Intervista a Francesco Sisci

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Francesco Sisci è uno dei maggiori sinologi, autori ed esperti di Cina. Attualmente è  professore all’Università del Popolo della Cina.

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Il 23 aprile il presidente Xi Jinping ha fatto un importante discorso sulle religioni. Cosa cambia rispetto al passato?

Xi Jinping ha introdotto un nuovo metodo, almeno teorico, secondo cui modulare i rapporti tra partito e religione. La questione è delicata perché naturalmente tutto deve ottenere la guida del partito e quindi come si fa a gestire le religioni che certamente non possono essere guidate dal partito, perché hanno un’origine indipendente, né il partito che è materialista può guidare delle religioni che sono spirituali? Questa contraddizione tra partito e religione arrivò al punto che, durante la Rivoluzione Culturale, fu proibita la professione delle religioni; poi il partito ritornò sui suoi passi, ma è rimasto comunque un nodo irrisolto, fino ad adesso che con una specie di invenzione linguistica, il partito ha detto che bisogna guidare le religioni, yindao 引导, cioé rispondendo a quella che la religione stessa è. Ci sono vari modi in cinese di dire “guidare” e quindi questo modo di guidare, questa parola che è stata usata, risponde a delle caratteristiche specifiche di ogni religione, perché poi c’è anche il problema che come si guidano i protestanti è diverso da come si guidano i musulmani o i cattolici. Quindi grazie a questa evoluzione linguistica si è trovato un compromesso almeno teorico per cui le religioni sono le religioni, il partito mantiene il suo ruolo guida, però ci sono degli spazi per cui si può lavorare insieme, né gli uni né gli altri sono necessariamente in contraddizione.

E’ una differenza abbastanza sottile in termini linguistici quella di utilizzare il termine yindao 引导 e il termine zhidao 指导. Queste differenze sono percepibili dal cittadino medio cinese?

Purtroppo, o per fortuna, questo discorso non è rivolto al cittadino medio cinese, perché il cittadino medio non deve guidare le religioni. Questo discorso è rivolto ai quadri del partito in generale che devono capire il proprio rapporto con le organizzazioni religiose.

Secondo Lei, si può parlare di riapertura del governo cinese alle religioni?

Senz’altro sì. Il problema è la velocità di questa apertura e naturalmente c’è chi biasima il governo cinese di non aprirsi abbastanza in fretta, ma certamente il governo cinese non è rimasto chiuso. Poi se questa apertura sia sufficientemente ampia e sufficientemente veloce, questo è un altro discorso. Però che ci sia, questo è anche vero.

Secondo Lei, una religione può essere uno strumento utile per costruire la società armoniosa auspicata da Hu Jintao?

Questo è stato detto ufficialmente alle conclusioni del diciassettesimo congresso del partito. Non è una questione di interpretazione, è stato proprio detto specificatamente che non le religioni, perché il partito non entra nel merito delle religioni, ma le organizzazioni e le personalità religiose, distinguendo attentamente tra quello che la religione è nel suo ambito metafisico e l’organizzazione religiosa che è il suo ambito fisico, possono dare un contributo positivo a creare la società armoniosa.

L’organizzazione della Chiesa cattolica cinese è ancora dipendente da Pechino oppure risente dell’influenza del Vaticano?

Questa è una domanda che bisognerebbe rivolgere al Vaticano. I cattolici cinesi riconoscono il papa, ci sono moltissime linee di comunicazione tra la Chiesa cinese e il Vaticano. Al congresso dei giovani a Cracovia, c’erano tante bandiere cinesi, quindi di questa idea che la Chiesa cinese sia divisa dalla Chiesa cattolica universale, non ne ho alcuna indicazione. Quindi credo che dal punto di vista religioso non ci siano cesure.

Come è visto Papa Bergoglio in Cina?

I tweet e le omelie di Papa Bergoglio sono tradotte in cinese e sono diffuse. E’ il primo papa di cui le omelie sono sistematicamente diffuse. Quindi è un segnale positivo.

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