La Rivolta dei Boxer, La “Societá dei Pugni armoniosi e giusti”

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La Ribellione dei Boxer fu un’insurrezione armata in Cina tra il 1899 e il 1901 contro il crescente intervento straniero.

Per comprendere appieno i sentimenti rancorosi dei boxer verso gli stranieri bisogna necessariamente guardare al tormentato contesto storico.

Durante il diciannovesimo secolo l’orgoglio cinese e la tenuta della dinastia mancese furono messi duramente alla prova: per sessanta anni, la Cina fu costretta a importare l’oppio che aveva causato una lunga serie di problemi sociali, era stata sconfitta e piegata in numerose guerre, costretta a promuovere il cristianesimo nel suo territorio e forzata a sottoscrivere una lunga serie di trattati ineguali che accordavano alle potenze straniere e alle loro controparti commerciali una serie di privilegi, di diritti di extraterritorialità e d’immunità. Inghilterra, Giappone, Russia e Germania si scavarono delle loro sfere d’influenza e agli inizi del ventesimo secolo, ormai la Cina sembrava soltanto una terra di facili conquiste.

Il Pugilato Magico Yihe era una società segreta che venne fondata nell’odierna regione dello Shandong e consisteva principalmente di persone che avevano perso tutto per colpa di cause naturali o dell’imperialismo. Il gruppo si sviluppò da un ramo della setta Li del gruppo religioso Ba Gua (Gli Otto Trigrammi). Gli occidentali cominciarono a soprannominare gli adepti “boxer” grazie alla abilità nelle arti marziali. Una delle loro caratteristiche principali, secondo Larry Clinton, era la possessione spiritica, che prevedeva il turbinio di spade, prostrazioni violente e l’esecuzione di incantesimi per soggiogare gli spiriti taoisti e buddisti.

barbarie civilisation
Barbarie — Civilisation, René Georges Hermann-Paul, 1899

I boxer credevano che attraverso l’allenamento, la dieta, le arti marziali e la preghiera potessero sviluppare alcune abilità speciali, come il volo. Questi concetti furono poi mutuati nei moderni movimenti del qigong nati dopo la morte di Mao e che hanno proliferato per tutti gli anni ottanta e novanta. Inoltre, secondo alcune tradizioni popolari, gli spiriti soldato sarebbero discesi dal cielo per assistere il popolo nella sua battaglia contro le influenze straniere. La maggior parte degli adepti proveniva dal ceto contadino indebolito e da altre classi sociali deboli, disperate dalle continue calamità naturali e dalla diffusione dilagante dell’oppio. La colpa veniva fatta ricadere sui missionari cristiani, sui cristiani cinesi e sui colonizzatori europei. I missionari erano protetti da politiche di extra territorialità. I Boxer chiamavano gli stranieri e i cristiani cinesi con l’appellativo dispregiativo di Guizi (ovvero demoni). Ancora oggi, gli stranieri vengono chiamati in termine dispregiativo in questo modo o in varianti di questo termine. I boxer erano dotati di armamenti leggeri, come spade e fucili, ma dichiaravano di essere invulnerabili ai cannoni, al fuoco dei fucili e alle ferite delle armi bianche. I boxer sono stati preceduti ed anticipati da alcune altre società che hanno fornito la base culturale ed organizzativa al movimento.

Prigionieri boxer

La Societá della Grande Spada

Dadaohui era un gruppo contadino di auto difesa che si era diffuso nella Cina settentrionale ed aveva acquisito notorietà grazie al coraggio dei suoi membri. Era prevalentemente formato da gruppi locali di piccoli proprietari terrieri e affittuari che si organizzavano per difendere i villaggi dalle incursioni di banditi, signori della guerra e talvolta esattori fiscali.

I Grandi Maestri di queste società affermavano di essere invulnerabili ai proiettili grazie alla magia e ad una serie di esercizi respiratori. Una volta confluito nella grande rivolta dei boxer, questo movimento sopravvisse al declino e in seguito combatté di volta in volta contro i giapponesi e i comunisti.

I membri della fratellanza ponevano la loro fede in magie rustiche e credevano nelle giuste ricompense nella vita ultraterrena. Alcune di queste società furono in seguito assorbite dall’Armata Rossa durante la seconda Guerra Sino Giapponese o dall’Armata di Liberazione del Popolo durante la Guerra Civile Cinese. Nel 1953, il Partito Comunista lanciò una campagna per sopprimere le Hui Dao Men.

Ad ogni modo, tornando agli esordi della rivolta, nel 1895, Yuxian, un prefetto mancese di Caozhou, che in seguito sarebbe divenuto governatore provinciale, richiese il supporto della Società della Grande Spada per combattere i banditi locali. Nonostante le pratiche eterodosse degli aderenti, non venivano percepiti come una minaccia dalla dinastia regnante. La loro efficienza nello sconfiggere il fenomeno del banditismo aveva portato a un gran numero di esecuzioni di briganti da parte dei membri del gruppo. La Grande Spada continuò nella sua opera di pulizia, ma molti banditi cominciarono a convertirsi al cattolicesimo ottenendo l’immunità legale ed entrarono sotto protezione degli stranieri. La Grande Spada rispose incendiando le chiese cattoliche che offrivano ospitalità ai banditi. Yuxian, fu costretto a giustiziare numerosi leader del gruppo.

Verso il conflitto

Nel frattempo, seguendo l’esempio della Grande Spada, cominciarono a fiorire sempre piú società segrete in numerosi villaggi. In questa prima fase però, l’attenzione dei vari gruppi come la scuola del Pugilato Rosso o i Pugili del Prugno in fiore o altri boxer dello Shandong era focalizzata sui valori tradizionali sociali e morali, come la pietà filiale, piuttosto che sulle influenze straniere.

Un leader per esempio, Zhu Hongdeng (Lanterna Rossa Zhu), iniziò la sua carriera come guaritore, specializzandosi in ulcere della pelle e guadagnandosi il rispetto rifiutando compensi per i suoi trattamenti. Zhu, dichiarava di essere un discendente della dinastia Ming, dal momento che il suo cognome era quello della famiglia imperiale. Affermò che lo scopo era quello, paradossalmente, di rivitalizzare i Qing (dinastia anch’essa straniera) per distruggere gli stranieri. Le tensioni internazionali e domestiche gettarono benzina sul movimento che presto si propagò con una furia inedita. Durante il biennio del 1897-98, la provincia dello Shandong fu severamente colpita da una serie di esondazioni che forzarono masse di contadini ad abbandonare i campi per dirigersi verso le città alla ricerca di cibo. Un’altra causa del malcontento erano i missionari cristiani che cominciavano ad essere sempre piú attivi. Soprattutto era la loro immunità a destare le ire degli abitanti locali.

L’incidente di Juye

Il primo novembre del 1897 una banda di una ventina circa di uomini armati fece irruzione nella residenza di un missionario tedesco, George Stenz. Due preti, Richard Henle e Francis Xavier Nies, vennero uccisi, uno dei quali era un ospite del missionario che invece stava dormendo nell’area destinata alla servitù. Gli abitanti cristiani del villaggio accorsero per difenderlo e scacciarono gli assalitori. Quando il Kaiser Guglielmo II fu informato della notizia, ordinò allo Squadrone tedesco dell’Asia Orientale di occupare la baia di Jiaozhou, nel sud dello Shandong, innescando una corsa per le concessioni durante la quale Giappone, Russia, Francia ed Inghilterra si assicurarono delle sfere di influenza strategiche in Cina.

A causa delle richieste tedesche, i mancesi furono inoltre forzati a rimuovere numerosi funzionari nello Shandong dai loro incarichi e a costruire a proprie spese tre chiese cattoliche, a compensare con 3000 tael d’argento la missione attaccata e ad edificare, sempre a spese cinesi, sette residenze fortificate; l’insediamento tedesco rafforzò il lavoro dei missionari e queste scelte sciagurate non fecero altro che esasperare il sentimento anti straniero che presto avrebbe portato alla sanguinosa Rivolta dei Boxer.

Inizia la rivolta

Nell’ottobre dell’anno successivo, i Boxer attaccarono la comunità cristiana stanziata nel villaggio Liyuantun, dove un tempio dedicato all’Imperatore di Giada era stato convertito in una chiesa. Critiche erano state sollevate sin dal 1869, quando il tempio venne concesso ai cristiani residenti nel villaggio. L’incidente coincise inoltre per la prima volta con lo slogan di Zhu Hongdeng “Rinvigorire i Qing, per distruggere gli stranieri”. Le aggressioni contro le missioni e i cristiani finirono per attirare ancor più le attenzioni dei governi europei. Nel 1899, il ministro francese a Pechino aiutò i missionari a ottenere un editto che garantisse uno status ufficiale a ogni membro della gerarchia della Chiesa Cattolica Romana, consentendo quindi ai preti locali di supportare i loro fedeli nelle dispute familiari o legali, bypassando di fatto l’autorità dei funzionari locali.

Dopo la presa dello Shandong da parte tedesca, molti cinesi cominciarono a temere che i cristiani con i loro governi stranieri, stessero cercando di dividere e colonizzare la Cina, pezzo dopo pezzo. Sempre secondo Larry Clinton Thompson, un ufficiale cinese espresse il proprio disappunto: “Portate via i vostri missionari e il vostro oppio e sarete i benvenuti”.

La crescita del movimento coincise con la Riforma dei Cento Giorni promulgata dall’imperatore Guangxu, sotto l’influenza di funzionari riformatori, supportati da missionari protestanti. La riforma però non fece altro che alienarsi numerosi ufficiali conservatori che spinsero l’imperatrice Dowager Cixi ad intervenire e ad annullare la riforma.

Il fallimento del movimento riformatore disilluse gli intellettuali cinesi, comportando un ulteriore indebolimento per la già provata dinastia mancese. Una volta terminata la riforma, l’imperatrice fece arrestare Guangxu e assunse il potere. Gli europei simpatizzavano per l’imperatore deposto e si opposero ai piani di Cixi. Così, l’alba del nuovo secolo, vide un cambiamento sostanziale della politica cinese. Nel gennaio del 1900, i conservatori alla corte dell’imperatrice Dowager cambiarono le loro politiche nei confronti dei boxer ed emanarono una serie di editti per difenderli, causando ovviamente le proteste dei dignitari stranieri.

Durante la primavera dello stesso anno ormai il movimento si era diffuso rapidamente dallo Shandong fino a Pechino. I boxer bruciavano le chiese cristiane, uccidevano i fedeli e intimidivano i funzionari che incontravano lungo il loro cammino verso la capitale. Il 30 maggio, su richiesta di alcuni diplomatici guidati dal ministro britannico Claude Maxwell MacDonald, la corte cinese si vide richiedere lo schieramento di soldati stranieri a difesa delle delegazioni straniere.

Riluttante, il governo concesse il permesso. Il giorno dopo, 400 soldati provenienti da otto paesi, sbarcarono dalle navi da guerra a Tianjin e si diressero nella capitale, preparando il perimetro difensivo per le rispettive missioni. Il 5 giugno, la ferrovia che collegava Tianjin a Pechino venne tagliata dai boxer, ormai alle porte della capitale e Pechino fu isolata. Il 13 giugno un diplomatico giapponese venne assassinato dai soldati del generale Dong Fuxiang e lo stesso giorno il primo boxer venne avvistato nel quartiere della delegazione. Nel pomeriggio, il ministro tedesco Clemens von Ketteler e i suoi soldati catturarono un giovane boxer e lo giustiziarono senza motivo. Per tutta risposta, migliaia di boxer invasero la città e bruciarono numerose chiese cristiane e cattedrali.

Soldati musulmani Hui provenienti dal Gansu,conosciuti come i "Coraggiosi del Gansu", comandati da Dong Fuxiang.
Soldati musulmani Hui provenienti dal Gansu,conosciuti come i “Coraggiosi del Gansu”, comandati da Dong Fuxiang.

I soldati britannici e tedeschi fecero fuoco sui rivoltosi uccidendone numerosi, inimicandosi la popolazione locale e la dinastia mancese. I musulmani Gansu, i boxer e altri cinesi attaccarono e uccisero numerosi cristiani per vendetta. Tra il 16 e il 17 giugno presso la corte imperiale si tennero accese discussioni sul profilo da mantenere nei confronti dei boxer. Ambedue le fazioni concordavano sul fatto che i boxer potessero contare su un consenso pressoché universale nelle campagne, e una soppressione del movimento sarebbe stata impopolare, in un momento di estrema debolezza, un rischio probabilmente da non correre. I conservatori tradizionalisti desideravano usare i boxer per rimuovere una volta per tutte gli stranieri dal suolo cinese, mentre i moderati riconoscevano alla Cina una posizione di debolezza e preferivano utilizzare la diplomazia.

Nel frattempo questo dualismo si rifletteva anche nei comportamenti non omogenei tenuti dall’esercito cinese. C’era chi difendeva gli stranieri per ordine dell’imperatrice, ma anche chi sparava addosso agli stranieri isolati, chi cercava di tenere lontani i boxer dalle delegazioni e chi invece saccheggiava gli averi degli stranieri a palazzo, come fece il principe Duan. Intanto i boxer si organizzavano: i più esperti venivano inviati verso i rinforzi occidentali in arrivo, mentre i giovani venivano assorbiti nell’armata musulmana Gansu.

Dal momento che la dinastia mancese non aveva chiaramente deciso con che squadra giocare, la confusione regnava sovrana. Le delegazioni straniere continuavano a essere assediate ora da forze imperiali e Kansu. Ma mentre i Kansu rinvigoriti dalle nuove reclute boxer premevano per distruggere le delegazioni, gli imperiali guidati da Ronglu, per ordine di Dowager, proteggevano gli stranieri, anche se, di tanto in tanto, Ronglu, per accattivarsi le amicizie dei conservatori a palazzo, faceva sparare contro le delegazioni dei fuochi d’artifici o cariche a salve.

Intanto, gli assediati, presi dal panico, sparavano a tutto quello che si muoveva, compresi emissari mancesi, civili e assalitori. Una volta ricevuto un esplicito ultimatum da parte delle potenze stranieri al fine di consegnare il controllo del paese nelle loro mani, la stizzita imperatrice Cixi affermò che se la Cina doveva essere annientata, tanto valeva combattere fino alla fine. Da questo momento, la Cina strinse le delegazioni con le sue armate e iniziò l’assedio.

La battaglia di Dagu

Il 17 giugno, le flotte straniere non distanti dalla fortezza di Dagu, vicino Tianjin, vennero assalite. Le forze cinesi piazzarono una nuova arma chiamata mine elettriche alla foce del fiume Peiho prima della battaglia, in modo tale da prevenire l’intervento dell’Alleanza. Il 16 giugno, i comandanti delle varie navi da guerra si incontrarono. Il successo e la salvezza delle linee dei soldati rimasti tagliati in territorio cinese (i 400-450 soldati a Pechino, i 2000 uomini della forza Seymour, i 2400 russi a Tianjin) dipendeva dal controllo del complesso di fortezze di Dagu, posizionate alla bocca del fiume Hai. Il vice ammiraglio Hildenbrandt della flotta navale russa, attraverso il luogotenente Bakhmetev inviò un messaggio al comandante delle fortezze che intimava la cessione del controllo temporaneo di Dagu all’Alleanza e la resa entro le due di mattina del 17. Dell’Alleanza, solo il rappresentante americano, Louis Kempff affermò che non deteneva del potere necessario per iniziare le ostilità.

A ogni modo concesse l’uso della cannoniera Monacacy per ospitare i civili in fuga. In realtà la flotta a disposizione dell’alleanza era esigua e poteva contare solo su una decina d’imbarcazioni, compresa la Monacacy destinata ai rifugiati. Gli uomini erano poco più di 900 contro gli oltre 2000 soldati cinesi. Le forze cinesi continuarono a minare il fiume e a installare esplosivi nel forte. Durante la sera del 16, le navi straniere penetrarono nel fiume e presero le loro posizioni in attesa dell’attacco. I cinesi non attesero lo scadere dell’ultimatum per aprire il fuoco: alle 00:45 tutte le bocche di fuoco spararono contro la flotta dell’alleanza.

La minaccia più seria alla flotta alleata consisteva nelle quattro torpediniere di fabbricazione tedesca a disposizione dei cinesi, che avrebbero potuto facilmente avere la meglio, ma inspiegabilmente non furono utilizzate e rimasero ancorate. Le truppe alleate sbarcarono su due fronti; approfittando dell’esplosione della santa barbara cinese, le forze straniere riuscirono a impossessarsi del forte settentrionale. Rimanevano ancora da prendere i due forti lungo la sponda meridionale del fiume. Tutta l’artiglieria sparò contro gli altri due forti e presto le truppe cinesi si ritirarono.

La battaglie e l’attacco improvviso contro le navi alleate ebbero un profondo impatto. I primi rapporti giunsero a corte attraverso le parole del governatore Lu Yu a Tianjin, che enfatizzava gli aspetti positivi, trascurando di menzionare la resa delle fortificazioni all’Imperatrice. La battaglia spinse definitivamente i Qing dalla parte dei boxer e all’esercito cinese venne impartito l’ordine di respingere gli invasori.

La Battaglia di Pechino

Soldati giapponesi
Soldati giapponesi

Il 18 giugno, l’ammiraglio Seymour con i suoi 2000 uomini vennero attaccati dall’armata cinese nei pressi della ferrovia che collegava Tianjin alla capitale. Seymour si ritirò a Tianjin, rinunciando al suo obiettivo di raggiungere Pechino. Il 19 giugno venne consegnato un ultimatum di resa alle delegazioni asserragliate nella città, intimando il ritiro entro 24 ore. Il 20 giugno, al rifiuto delle delegazioni, iniziò l’assedio finale.

Un assedio analogo si svolse a Beitang, a circa quattro chilometri dal quartiere delle delegazioni, dove un manipolo di preti e suore, di pochi soldati francesi e italiani e circa 3000 cristiani cinesi combatterono i boxer.

L'ammiraglio Symour si rifugia a Tianjin con i militari feriti.
L’ammiraglio Symour si rifugia a Tianjin con i militari feriti.

Per molti giorni dopo il 20 giugno, né gli assalitori, né gli assaliti disponevano di un piano d’attacco o di difesa e la confusione regnava sovrana. Le truppe cinesi erano guidate da Ronglu, che era stato sempre contrario ai boxer e all’assedio, mentre gli assediati obbedivano agli ordini del ministro britannico Claude MacDonald con il diplomatico americano Herbert G. Squiers che faceva funzioni di capo del suo staff. Ad ogni modo i vari gruppi di difensori stranieri operavano più o meno indipendentemente con MacDonald che fungeva piuttosto da coordinatore piuttosto che comandante in capo.

Soldati italiani a Tianjin
Soldati italiani a Tianjin

Per tutti i 55 giorni, i vari tentativi di cessate il fuoco di Ronglu rimasero inascoltati a causa della diffidenza sostanziale di ambo le parti. Ad ogni modo i cinesi cercarono di stanare con le fiamme gli stranieri asserragliati. Nei primi giorni dell’assedio i soldati appiccarono il fuoco negli edifici confinanti il quartiere delle delegazioni. Il 23 giugno la maggior parte degli edifici dell’Accademia Hanlin, la libreria nazionale cinese con i suoi testi rarissimi, andarono perduti.

Un soldato boxer a Pechino-
Un soldato boxer a Pechino

Ambo i lati si accusarono per la perdita. In una seconda fase, i cinesi focalizzarono la loro attenzione sul rifugio dei cristiani cinesi e la zona protetta dal tenente colonnello giapponese Goro Shiba, probabilmente il militare più ammirato tra tutti gli stranieri. Shiba a capo di un manipolo di soldati giapponesi riuscì a respingere le ondate cinesi, anche grazie all’intervento dei militari britannici.

L’attacco più violento fu quello che si svolse tra i 78 militari francesi e austriaci e 17 volontari che dovettero resistere all’assalto dei cinesi a soli 15 metri di distanza. I tedeschi e gli americani occuparono le posizioni difensive principali lungo il muro tartaro. Le forze cinesi a ogni modo rimanevano sostanzialmente divise anche durante l’attacco, con la fazione anti boxer di Ronglu e quella anti-straniera guidata dal Principe Duan. La posizione dell’imperatrice vacillava tra i due estremi.

Il 25 giugno Cixi proclamò una tregua per alcune ore. Ai primi di luglio però gli stranieri dovettero resistere alla più pericolosa minaccia dall’inizio della battaglia, quando le truppe cinesi riuscirono a respingere i tedeschi dalla difesa del muro tartaro, lasciando i marines americani soli nella difesa. Allo stesso tempo una barricata fu fatta avanzare fino a schiacciare gli americani su due fronti, costringendo gli americani a scegliere se lasciare le posizioni o lanciare un assalto frontale. Alle due di mattina del 3 luglio, le esigue forze straniere (26 inglesi, 15 russi e 15 americani guidati dal capitano John T. Myers) scagliarono un attacco a sorpresa contro i cinesi, che furono sorpresi nel sonno.

Venti furono i caduti cinesi, mentre il resto fu costretto a ritirarsi e a cedere il controllo delle mura. Ma il peggio doveva ancora avvenire. Secondo le parole di MacDonald il 13 luglio fu il giorno più buio. I giapponesi e gli italiani furono scacciati dal Fu, il rifugio dei cristiani cinesi, rompendo quindi le linee difensive. Mentre il grosso delle forze cinesi irrompeva nel Fu, una mina fu fatta detonare nei pressi della delegazione francese, costringendo i francesi e gli austriaci a cedere il controllo della loro area. La fine, ormai sembrava vicina. Il giorno successivo comunque, un messaggio conciliatorio fu inviato dai cinesi. Il 17 luglio l’imperatrice Cixi, dichiarò un cessate il fuoco.

rivolta-dei-boxer

Ormai le delegazioni erano prossime al crollo; un terzo dei soldati era perito durante gli scontri o ferito. Come segno di buona volontà, inviò agli assediati cibo e rifornimenti. La mossa dell’imperatrice causò alcuni scontri intestini tra boxer e militari cinesi ma molto probabilmente era dettata dallo sbarco di una forza di circa 20.000 stranieri in Cina che stava raggiungendo a tappe forzate Pechino. Il 28 luglio, gli stranieri asserragliati ricevettero il primo messaggio dall’esterno dopo più di un mese. Un ragazzo cinese, studente del missionario William Scott Ament, riuscì a intrufolarsi nei quartieri della delegazione e a consegnare il messaggio che l’esercito delle Otto nazioni aveva raggiunto Tianjin e che a breve sarebbe giunto a Beijing.

Soldati russi il 14 agosto.
Soldati russi il 14 agosto.

Quella del 13 agosto, con ormai l’esercito alleato alle porte di Pechino, fu un’altra notte di duri scontri. I cinesi ruppero la tregua colpendo con l’artiglieria la delegazione britannica e incendiando il Fu. Ma non scagliarono un assalto diretto fino al 14 agosto, quando gli assediati udirono il suono distante di una mitragliatrice, segno che i rinforzi erano ormai arrivati. Cinque contingenti ognuno di diversa nazionalità (francesi, britannici, russi, giapponesi e americani) puntarono contro cinque porte della città. Il piccolo gruppo francese fu sconfitto. Gli americani scalarono le mura ed entrarono. Furono i britannici comunque i primi ad arrivare al distretto assediato, riuscendo a penetrare in città senza praticamente trovare opposizione. I Sikh e i Rajput indiani ebbero l’onore di essere i primi ad entrare nel quartiere delle delegazioni.

rivolta dei boxer
I soldati delle forze internazionali assediano Pechino.

Le truppe cinesi si diedero alla fuga. Poco dopo, il generale inglese Alfred Gaselee venne ricevuto da Sir Claude MacDonald in un impeccabile completo da tennis insieme a delle dame vestite a festa. Terminata la battaglia, le truppe dei musulmani cinesi sconfitte, si ritirarono con l’imperatrice a Xi’an. L’imperatrice e la sua corte, una volta abbandonata Pechino il 15 agosto si ritirarono nello Shanxi per due anni. In seguito gli eserciti stranieri consentirono il suo ritorno al trono.

La guerra dei boxer fu un disastro per la Cina ma riuscì a dissipare il destino che sembrava ormai inevitabile, ovvero la colonizzazione straniera del paese e a mantenere unita la nazione. Il movimento boxer si disintegrò proprio durante l’assedio finale. Alcuni uomini vennero arruolati nell’esercito regolare, altri fecero ritorno alle loro case nelle campagne, divenendo inoltre un facile bersaglio per le rappresaglie delle forze straniere. L’occupazione straniera della Cina settentrionale gettò il paese nel caos e fu marchiata dall’infamia delle truppe alleate che compirono ogni genere di violenza e saccheggio. In particolare, i giapponesi si lasciarono andare ad alcune delle parentesi più buie e drammatiche della loro storia, riuscendo a imprimere nell’animo cinese un risentimento che ancora oggi si riflette nelle politiche esteri di ambedue i paesi.

Autore: Matteo Damiani

Eng: The Boxer Rebellion

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