I ritardi e la censura hanno aggravato la diffusione del coronavirus in Cina

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Le prime settimane della crisi sanitaria sono state caratterizzate dall’incapacità delle autorità locali e dall’ossessione di dover controllare il flusso dell’informazione

Il 30 dicembre 2019 il dottor Li Wenliang, di 34 anni, ha condiviso con i suoi coleghi in un gruppo WeChat un post in un cui affermava che sette pazienti provenienti da un mercato del pesce locale mostravano segni di una malattia simile alla SARS ed erano stati messi in quarantena.

Li intervistato da CNN, ha spiegato che secondo i test che aveva visto, la malattia era causata da un nuovo coronavirus, della stessa famiglia di virus della SARS. Li ha condiviso i risultati con i suoi colleghi per metterli in guardia sulla pericolosità del virus.

Li aveva detto ai suoi amici di avvisare i propri cari privatamente, ma i messaggi cominciarono quasi immediatamente a circolare online senza che il suo nome venisse offuscato.

La polizia di Wuhan lo ha accusato immediatamente di diffondere il panico. Le autorità locali lo hanno preso di mira insieme agli altri medici che hanno cercato di diffondere l’allarme settimane prima che il virus si diffondesse ampiamente.

Se le autorità cinesi invece che cercare di perseguitare coloro che hanno dato l’allarme avessero cercato di intervenire, la situazione ora sarebbe certamente diversa.

Ad oggi il virus ha reclamato la vita di oltre 420 persone e ne ha contagiate almeno altre 20000 nel mondo, compreso Li Wenliang, il medico che ha lanciato l’allarme, secondo le stime più ottimistiche.

Lo stesso giorno in cui Li mandava i messaggi ai suoi conoscienti, veniva pubblicata una nota di emergenza della Commissione per la Salute della Municipalità di Wuhan che informava le istituzioni mediche che una serie di pazienti provenienti da Huanan Seafood Wholesale Market, il famigerato mercato del pesce da cui si pensa abbia avuto origine l’epidemia, aveva contratto una forma di polmonite sconosciuta.

La notizia era accompagnata da un avviso che vietava la diffusione di informazioni senza autorizzazione.

All’alba del 31 dicembre le autorità sanitarie locali si incontrarono per discutere della situazione. Li fu convocato dagli ufficiali presso l’ospedale dove lavorava per spiegare come fosse venuto a conoscenza dei casi, secondo quanto riferito dal media nazionale Beijing Youth Daily.

Il 3 gennaio Li è stato convocato nella stazione di polizia locale per essere rimproverato per avere diffuso dicerie online ed avere causato panico con i suoi messaggi alla chat di gruppo.

Secondo quanto riferito da CNN, Li è stato costretto a firmare un documento che dichiarava la sua infrazione e si asteneva dal commettere altri “atti illegali”.

Il medico fu immediatamente rilasciato e tornò al suo posto di lavoro sapendo che non avrebbe potuto fare nulla se non aderire alla linea ufficiale.

Il 10 gennaio, dopo avere trattato un paziente affetto dal coronavirus, Li ha cominciato a tossire e a sviluppare la febbre.

Il 12 gennaio è stato ricoverato in ospedale e le sue condizioni di salute sono peggiorate in tal modo che è stato trasferito nell’unità di terapia intensiva.

Il primo febbraio è risultato positivo ai test del coronavirus.

Sin dall’inizio le autorità cinesi hanno cercato di controllare il flusso delle informazioni, cercando di silenziare tutte le voci che differivano dalla narrativa ufficiale, indipendentemente dal fatto che fossero vere o false.

Il primo gennaio la polizia di Wuhan ha annunciato di avere intrapreso iniziative legali contro otto persone che hanno pubblicato e condiviso online informazioni a riguardo della malattia.

Gli annunci della polizia sono stati poi trasmessi sulla CCTV, la televisione nazionale cinese, in tutta la nazione, chiarendo una volta di più che queste voci sarebbero state stroncate sul nascere dalle autorità.

Nelle due settimane successive la Commissione per la Salute della Municipalità di Wuhan è rimasta l’unica fonte di informazione sullo sviluppo della situazione. Gli scienziati cinesi hanno identificato l’agente patogeno il 7 gennaio. Per l’intera settimana successiva, non è stato confermato nessun nuovo caso e le autorità avevano affermato che non vi era prova di trasmissione tra persone, che nessun membro degli staff medici era stato infettato, e che la situazione era sotto controllo.

La situazione naturalmente era tutto tranne che sotto controllo, ed ormai era già troppo tardi.

Il 17 gennaio le vittime erano 41, il 20 gennaio, il numero era aumentato a 198.

Il 20 gennaio il presidente Xi Jinping è intervenuto ordinando che venissero prese tutte le misure necessarie per arrestare la diffusione del coronavirus. In serata, Zhong Nanshan, lo scienziato che 17 anni fa ha combattuo la SARS, sulla CCTV ha affermato che il virus era trasmissibile da persona a persona.

Due giorni dopo Wuhan è stata messa sotto quarantena, ma ormai oltre 5 milioni di persone si erano messe in viaggio per celebrare l’inizio del nuovo anno cinese.

Il 27 gennaio, il sindaco di Wuhan ha ammesso che il governo non è stato capace di rilasciare informazioni sul virus in tempo.

A fine gennaio l’incompetenza delle autorità di Wuhan era palese a tutta la Cina, e il gruppo originario di otto medici che aveva dato l’allarme inizialmente è stato considerato come un gruppo di eroi persino dagli stessi media nazionali cinesi. Se fossero stati ascoltati sarebbero state salvate centinaia di vite.

Persino il Beijing Youth Daily ha intervistato Li e l’articolo è diventato ben presto virale in Cina. Il pezzo però è stato ancora una volta prontamente censurato dalle autorità.

Il 28 gennaio la Corte Suprema Cinese ha criticato lo zelo con cui la polizia di Wuhan ha punito questi “agitatori”.

Ed ora tutto il mondo paga le conseguenze della censura cinese.

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