Recensione di ‘Kundun’ di Martin Scorsese

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Martin Scorsese spiazza tutti e se ne va in Tibet a raccontare la storia di un Uomo.

Kundun di Martin Scorsese – 1997

Origine:
Usa
Produttore:
Produzione:
Cappa/De Fina
Distribuzione:
Medusa
Montaggio:
Thelma Schoonmaker
Sceneggiatura: Melissa Mathison
Fotografia:
Roger Deakins
Interpreti:
Tenzin Thuthob Tsarong, Gyurme Tethong, Yeshi Paichang, Kunga Tenzin, Tsewang Migyur Khangsar
Musica:
Philip Glass

Martin Scorsese spiazza tutti e se ne va in Tibet a raccontare la storia di un Uomo.
Tibet. Tenzin Gyatso (Yeshi Paichang), un bambino di tre anni proveniente da una modesta famiglia viene riconosciuto come quattordicesima reincarnazione del Buddha della compassione, destinato a diventare guida politica e spirituale della sua gente. Attraverso gli occhi ed il cuore di Tenzin, nel suo processo di maturazione da ragazzo (Gyurme Tethong) a uomo (Tenzin Thuthob Tsarong), ci si rivela una civiltà che e’ rimasta a noi ignota e al tempo stesso ignara nei secoli all’Occidente. Nel 1950, quandro l’esercito di Mao invase il Tibet, proclamandolo territorio cinese, Tenzin impose una resistenza non violenta, sempre seguendo i principi del Buddhismo.

E’ un bellissimo film, in cui il regista americano continua la sua ricerca stilistica al servizio di una storia avvincente e lirica. Si raccontano i passi di un paese in pace, risucchiato nella spirale intollerante del regime comunista in mano a Mao (bellissima la sequenza del confronto tra il Dalai Lama e il leader cinese), dove la profondità dello script (ad opera di Melissa Mathison) viene rielaborata dalla messa in scena visionaria di Scorsese, in cui le immagini si “staccano dalla pellicola” per diventare sensazioni ed emozioni, disperazione ma dignità nella consapevolezza. Tutto è mano felice: le musiche di Philip Glass, la fotografia di Roger Deakins, le scenografie di Dante Ferreti (il film e’ stato girato in Marocco), ed il cast è praticamente perfetto. Un opera d’arte magnifica, sublime, da non perdere.

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