Boom del vino in Cina, ma attenzione ai “bidoni”

Il boom del vino non è più una previsione: è arrivato, ed è scoppiato in modo violento e massiccio.

di Fabio Grasselli

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Il vino è su tutte le riviste, è sui cartelloni pubblicitari di tutta la Cina.

Anche la massa comincia ad interessarsene.

I governi di Spagna, Cile, Sudafrica, Argentina, e Australia (non parliamo della Francia)  si stanno impegnando con tutti i mezzi possibili per promuovere i loro vini qui in Cina.

Addirittura il Cile che ha un PIL nettamente inferiore a quello italiano sta facendo un lavoro più massiccio del nostro.

Il governo finanzia interamente le maggiori cantine per effettuare promozioni in Cina: finanzia interamente viaggio, vitto, alloggio ed eventi negli hotel più prestigiosi a decine di aziende vitivinicole.

Questo è solo un esempio dei molti che si potrebbero fare; noi invece abbiamo migliaia di mervagliose PMI, super tassate, le quali faticano a elargire fondi anche basici, per promuovere i loro prodotti.

Stiamo assistendo ad un momento storico, Dioniso (che in Italia ha trovato il suo giardino ideale) ha fatto il giro del mondo, e ora ha sfondato le porte del Regno di Mezzo.

Come è successo ovunque in varie epoche storiche, prenderà lentamente ma inesorabilmente il suo posto di rilievo nella cultura del posto.

Oggi in Cina rappresenta il lusso, l’emancipazione femminile e di classe, la scalata sociale, la nuova pagina di una nazione che esce da secoli di povertà ma anche da millenni di gloria; rappresenta la loro voglia di emularci, ma anche di superarci, la loro voglia di godere degli agi e delle illusioni del capitalismo.

Oggi è tutto questo e anche di più, ma domani sarà sulle tavole di tutti, e domani gli abitanti di questo Paese saranno quasi 2 miliardi.

Il nostro compito di oggi è innanzitutto la formazione, senza la quale i prodotti di qualità trovano le porte chiuse.

Dobbiamo recuperare la nosta storia, il nostro orgoglio, la nostra vera origine, abbandonando tutti i complessi di inferiorità che portiamo verso i nostri cugini d’oltralpe a cui insegnammo 3000 anni fa a produrre vini di qualità.

Dobbiamo cercare di mantenere l’Italianità anche nei termini dell’enologia, cerchiamo di aprire gli occhi e capire chi siamo e cosa possiamo offrire: un universo di vitigni autoctoni, un universo di tecniche e know-how, un patrimonio immenso di prodotti regionali e di storie che li accompagnano.

Al posto di lasciare tutta questa vergognosa libertà agli speculatori edilizi che deturpano un paradiso, cerchiamo di unirci per promuovere questo territorio meraviglioso all’estero.

E quale prodotto più del vino sa parlare della terra?

Ogni provincia d’Italia ha la sua peculiarità da sfoggiare, per comporre quel complessissimo puzzle dai mille tasselli che forma il nostro stivale.

L’azienda bresciana Sinica, ha intrapreso da mesi il pernicioso progetto di promuovere i vini di qualità in Cina ed è giunta alle prime conclusioni: la formazione e la promozione aziendale sono i due must che in primis le aziende devono affrontare per fare breccia in questo mercato fatto per il 90% da vini “entry level” che si aggirano entro i 2 Euro franco fabbrica.

I gusti, il comportamento del consumatore, i marchi variano considerevolmente da zona a zona della Cina: i consumatori della costa Est sono già leggermente più maturi rispetto ai consumatori dell’interno ad esempio.

Affidarsi ad un importatore cinese è preferibile piuttosto che affrontare il mercato da soli: il mercato in Cina è fatto di conoscenza, le cosiddette guanxi, senza le cui non si riesce nemmeno a sdoganare il prodotto e grazie alle quali si trovano facilmente distributori.

Meglio affidarsi ad un agente che conosca il mercato piuttosto che affidarsi al Fai Da Te: i rischi sono numerosi, un esempio lampante sono gli scammers, i “bidoni” tornati all’assalto negli ultimi mesi, provenienti ora soprattutto dal Sud-Ovest della Cina.

Questi gettano l’esca formulando via internet ordini interessantissimi, a volte palesemente esagerati, soprattutto considerando che nell’Ovest ci sono le zone più povere del Paese; i produttori attratti dal lauto bottino si recano, come da richiesta, in Cina per firmare il contratto.

Alla firma del contratto chiedono un contract fee pari a circa 1500 EUR e chiedono al produttore di offrire una cena, come da supposta tradizione cinese, a tutti i dipendenti, la quale si aggira intorno ai 2000 EUR o più, Il produttore di solito accetta in vista della cospicua vendita che si profila. Quando poi torna in Italia, il finto importatore scompare disattivando numeri di telefono e caselle email.

Come riconoscerli?

I bidoni tendono a non contrattare sul prezzo, mentre i Cinesi di solito lottano anche per mesi per ottenere le condizioni che desiderano; i bidoni firmano subito il contratto e non parlano di esclusiva: l’importatore cinese difficilmente si muove senza esclusiva, almeno biennale, sui prodotti importati.

I bidoni provengono spesso da piccole città (si fa per dire, perchè essi considerano piccole città di 3 milioni di abitanti) localizzate soprattutto nel Sud-Ovest della RPC. Infine gli scammers fanno ordini cospicui, mentre un importatore serio fa spesso piccoli ordini nelle prime fasi, per testare il mercato.

Almeno un’azienda italiana al giorno si trova ad affrontare questi meschini, ma solo il 5% delle aziende denuncia l’accaduto: si tende ad esagerare sul numero dei pallets venduti in Cina e si tende a nascondere i raggiri e le delusioni.

E’ il momento di investire in modo massiccio su questo mercato, in modo mirato e cosciente; è il momento che anche le nostre istituzioni muovano passi decisi per promuovere i nostri ottimi vini in questa nuova assetata frontiera.

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