60esimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese: Una festa, e un’esibizione di forza

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La Cina si prepara a celebrare il 60esimo anniversario della sua fondazione, con una parata militare che metterà in mostra i suoi enormi progressi.

La cerimonia d’apertura delle ultime Olimpiadi, con le sue imponenti ed elaborate coreografie, aveva già impressionato i cinesi e il mondo.

Un anno dopo, in occasione del 60esimo anniversario della Repubblica popolare, Pechino è pronta a replicare lo spettacolo: stavolta con la partecipazione di 200mila militari e una straordinaria esibizione dell’arsenale in suo possesso, che al tempo stesso esalterà la potenza cinese e il patriottismo che oggi permea il Paese.

Le celebrazioni del primo ottobre in piazza Tiananmen – dove nel 1949 Mao Zedong proclamò la nascità della “nuova Cina” – saranno una festa collettiva, con danze e musiche collettive che verranno chiuse da uno show di fuochi d’artificio.

Nel mezzo, si terrà anche la più grande parata militare della storia cinese, con 56 reggimenti di Esercito, Aeronautica e Marina.

Sfileranno carri armati, missili nucleari e convenzionali di varie gittate, mentre il cielo sopra Pechino verrà solcato dai nuovi jet J-10. Per gli spettatori – e le centinaia di milioni che guarderanno lo spettacolo sulla tv statale, che non lesinerà toni propagandistici – non sarà difficile provare un’impressione di potenza in ascesa.

L’atmosfera di festa – nella cultura cinese, il sessantesimo anniversario è paragonabile a un occidentale centenario – è però controbilanciata dall’ossessione per la sicurezza e dall’ulteriore giro di vite sul dissenso.

Sono stati emanati vari divieti relativi ai giorni precedenti e successivi alle celebrazioni: vietato ricevere ospiti e persino affacciarsi al balcone nella zona della parata, proibito far volare anche gli aquiloni già da oggi, esclusa qualsiasi forma di protesta o petizione popolare, oscurati Twitter e Facebook.

Il tutto condito con la solita retorica nazionalista attorno alla politica di “una sola Cina”, applicata a ogni istanza separatista, come quella del Tibet o dello Xinjiang.

I 56 reggimenti, come le 56 variopinte colonne in via di installazione sul viale dove scorrerà la parata, non sono una cifra a caso: rappresentano il numero di gruppi etnici nazionali.

L’esibizione di forza sembra essere gradita ai pechinesi, che ben hanno sopportato i disagi delle prove delle ultime settimane e l’accresciuta sicurezza nella capitale.

Sarà probabilmente condivisa con meno entusiasmo dai governi stranieri.

Le autorità cinesi, riprendendo il solito refrain, si dilungano nel spiegare come la crescita militare della Cina non costituisca una minaccia.

Ma il crescente attivismo internazionale di Pechino – sempre più ferma nelle sue rivendicazioni di territori contesi, e diplomaticamente vendicativa nei confronti di chiunque apra al Dalai Lama o alla leader uigura in esilio Rebiya Kadeer – non è passato inosservato.

Spinta da una crescita annuale a doppia cifra da oltre 15 anni, la spesa militare cinese ha raggiunto quest’anno i 71 miliardi di dollari.

Un ammontare secondo solo a quello degli Stati Uniti, che rimangono irraggiungibili con i loro oltre 500 miliardi destinati alle forze armate.

Pechino sostiene che si tratti di una modernizzazione necessaria, e il ragionamento parte da premesse vere: l’esercito cinese, il più grande del mondo con 2,3 milioni di militari, fino a due decenni fa era deriso dagli analisti per la sua arretratezza, tanto che la ripetutamente minacciata invasione Taiwan – che Pechino considera una provincia ribelle – erano ribattezzata “la nuotata di un milione di soldati”.

La capacità cinese di proiettare militarmente la sua crescente potenza è tuttora limitata: la Cina non ha ancora una portaerei (gli Usa ne hanno 13).

Ma se la spesa continuerà a crescere del 15 percento – e molti analisti sospettano che le cifre reali siano ancora più alte – piano piano il divario non potrà che ridursi.

Fonte: www.peacereporter.net
Autore: Alessandro Ursic

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