo produttivo e poeticamente il nostro stato d’essere.

Ciao! My name is Dominique. I’m Italian and I’m proud to be a mix. My father was an Italian chemical engineer and high school teacher, with Greek and Polish heritage. My mother is Haitian, she was high school language teacher, with Dominican, Spanish, French, Portuguese, African and Native American heritage. Being a mix makes me appreciate to want to understand different cultures and lifestyles. I grew up in Italy, lived few years in Haiti, travel around main European capitals, lived seven years in China, six in Spain and UK. Traveling makes me feel that we can learn something from every situation in every part of the world.