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Venerdì, con una mossa apparentemente inedita, la Cina non ha comunicato gli obiettivi di crescita economica per quest’anno.
È la prima volta dal 1990 che la Cina non pubblica questi obiettivi, a dimostrazione di come l’epidemia di COVID-19 abbia rappresentato una sfida epocale per tutte le nazioni del mondo.
L’abbandono di questa pratica che nel corso degli anni era diventata un appuntamento regolare, sottolinea le difficoltà di recupero della Cina nel post pandemia.
Il governo cinese ha inoltre promesso un piano di stimoli da 500 miliardi di dollari (3,6 trilioni di yuan), alfine di creare 9 milioni di posti di lavoro, e cercare di limitare i danni causati dalla crisi economica mondiale e del commercio. Nel pacchetto di misure vi sono tagli alle tasse, ed investimenti in prgetti infrastrutturali.
Il piano di stimoli probabilmente aumenterà il deficit di bilancio della Cina al 3,6% del PIL quest’anno. È la prima volta che l’obiettivo di deficit di bilancio è stato fissato al di sopra del 3% da quando l’attuale sistema fiscale del paese è stato istituito nel 1994.
I numeri cinesi fino ad oggi non sono mai stati particolarmente creduti dagli analisti del settore, ma rappresentavano comunque una cartina di tornasole per verificare la salute di un sistema complesso come quello cinese.
L’indice di produzione industriale è tornato a salire in aprile, salendo del 3,9%, un dato certamente molto differente dal -13,5% dei primi due mesi dell’anno, crollo causato dalle misure di contenimento dell’epidemia di coronavirus.
I dati di consumo di carbone dei sei maggiori generatori di energia sono tornati a livelli normali dopo le vacanze della Golden Week ad inizio maggio.
Al momento questo dato è superiore del 1,5% rispetto alla media storica, dato che suggerisce che la richiesta energetica è tornata nella norma.
Con la riapertura delle imprese e delle fabbriche, sono scomparsi anche i cieli tersi e limpidi a cui non eravamo più abituati nel paese, segno che effettivamente la produzione industriale è tornata a produrre a ritmi sostenuti.
Ad ogni modo, se da un lato questi dati ci dimostrano come il paese stia ripartendo dal punto di vista industriale, quello che è cambiato maggiormente, almeno in questa prima fase, è la mentalità della gente, che sembra avere cambiato le proprie abitudini.
A fronte come abbiamo visto di una cescita industriale di quasi il 4% ad aprile, le vendite nello stesso periodo sono diminuite del 7,5%, totalizzando un risultato certamente migliore di marzo, ma molto lontano dai dati abituali.
In molti sono ancora spaventati da una possibile risorgenza della malattia.
La Cina non può nemmeno contare sulla domanda estera, a causa della crisi sanitaria.
Allo stesso tempo, arrivano i dati sull’occupazione che non sono particolarmente positivi, mostrando un calo del 6% in aprile, ma che secondo gli economisti questo dato sarebbe sottovalutato, e i numeri reali dovrebbero essere probabilmente il doppio, secondo il think tank Capital Economics, dal momento che almeno un quinto dei migranti economici non ha fatto ritorno nelle città.
Secondo la BBC, il Prof Justin Yifu Lin della Peking University, citando un sondaggio realizzato dalla Tsinghua University, l’85% delle attività economiche farà molta fatica a sopravvivere nei prossimi tre mesi e le “bancarotte porteranno ad altra disoccupazione”.
Molti cittatidini cinesi ad ogni modo lavorano in compagnie pubbliche e il sistema economico cinese è generalmente efficace nel riassorbire i disoccupati.
Se il governo cinese non sarà in grado di rimettere sui binari della crescita il paese, verrà meno quella implicita promessa su cui si basa la giustificazione al potere del partito.
Negli ultimi 40 anni, il partito ha cristalliazato il “sogno cinese” ovvero una sorta di tacito contratto con il popolo cinese secondo il quale il miglioramento delle condizioni economiche è legato alla sottomissione del popolo al partito.
Ma quest’anno le cose non sono andate come ci si sarebbe aspettato, e gli ultimi mesi solo sono stati caratterizzati da incertezze economiche e sospetti, che hanno incrinato ancora di più l’immagine del paese all’estero.

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