Internet e le nuove frontiere digitali in Cina

Da qualche anno a questa parte, anche con un certo ritardo rispetto alla stampa internazionale, i media italiani finalmente si sono accorti della Cina.

Nella maniera sbagliata però, dato che l’informazione italiana, ha preferito dare uno stampo sensazionalista e accusatorio alla Cina, ignorando però sostanzialmente 30 anni di riforme epocali.

Paradossalmente, la Cina di Mao degli anni ’60, la Cina della Rivoluzione Culturale, veniva portata in palmo di mano e veniva illustrata come il paese modello da seguire per le giovani generazioni.

All’epoca però, come più tardi si è venuto a sapere, quello cinese era un regime ferocissimo che versava in un sostanziale stato di confusione e schizofrenia, come un cane malato che continua a mordersi e che provoca così nuove infezioni.

Alla morte di Mao e con la cacciata della famigerata Banda dei Quattro, qualcosa finalmente è cambiato: nuove riforme sono state percorse che negli anni hanno introdotto in Cina nuove opportunità e diritti per i cittadini.

Poi c’è stato il tristissimo episodio di Tiananmen che sembrava avere azzerato tutto, ma che invece ha rappresentato davvero un punto di svolta per le giovani generazioni e non solo.

Purtroppo nell’immaginario collettivo la Cina è ancora quella di Tiananmen.

Non sono state comprese le riforme introdotte, non si è capito come nel paese in un modo o nell’altro siano confluite una quantità inimmaginabile di idee nuove che hanno profondamente mutato il substrato culturale di un popolo, tant’è che oggi, tra un giovane di Pechino e un suo corrispondente di Los Angeles, non c’è molta differenza.

Questo flusso infermabile di informazioni si è prodotto tramite canali differenti: il mercato nero dei vcd prima e dei dvd poi, internet e l’arte hanno contribuito in maniera sostanziale al formarsi di questo flusso.

I corrispondenti dei nostri grandi quotidiani generalmente ogni qualvolta si verifica un blocco di Youtube per esempio, compongono articoli accusatori e paragonano in sostanza la Cina all’Iran o alla Corea del Nord, senza però evidentemente conoscere né i meccanismi che regolano internet, che invece sono più che evidenti a molti giovani cinesi che amano passare le loro serate rinchiusi nei wanba (gli internet caffè), sia internet cinese stessa.

Difatti internet in Cina ha assunto connotati un po’ diversi, ma non troppo dai nostri.

Ma la forma di comunicazione rimane sostanzialmente la stessa (a parte gli impaccati di testo di alcuni popolari siti).

Se si naviga un po’ tra i numerosissimi blog o forum cinesi non si potrà fare a meno di notare alcune cose.

Si parla di tutto, niente viene tralasciato, c’è spazio persino a critiche dirette ed esplicite verso il governo o le sue diramazioni locali, nonostante sempre più spesso appaiono lungo i bordi del browser le gif animate della cyber police che dovrebbero pattugliare virtualmente questi spazi pubblici.

E’ vero che ogni tanto un blogger viene arrestato, ma non è possibile non notare che il numero degli attivisti politici fermati dalle autorità è calato paurosamente; fino a qualche anno fa i perseguitati politici erano migliaia, oggi si contano sulle dita di una mano.

E inoltre i loro arresti sono stati effettuati con la connivenza di società occidentali come Yahoo, che qualche anno fa finì nel mirino delle critiche internazionali per avere fornito i dati personali di un blogger dissidente.

E’ ovvio e palese a tutti che un comportamento del genere è tutto fuorché democratico, ma non si può negare che un progresso inarrestabile sia in corso e sotto i nostri occhi.

A parte tutto ciò, il famoso e Great Firewall , come la Grande Muraglia originale del resto, è completamente inutile, giacché in Cina sono più che popolari i proxy.

E’ vero che ogni giorno ne vengono chiusi, ma con la stessa frequenza con cui vengono bannati, ne appaiono di nuovi.

Per cui gli sforzi dell’esercito messo in campo dal governo cinese per cercare di frenare questo flusso di informazioni, è sempre destinato a scontrarsi con la realtà.

Per cui è sostanzialmente inutile continuare a girare attorno a questo argomento, perché non riflette minimamente la realtà cinese e denota anche un atteggiamento paternalistico a cui sta dietro una pericolosa equazione: “i cinesi, poveretti, non sono in grado di capire che vivono in un regime totalitario e dobbiamo spiegargli noi qual’è la via da seguire”.

Senza magari poi immaginare neppure che una democratizzazione troppo repentina, in un paese non avvezzo a questo modo di vita, può avere conseguenze catastrofiche; basti pensare alla Russia della perestroika e a quello che è successo a posteriori.

Un altro esempio lampante è Taiwan, dove per decenni è stato al potere il Guomintang, il Partito Nazionalista cinese, che ha governato non proprio con un regime democratico e solo recentemente si può parlare di democrazia reale, punteggiata da scandali e dalla corruzione.

Se si può accettare l’dea che Taiwan abbia impiegato più di 40 anni per maturare una democrazia, è ovvio che è sostanzialmente irrealistico pensare che un paese con un miliardo e mezzo di abitanti, in via di sviluppo, debba percorrere un percorso del genere in cinque.

Tutto ciò non toglie che lo stesso governo cinese faccia due passi avanti e uno indietro.

Recentemente difatti, in coincidenza con l’ultimo blocco di Youtube e di Veoh, sono state introdotte alcune norme assolutamente irrealistiche e contraddittorie per regolare il settore del video sharing in Cina.

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