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Man-kei Tam è direttore di Amnesty International Hong Kong.
Abbiamo sentito e letto di denunce e accuse di abusi sessuali, violenze e persino finti suicidi compiuti dalla polizia di Hong Kong contro i manifestanti. Come sarà possibile ricostruire la fiducia dei cittadini verso le forze dell’ordine?
Vi sono un paio di report a proposito di violenze sessuali e persino stupri di gruppi perpetrati dalla polizia di Hong Kong durante la detenzione.
Una delle manifestanti, Sonya Ng, una studentessa della Chinese University, è stata una delle prime a denunciare apertamente di avere subito abusi sessuali durante la sua detenzione.
Vi è un altro caso della settimana scorsa, seguito dall’ avvocato Michael Vider, a proposito di una studentessa minorenne che ha subito uno stupro di gruppo in una stazione di polizia.
Il problema è che non è ancora possibile avere una indagine indipendente sui casi riguardanti le violenze sessuali, in particolar modo contro le manifestanti.
La mancanza di tali meccanismi non fa altro che scoraggiare altri che hanno subito queste genere di violenze a farsi avanti e denunciare il proprio caso.
Vi è inoltre un altro sondaggio condotto da un gruppo contro la violenza sessuale ad Hong Kong, i cui risultati sono davvero preoccupanti.
Sono sicuro che vi siano stati altri casi durante le proteste.
Ma sono ancora tutti insabbiati.
Un ex dipendente del consolato britannico ad Hong Kong ha detto alla BBC ed in un lungo post su Facebook di essere stato torturato in Cina.
Simon Cheng, nel suo post su Facebook, ha detto di essere stato detenuto in Cina, e di avere sentito o visto altri hongkonghesi imprigionati a causa delle proteste.
Ma non ha detto il modo, come e quanto a lungo costoro siano stati arrestati o imprigionati.
Non abbiamo conferme in proposito, e non abbiamo prove che il governo di Hong Kong stia utilizzando treni per mandare gli arrestati in Cina.
Che cosa può o dovrebbe fare il resto del mondo per quanto riguarda la questione di Hong Kong?
Il governo americano ha appena passato due disegni di legge.
Il primo è il disegno di legge sui diritti umani a Hong Kong, e l’altro è il cosidetto Protect Hong Kong Act, che include il divieto di vendere equipaggiamenti per il controllo delle folle alla polizia di Hong Kong.
Queste sono misure concrete.
E penso che da una prospettiva delle Nazioni Unite, la Commissione per i Diritti Umani dovrebbe condurre un’indagine ad Hong Kong sull’uso della forza da parte della polizia.
Al momento, vi sono ancora un centinaio di studenti dentro il politecnico di Hong Kong.
Non possono lasciarlo perché il campus si trova in stato di assedio.
Penso pertanto che la comunità internazionale debba esprimersi e richiedere alla polizia di Hong Kong la sospensione dell’uso della forza per fermare questo genere di violenze contro i manifestanti.
Che cosa significa per Hong Kong e per i suoi cittadini l’arrivo del nuovo capo della polizia, Chris Tang?
Non ho commenti su questo. Ma in linea generale, quello che abbiamo potuto osservare sin da quando il divieto di portare maschere in pubblico è stato adottato ad inizio ottobre, è che vi è stata una graduale escalation dell’uso della forza contro i manifestanti, da parte della polizia di Hong Kong.
Da ottobre è praticamente impossibile organizzare una protesta pacifica a causa non solo del divieto, ma anche dalla mancanza di rilascio di permessi da parte della polizia.
Non sono state adottate misure per contenere la violenza.
E anche da parte dei manifestanti abbiamo visto che sono passati dal lanciare bottiglie a lanciare bottiglie incendiarie, e adesso persino frecce.
Pertanto le misure prese da ottobre da parte della polizia di Hong Kong, non hanno raffreddato la situazione, ma la hanno decisamente peggiorata, da ambo le parti.