Intervista a Laura Ciminelli

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Laura Ciminelli, interprete, traduttrice e sinologa, ci racconta la sua esperienza di Cina durante gli anni ’80.

Quando è nato il tuo interesse per la Cina? Cosa ti ha spinto ad intraprendere lo studio e l’approfondimento di questo Paese e della sua lingua?

Ho cominciato a studiare la lingua cinese quasi per gioco, affascinata soprattutto dalla scrittura, ma allora non avrei immaginato che questo sarebbe diventato così importante nella mia vita.  Era l’inizio degli anni ’80, frequentavo la facoltà di Lettere alla Sapienza e il circolo “Lu Xun San Lorenzo” dell’Associazione Italia-Cina. Eventi quali l’ammissione della Cina all’ONU, la visita di Nixon in Cina, la morte di Mao e la successiva ascesa di Deng con le “quattro modernizzazioni” erano state di grande impatto; la Cina con la teoria dei “tre mondi” sembrava indicare un’alternativa alla divisione del mondo in due blocchi e incoraggiare l’ascesa dei paesi emergenti in una prospettiva di pace e collaborazione con l’Europa.

In Italia si usciva a fatica dagli “anni di piombo” e, come è avvenuto altre volte nella storia, alcuni tendevano a vedere nella Cina un modello che oggi definirei utopico, di organizzazione sociale dove funzionava tutto quello che da noi non andava bene. Per me lo studio della lingua cinese rappresentava soprattutto un modo per evitare le strade obbligate che si presentavano al mio futuro e aprire una prospettiva diversa. Mi appassionavano gli studi sul linguaggio e il cinese è di estremo interesse per chi coltiva questo genere di studi, d’altronde la componente visiva dell’ideogramma si incontrava con il mio interesse per il mondo dell’arte. Alla Sapienza ebbi la fortuna di incontrare insegnanti eccellenti che alimentarono il mio impegno nello studio.

Com’è stato il tuo primo impatto con la Cina? Era come te l’aspettavi o è stata una sorpresa?

Sono arrivata a Pechino all’inizio del 1988, il primo impatto è stato la percezione dell’immensa folla di persone nelle strade, una presenza imponente, quasi schiacciante, del collettivo. Questa dimensione di massa secondo me è l’elemento fondamentale dal quale non può prescindere chiunque voglia cercare di comprendere e interagire con il mondo cinese.

In Cina tutto va moltiplicato per mille e mille, persino i monumenti – si pensi all’Esercito di terracotta – ripropongono una ripetizione innumerevole della cifra individuale. La passione per il piccolo, il dettaglio, la scultura di un paesaggio con poesia realizzata su un centimetro da guardare con la lente d’ingrandimento, l’estrema precisione e sensibilità della manualità richiesta da pratiche come l’agopuntura, o l’artigianato tradizionale sono forse da mettere in relazione alla dimensione di grandezza, di maestosità dell’ambiente e della umanità, in cui l’identità individuale si smarrisce.

Attraverso i racconti dei miei colleghi cinesi che parlavano di fame e sofferenze, soprattutto riferite al periodo del “Grande balzo in avanti” e della “Rivoluzione culturale”, ho potuto capire quanto la realtà cinese si discostasse dalla propaganda e dall’immagine utopica che ci eravamo formati in occidente.  Più che una sorpresa direi uno shock… che è stato per me  la prima tappa di un percorso dalle ideologie alle idee.

Quali sono le differenze più forti che hai notato, allora, tra la Cina e l’occidente? Quali somiglianze?

Il culto della libertà individuale, valore supremo in Occidente, non era altrettanto riconosciuto in Cina. Un maggiore senso del dovere nei confronti della società e dell’osservanza degli obblighi derivanti dalla propria posizione sociale era connaturato in un sistema nel quale, ad eccezione delle necessità primarie – la casa, l’alimentazione, il lavoro, il riposo – non c’era molto spazio per altro. Un mio amico con la passione per la pittura un giorno mi venne a trovare con un occhio nero.

Alla mia domanda su cosa gli fosse successo mi rispose: “Mio fratello mi ha picchiato e ha buttato le tele e i pennelli fuori dalla porta di casa. Dice che queste cose non servono ad aiutare la famiglia ad andare avanti” … Questo ragazzo più tardi fu tra gli animatori del movimento di Tiananmen. La cura del corpo come entità spirituale, la pratica delle discipline psico-fisiche tradizionali come il wushu, il taijiquan, il qigong invece, rappresentavano una differenza notevole rispetto alla scissione tra corpo e spirito che ha inciso profondamente nella mentalità occidentale.

Hai mai incontrato delle difficoltà durante la tua permanenza?

Molte le difficoltà di tipo pratico: il clima, l’alimentazione: allora non c’era una grossa circolazione delle merci, e in inverno a Pechino o mangiavi cavoli… oppure mangiavi cavoli. Bisognava far ricorso a integratori e vitamine, in questo gli americani erano molto più smart di noi, che preferivamo affidarci a scorte di pomodori pelati, pasta e parmigiano portati da casa… Non esisteva internet e le comunicazioni con l’Italia erano affidate a costose telefonate intercontinentali oppure a lettere che si rischiava di vedersi recapitare aperte per il controllo censorio.

Quest’ultimo aspetto è stato quello che mi ha creato maggiori difficoltà; chi mi veniva a trovare a casa doveva riportare nome, cognome e orario in una scheda in portineria; lavoravo presso una struttura statale ed ero ospitata nella foresteria della “unità di lavoro”; le autorità si giustificano adducendo motivi di sicurezza, ma anche se di fatto noi stranieri godevamo di una grande libertà rispetto ai cinesi, tuttavia queste forme di controllo mi procurarono un forte disagio psicologico.

Com’era il rapporto tra i cinesi e gli stranieri?

Stranieri e cinesi cominciavano appena a dialogare: i miei amici cinesi mi spiegavano che, prima di Deng, ai cinesi non era consentito nemmeno parlare con gli stranieri. In generale gli stranieri venivano guardati ancora con un certo sospetto, l’ostacolo maggiore per imparare la lingua per me era far capire ai cinesi che parlavo – o mi sforzavo di parlare – la loro lingua: loro cercavano sempre di parlarmi in un inglese spesso molto approssimativo, realizzavano con difficoltà che una straniera riuscisse a parlare la loro lingua. Tra i giovani però era diverso: nell’ 88 si viveva un clima di fermento che avrebbe portato, l’anno successivo, al movimento di Tiananmen.

C’erano numerose occasioni d’incontro, come i concerti di Cui Jian e del suo gruppo “multiculturale” che si tenevano nel ristorante Maxim’s a Pechino. L’ambasciata americana era un punto di riferimento per molti giovani cinesi; compresi allora che esisteva un “mito dell’occidente” che specchiandosi con il “mito dell’oriente” rendeva solo immagini deformate l’uno dell’altro. Era difficile far capire agli amici cinesi che da noi non andava tutto bene, che anche nei paesi occidentali c’erano differenze sociali e problemi come la corruzione, la disoccupazione …

Com’era il rapporto tra gli italiani ed i cinesi?

L’Italia aveva stabilito relazioni diplomatiche con la Cina già nel 1970 e partiva “avvantaggiata” rispetto ad altri paesi, anche se poi forse il vantaggio si è perso negli anni … Da parte mia non ebbi difficoltà – a parte quelle linguistiche – a stringere amicizie che mi aiutarono enormemente a superare le difficoltà e “ambientarmi” nella vita quotidiana alla cinese: i lunghi percorsi in bicicletta, pattinare sul ghiaccio nei parchi, mangiare baozi caldi lungo la strada … si discuteva di tutto e su tutto, e i rapporti umani costruiti a quel tempo sono stati tra i più forti e profondi della mia vita.

Gli aspetti del nostro paese che erano maggiormente conosciuti e apprezzati erano legati all’arte e alla musica. Pavarotti era già stato in Cina nell’86 ottenendo uno straordinario successo mentre proprio nell’88 si svolse a Pechino la prima sfilata di una stilista italiana con trenta modelle cinesi.

Secondo te, quali sono i cambiamenti più evidenti da allora ad oggi?

Quello che è avvenuto in Cina nell’ultimo ventennio è un cambiamento di portata storica, che parte da due famose espressioni di Deng Xiaoping: sulla necessità di “aprire la finestra” all’Occidente, anche se questo avrebbe comportato l’ingresso di mosche e zanzare, e sulla altrettanto doverosa necessità di acchiappare i topi, di fronte alla quale il colore del manto del gatto è di assoluta irrilevanza.

Pragmatismo e circolazione delle idee hanno progressivamente dissolto quell’atmosfera plumbea che avvolgeva la Cina, per i cinesi è stato quasi come un risveglio dall’ibernazione. Nonostante i problemi rimangano ancora numerosi dal punto di vista della libertà d’espressione, la situazione attuale non è assolutamente paragonabile al passato. Il cambiamento si respira nell’aria, si percepisce dagli umori della gente con la quale entri in contatto, che sembra passata dall’apatia all’entusiasmo; la possibilità di costruirsi la propria vita al di fuori degli schemi ufficiali, di viaggiare all’estero, di conoscere la realtà degli altri paesi sono conquiste di enorme importanza, oltre al raggiungimento di un maggiore benessere economico.

Credi che ora sia rimasto ancora qualcosa, della Cina, che hai conosciuto durante il tuo primo viaggio?

Sì, direi i volontari con la fascia al braccio che regolano il traffico – tipicamente sotto l’ombrellino in mezzo agli incroci – fanno le multe a chi butta le cicche a terra e impongono il rispetto delle code alla fermata dell’autobus… per il resto a prima vista è cambiato tutto… ma naturalmente la dimensione di massa è rimasta e cresciuta e certi valori della cultura tradizionale sono rimasti, o forse sarebbe meglio dire riemersi, e probabilmente sono destinati a svilupparsi perché profondamente radicati nella storia e nel pensiero cinese.

Come vedi la società cinese attuale? Per la sua comprensione aiuta di più lo studio della lingua o della cultura?

Oggi si sperimentano differenze sociali che prima erano sconosciute, o al massimo limitate all’elite burocratica. I problemi che affronta la società cinese attuale, forse non si discostano sensibilmente da quelli che viviamo in Occidente. Mi sembra che vi sia però in più, rispetto a noi, una voglia di emergere, di progredire; forse una maggiore fiducia nella possibilità di costruire qualcosa di nuovo nella propria vita attraverso l’impegno personale, nel proprio paese.

La conoscenza della storia e della cultura cinese è sicuramente  indispensabile per la comprensione della realtà attuale, mentre la conoscenza della lingua apre porte che normalmente rimangono chiuse agli stranieri, non tanto perché consente una comunicazione diretta, che si può ottenere anche parlando con i cinesi che conoscono – spesso molto bene – le lingue straniere, quanto perché attiva una maggiore fiducia nell’interlocutore straniero, al quale ci si può aprire e rivelare aspetti che normalmente andrebbero taciuti, per il timore di non essere capiti o per un naturale riserbo; in altre  parole un cinese dirà certe cose solo nella propria lingua, ad una persona di cui riconoscerà l’impegno e la passione nello studio della sua cultura.

Per chi vuole studiare o promuovere lo studio della lingua cinese in Italia, la campagna dei media “anti” Cina può essere un ostacolo?

Credo che l’incompletezza dell’informazione sia un ostacolo non soltanto o non tanto per chi ha interesse per la cultura cinese, quanto in generale nella società, perché non fornisce i dati necessari per formulare un giudizio, crea fraintendimenti e pone le fondamenta per la formazione di luoghi comuni perniciosi.

Penso però che il problema non riguardi solo il giornalismo, ma anche la scuola, con un’impostazione dei programmi molto ristretta e limitata alla storia italiana ed una scarsa o inesistente attenzione alla storia e alla cultura mondiale. Mi auguro che la crescente presenza di alunni di origine straniera nella scuola dell’obbligo possa gradualmente formare dei cittadini più consapevoli dei valori e dei tesori culturali di altri popoli e paesi.

L’era tecnologia ha imposto a tutto il mondo il riaggiornamento del vocabolario. Per l’occidente spesso si utilizzano direttamente i termini dall’inglese. Per chi studia la lingua cinese è semplice rimanere aggiornati sull’introduzione dei nuovi termini e caratteri legati all’era 2.0 ?

Può sembrare paradossale ma una volta superato il grosso ostacolo dell’apprendimento linguistico di base, l’aggiornamento e l’acquisizione, di terminologie settoriali in lingua cinese, presenta meno difficoltà rispetto ad altri sistemi linguistici. Ad esempio nel campo in cui ho maggiore esperienza di traduzione, la medicina, non esiste un linguaggio tecnico che distingue la terminologia medica da quella comune (come in italiano nel caso di sangue/emo, fegato/epato, cuore/cardio, ecc.); i concetti anche più complessi possono essere ricavati dall’accostamento di caratteri relativamente semplici e comuni, questa è una delle risorse straordinarie della lingua cinese che ne garantisce la continua crescita ed evoluzione.

Hai dei consigli per chi come te è interessato a dialogare con la Cina ?

Zaino in spalla e partire… Oggi le occasioni per venire in contatto con il mondo cinese sono moltiplicate rispetto al passato, tuttavia per chi voglia conoscere il paese è indispensabile programmare un viaggio. Per chi ne ha la possibilità, consiglio di seguire un corso breve di lingua, ce ne sono molti di ottimo livello presso le Università cinesi e a Roma il centro culturale Chinalink offre corsi intensivi finalizzati all’apprendimento in tempi rapidi dell’ abc  della lingua cinese.

Chi è Laura Ciminelli

Laura Ciminelli, di origine romana, si è formata in lingua cinese presso l’Associazione Italia-Cina /Circolo Lu Xun, l’Università di Roma La Sapienza e l’Istituto di Studi del Medio ed Estremo Oriente, ha conseguito una Laurea in Lettere, un Diploma di Lingua e Cultura Cinese, l’Attestato ufficiale di Chinese Proficiency HSK ed è iscritta all’Albo dei Periti del Tribunale Civile e Penale di Roma. Ha collaborato come esperta straniera ai programmi in lingua italiana della China Radio International a Pechino. Negli anni ha svolto attività di interprete, traduttrice e mediatrice culturale in diversi settori: radio/tv, tecnico-industriale, giuridico, medico, agevolando nella comunicazione realtà importanti come RAI 3, RAI International, Istituto Superiore MTC Villa Giada, Convegno Ministeri della Salute italiano e cinese e molte altre. Nel 1999 ha fondato e da allora dirige il Centro formazione e promozione interculturale Chinalink a Roma (www.chinalink.it), struttura polivalente per lo sviluppo dei rapporti tra Italia e Cina.

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