Google fuori dalla Cina. Si o no?

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Google fuori dalla Cina

Nonostante ormai sia passata quasi una settimana dall’annuncio a sorpresa di Google di abbandonare il mercato cinese, ancora non si hanno indizi su quanto accadrà nel prossimo futuro.

Repubblica.it annuncia di avere contattato una fonte autorevole di Mountain View che avrebbe confermato che “Google non vuole andare via dalla Cina, ma si opporrà a qualunque forma di filtro”. Sul blog ufficiale di Google non appare alcuna dichiarazione successiva a quelle di Drummond, l’avvocato del motore di ricerca americano. Per ora quindi continuano a mancare informazioni sufficienti per poter offrire qualche risposta soddisfacente. Se Google dovesse rimanere senza condizioni, avrebbe danneggiato irremidiabilmente le relazioni con il governo cinese, come suggerische l’analista di JPMorgan, Dick Wei, e potrebbe essere soggetto ad ulteriori restrizioni.

Secondo l’analisi di Wang Jinjin, di UBS, il risultato delle minacce potrebbe avere compromesso l’immagine di Google presso gli inserzionisti cinesi. Ecco che allora le ferite procurate dallo strappo di Google potrebbero rimarginarsi solo con il tempo. E’ vero però che Google ci ha abituati a continui colpi di scena. Nella giornata di sabato si è registrato anche uno scontro interno alla famiglia Yahoo.

Il partner cinese di Yahoo, Alibaba, di cui la compagnia americana detiene il 40%, ha definito “temerarie” le dichiarazioni di supporto pronunciate da Yahoo nei confronti di Google. Xinhua e i media cinesi, insistono sul teorema che Google avrebbe deciso questa mossa per motivi prettamente commerciali, dovuti sostanzialmente al fallimento del progetto Google.cn. Certo che definire come “fallimento” il secondo posto nel mercato cinese, con una quota superiore al 30% rispetto al diretto rivale Baidu, che per Google vale 400 milioni di dollari l’anno, appare quantomeno esagerato.

Nell’ultimo articolo di Xinhua, A Matter of Business, inoltre ci si chiede come mai Google abbia impiegato così tanto tempo per protestare e la protesta plateale di Google viene interpretata solo come una “questione di business”, come suggerisce l’eloquente titolo. E’ facile immaginare come in queste ore si stiano sviluppando le trattative tra Google e il governo cinese.

In un post apparso sul sito del Wall Street Journal si riprende un’interessante analogia del portavoce del Ministro del Commercio, Yao Jian, che rispondendo ad una domanda sul destino di Google in Cina ha detto: la situazione di Google in Cina è simile a quella delle compagnie cinesi in Africa. Per Google non è facile adeguarsi alle leggi cinesi. Una frustrazione simile è stata vissuta dalle compagnie cinesi nel continente africano. “Recentemente le compagnie cinesi che operano all’estero hanno dovuto affrontare un sacco di problemi … In Africa si deve rispettare l’ambiente, le politiche di assunzioni locali, i sindacati, la religione. Sono tutti problemi che queste aziende devono affrontare regolarmente. Ovviamente vi sono dei vincoli imposti dalle nazioni ospitanti. La cosa più importante è di adeguarsi alle legislazioni del paese ospite. Non dobbiamo creare inquinamento per gli altri. Non si devono creare problemi ambientali. L’Africa è una terra verde. Dobbiamo riparare le loro strade, offrire opportunità lavorative, l’educazione, la salute, etc.” Ha detto Yao.

Google invece sovverte l’ordine naturale delle cose. Non adeguarsi alle normative vigenti in uno stato ospite, vuol dire cercare di sovvertire la società. La Cina è alla costante ricerca di una società moderatamente prosperosa, come è amabilmente definito il modello di sviluppo perseguito da Pechino.

L’intera cronaca della vicenda, che abbiamo seguito in diretta, la trovate così suddivisa:

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