Intervista a Gabriele Sportoletti: il Made in Italy in Cina

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Gabriele Sportoletti ci parla del “Made in Italy” in Cina.

Molti marchi italiani hanno le proprie aziende di produzione in Cina. Secondo te qual’è la percentuale degli italiani conscia di comprare “Made in Italy” che proviene dalla Cina?

A mio avviso c’è poca consapevolezza perché ritengo che il consumatore abbia un riferimento preciso, nel bene e nel male, del brands.

Vi è una fascia di consumatori che si è “affezionata” a dei brands poiché, negli anni, questi marchi hanno consolidato un’immagine che è garanzia di qualità, per questo la delocalizzazione per alcuni viene considerata un danno d’immagine, poiché sinonimo di minor qualità. E’ davvero così, i prodotti finiti ne risentono?

Alcuni brand di prestigio, non solamente italiani,  hanno già iniziato da anni un processo di delocalizzazione necessario per  essere competitivi, per mantenere marginalità e  per la flessibilità.
Questo processo non ha alterato il fattore qualità perché questi brands hanno lavorato per costruire standard qualitativi, indipendenti dalla geografia produttiva. ll consumatore non percepisce pertanto differenze qualitative se non si verificano fatti anomali tali da associare il minor valore alla delocalizzazione. Alcuni brands usano il “Made in Italy” come un fattore competitivo, come un plus, ma nella realtà il consumatore non ne fa una bandiera e tende a valutare il rapporto qualità / prezzo, più di tutto.


Quali sono le principali differenze tra il “Made in Italy” fatto in Italia dai cinesi ed il “Made in Italy” fatto in Cina ? Quali sono le garanzie per i consumatori?

Saro’ provocatorio; in nessun caso esistono i requisiti per poter marcare un prodotto “Made in Italy”. A volte prodotti Made in Italy cinesi hanno minori qualità del Made in China sotto controllo italiano e a volte è vero il contrario.
E’ giunto il momento di dare maggiore trasparenza e chiarezza al Made in Italy, magari facendo come hanno fatto in Svizzera per gli orologi  “Swiss Made” che comporta regole molto chiare e precise per fregiarsi del marchio.


In un clima di globalizzazione ha senso boicottare il “Made in China” ed acquistare “Made in Italy” cinese ?

Ha senso boicottare prodotti di bassa qualità di qualunque parte del mondo non il Made in China in quanto tale. Penso che il retaggio culturale nei confronti della Cina sia non solo sbagliato alla luce della realtà odierna, ma anche una delle cause della poca considerazione che l’Italia ha di questo mercato.

Spesso i prodotti “Made in China” sono stati bollati come non idonei per i consumatori occidentali ed il fatto di essere a buon mercato li ha portati ad essere collocati tra i prodotti di scarsa qualità. Credi siano cambiati, negli anni, gli standard nel rapporto qualità prezzo?

La Cina che ho vissuto degli ultimi 5 anni è un paese che può produrre sia la bassa che l’ alta qualità. E’ prevalentemente una questione di approccio delle aziende committenti. Scarse informazioni, scarso controllo, scarsa capacità organizzativa, lasciano il produttore cinese libero di interpretare e quindi la possibilità che questo processo porti a risultati naturalmente adatti per il mondo occidentale, è molto bassa.
Mi sembra di poter dire che e’ prevalentemente una questione di approccio.


Vi sono sempre più società italiane che si occupano del design di prodotti cinesi, ad esempio la Tiggo 6 della Chery è di design italiano (Bertone, ndR), come pure designer cinesi o di altre nazioni che si occupano della parte creativa di prodotti “Made in Italy”. Di recente anche la proprietà di alcuni brands italiani è stata acquistata da società straniere, com’è accaduto per “Sergio Tacchini”. Allo stato attuale cosa si intende quindi per “Made in Italy” ?


Il design Made in Italy rimane un valore inalterato ed essenziale. Ma il design da solo non può fare “Made in Italy”. A mio modo di vedere il concetto deve essere ampliato a tutti i componenti di un prodotto: design, ricerca, materiali, industrializzazione. Ferrari è un prodotto Made in Italy, Ducati, le macchine per i packaging di GD e tutti quei prodotti per i quali è necessaria una cultura esclusivamente italiana. Ma questa non è una necessità assoluta per tutto e tutti.

Hai dei consigli per i consumatori che vogliono comprendere la qualità ed il valore dei prodotti che stanno per acquistare?

Avere fiduca nel brand fino a prova contraria.

Negli ultimi trent’anni è aumentata notevolmente la fascia dei benestanti cinesi, ovvero possibili acquirenti e fruitori del mercato del lusso. Vi sono dei vantaggi per i brands italiani, quali?

La Cina ha sorpassato gli Usa per il maggior numero di milionaire e billionaire. E il desiderio di ostentazione della ricchezza passa anche per l’adozione di status symbol. Chi meglio di noi può offrire un’ampia gamma di status symbol? I cinesi amano l’Italia e l’immagine dei prodotti italiani. Bisognerebbe approfittarne di più di quanto non stiamo già facendo.

Secondo te, quali sono le maggiori difficoltà in cui si può imbattere un brand che si vuole promuovere in Cina?

La maggiore difficoltà è la comprensione di un mercato che non si muove come gli altri. Bisogna conoscere le abitudini dei consumatori: come comperano, dove comperano, cosa apprezzano. Poi muoversi attraverso un approccio diretto così come hanno fatto i nostri grandi brands. Purtroppo molte aziende italiane cercano soluzioni tradizionali in un mercato che di tradizionale non ha niente per noi.

La concorrenza locale è un vero problema?

Non attualmente. La Cina ha attaccato l’Europa e gli Usa in settori strategici come aerei, treni, auto. Mancano attualmente competitors in grado di creare un’alternativa credibile ai brands italiani e non parlo solo di fashion ………… attenzione, questo è vero per il momento. Qui accade tutto molto in fretta e non faccio molto affidamento sul fatto che ciò che non è accaduto fino a ieri, non possa accadere domattina.

Chi è Gabriele Sportoletti

Gabriele Sportoletti nel 2003 diventa responsabile operation del gruppo italo spagnolo che produceva e distribuiva nel mondo le scarpe Prelli. Nel 2005 viene inviato in Cina e costituisce la società che supporta la produzione di tutte le scarpe per il gruppo. Nel 2007 fonda Starmax e diventa indipendente, supportando la produzione per importanti brands italiani del lusso. Dal 2005 vive in Cina: Shanghai, Dongguan, Shenzhen. A Shanghai si occupa prevalentemente di borse e valigeria, scarpe e abbigliamento esterno.

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