Google in Cina – Il nuovo motore di ricerca assocerebbe le ricerche ai numeri di telefono e nasconderebbe dati sull’inquinamento non approvati dal governo

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Nuovi dettagli inquietanti sul nuovo motore di ricerca di Google per la Cina

Secondo numerose testate online, tra cui Gizmodo, il prototipo di motore di ricerca destinato alla Cina, nome in codice Dragonfly, non solo restringerebbe le ricerche seguendo una blacklist di parole chiave fornita dai censori cinesi, ma soprattutto assocerebbe direttamente le ricerche al numero di telefono. Le notizie sono trapelate grazie ad un report di Intercept rilasciato venerdì.

Ricordiamo come ancora nel 2010, Google aveva abbandonato di fatto la Cina a causa delle continue violazioni dei diritti umani e ad un cyberattacco che aveva compromesso gli account di alcuni attivisti. Recentemente alcuni report hanno indicato come Google stia cercando di rientrare nel lucroso mercato cinese, nel frattempo conquistato dalla concorrenza locale.

I principali gruppi per i diritti umani hanno criticato Dragonfly, affermando che la piattaforma potrebbe spingere la compagnia a “contribuire direttamente o a diventare complice di violazioni dei diritti umani”. Una preoccupazione centrale espressa dai gruppi è che, al di là della censura, i dati dell’utente sono archiviati da Google direttamente in Cina e questi potrebbero essere facilmente accessibili dalle autorità cinesi.

Affinché questo possa accadere, Google deve necessariamente soddisfare una serie di richieste da parte delle autorità cinesi. Tra le parole chiave sensibili, secondo il report di Intercept, e già inserite nella blacklist di Google troviamo termini in cinese come “diritti umani”, “proteste studentesche”, e “Premio Nobel”. Alcune caratteristiche del motore di ricerca sembrerebbero essere state aggiunte al solo scopo di facilitare il lavoro dei censori.

Difatti tra queste features del prototipo scopriamo che c’è ne è una che “associa le ricerche dell’utente di uno smartphone Android al loro numero di telefono. Questo significa che le ricerche delle persone sono facilmente tracciabili, e chiunque stia cercando informazioni censurate dal governo può essere potenzialmente a rischio interrogazione o detenzione se le agenzie di sicurezza richiederanno i risultati delle ricerche a Google”.

“Questa è una questione problematica sia dal punto di vista della privacy, perché consente un tracciamento ancora più dettagliato e consente (soprattutto) di creare un profilo comportamentale per ogni individuo”, ha detto Cynthia Wong, senior internet reseacher di Human Right Watch.

La legge cinese richiede a tutte le compagnie delle telecomunicazioni di registrare i dati degli utenti direttamente in Cina, dove la legge consente alle autorità di intervenire con forza sin dalle fasi iniziali delle indagini. Sempre secondo Intercept, Dragonfly è frutto di una joint venture tra Google e un non precisato partner cinese, che potrebbe avere poteri indipendenti per aggiornare la blacklist, anche senza l’approvazione di Google.

Inoltre, il report asserisce che, secondo le fonti interne, i dati sull’inquinamento sarebbero modificati e sostituiti con i dati forniti da Pechino. La questione dell’inquinamento di Beijing è sensibile, e sin da quando l’ambasciata americana rivelò i veri dati dell’inquinamento nella capitale, l’argomento è entrato al centro dell’attenzione mediatica e di fatto un punto oggettivo su cui valutare l’operato del governo cinese.

Ad agosto circa 1400 impiegati di Google hanno firmato una lettera aperta alla direzione per “sapere cosa stiamo costruendo” e affinché vengano rispettati i principi sbandierati dalla stessa compagnia. Un ingegnere, Jack Poulson, ha detto ad Intercept di avere rilasciato le proprie dimissioni per protesta.

Secondo Jack Poulson, la capitolazione di fronte alle richieste di censura e ai sistemi di sorveglianza in cambio dell’accesso al mercato cinese rappresentano un fallimento della capacità negoziativa.

Da quando la notizia ha cominciato a circolare lo scorso mese, Google si è rifiutata di mandare dirigenti di peso come il CEO Sundar Pichai di fronte alla Commissione di Intelligence del Senato americano. Questa settimana un gruppo bipartizan di parlamentari ha richiesto alla compagnia maggiori dettagli riguardo a questo progetto. Google ha risposto affermando che si tratta solo di un fase esploratoria.

Ma Google non è l’unica compagnia americana a lavorare con i censori. Apple ha spostato i server che registrano le chiavi di decriptazione degli utenti cinesi di iCloud in Cina per ottemperare alla leggi locali, ed ha rimosso migliaia di applicazioni, dal gioco d’azzardo fino alle VPN.

topic: censura di google, google cina

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