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Yu Hua (余华; Yú Huá) è un autore cinese, nato il 3 aprile 1960 a Hangzhou, nella provincia dello Zhejiang.
Poco dopo il suo debutto come scrittore di fiction nel 1983, Yu Hua fu considerato uno scrittore promettente di avanguardia o post-New Wave.
Molti critici lo considerano anche un paladino della scrittura metafisica o postmodernista cinese.
Quando il suo stile di scrittura cambiò verso una narrativa più “psicologizzata” negli anni ’90 e sperimentò temi più caotici come nei Fratelli, Yu Hua ricevette forti critiche da parte di critici e lettori.
Yu Hua nasce ad Hangzhou il 3 aprile 1960 da due genitori entrambi medici.
Quando Yu Hua ha un anno il padre si trasferisce ad Haiyan dove diventa medico chirurgo e poco dopo viene raggiunto dalla moglie con i figli.
L’infanzia di Yu Hua è un’infanzia abbastanza solitaria; i suoi genitori passano la maggior parte della giornata in ospedale e non hanno tempo di occuparsi di lui che resta affidato alle cure del fratello, che non se ne preoccupa eccessivamente.
Nel ’73 Yu Hua termina le scuole inferiori; nello stesso anno riapre la biblioteca del paese ed egli comincia ad amare la letteratura.
Terminate le scuole superiori nel ’77 studia per diventare medico dentista, questo lavoro lo lascia pero’ insoddisfatto poiché egli guarda a qualcosa di più libero, di più creativo, che gli permetta di esprimersi.
In seguito lascia Haiyan per Jiaxing e quest’ultima per Pechino, nonostante questo, però, Haiyan resta sempre nella sua opera.
I suoi ricordi infantili della città, in particolare, si ritrovano in alcuni racconti.
Quando Yu Hua comincia a scrivere ha ventitre anni, i suoi primi lavori sono Il primo ostello (Di yi sushe, 1983) e Colombi, colombi (Gezi, gezi, 1983).
Nell’84 pubblica un nuovo racconto Stelle (Xingxing, 1984) seguito da La luna ti illumina, la luna mi illumina (Yueliang zhaozhe ni, yueliang zhaozhe wo,84).
In questo periodo egli nutre una vera adorazione per lo scrittore giapponese Yasunari Kawabata di cui ricerca tutti i lavori tradotti in cinese e le opere critiche che lo riguardano.
Kawabata influenza Yu Hua facendogli decidere che il vero scopo dell’arte e della letteratura è mostrare le sensazioni, i sentimenti umani.
Nei suoi primi lavori, quindi, si trova la rappresentazione dei sentimenti giovanili dell’uomo, i suoi sogni, le sue speranze, tutte cose che sono ormai scomparse dal mondo odierno.
Egli però le riscopre attraverso i suoi personaggi che vengono dipinti come positivi, onesti, fiduciosi nell’avvenire, che si scontrano con la realtà mantenendo però intatta la propria integrità morale.
La realtà è rappresentata quindi come qualcosa di negativo così come la civiltà che, se da principio ha salvato l’uomo, lo trascina ora in un mondo senza sogni, senza sentimenti, senza emozioni; tuttavia Yu Hua non vuole spiegare questo mondo ma semplicemente narrarlo, descriverlo come lui stesso lo vede.
Emerge così la sua visione del mondo consapevole dell’esistenza di malvagità e ingiustizia ma fondamentalmente ottimista verso la vita e verso l’uomo immerso in una realtà caratterizzata dalla ricerca del sogno.
Questi primi racconti sono considerati dalla critica come ancora tradizionali; mancano infatti di idee veramente nuove e anche la loro forma è regolare, non innovativa.
In essi è molto forte l’influenza di Kawabata che rischia però di trasformarsi in una prigione dove viene rinchiuso; nell’85 tuttavia un avvenimento casuale lo libera da questo vincolo cambiando la sua concezione letteraria e il suo futuro modo di scrivere.
In quell’anno infatti, grazie ad un suo amico che acquista una raccolta di racconti ad Hangzhou, egli fa il suo primo incontro con Kafka, dal quale capisce all’improvviso di non aver più bisogno di Kawabata e di poter scrivere in maniera completamente differente.
Attraverso la lettura di Kafka capisce che se vuole liberare la propria forza immaginativa ed espressiva non deve lasciarsi incatenare da nessun tipo di influenza, compresa quindi anche quella dello stesso Kafka.
Yu Hua spera ora di riuscire ad esprimere veramente le proprie sensazioni nei confronti del mondo che egli percepisce come gelido, dal cuore di pietra; questo è per lui un mondo desolato, impazzito, in cui dappertutto c’è alienazione e lacerazione, un mondo inconoscibile, falso, a cui non ci si può appoggiare.
Il 1986 è quindi per Yu Hua un anno cruciale; le sue riflessioni sulla vita e sul mondo lo portano ad imboccare una via letteraria completamente diversa dalla precedente in cui al mondo sereno, alla base positiva dei suoi racconti si sostituisce un mondo crudele, violento, testimone della malvagità umana.
Anche il suo approccio al testo cambia; se prima si trovava nei suoi scritti una certa malinconia, si assiste ora alla più totale indifferenza che si manifesta attraverso il dispiegamento di realtà crudeli senza il minimo accenno a un qualche tipo di giudizio, sia esso positivo o negativo.
Da queste riflessioni prende il via un nuovo modo di scrivere caratterizzato da una forte coscienza individuale, il primo lavoro di rottura con la sua narrativa precedente è Viaggio a 18 anni.
Questo racconto testimonia il profondo cambiamento avvenuto nello scrittore, è il punto di partenza della sua nuova concezione artistica; il viaggio del protagonista è il viaggio dello scrittore stesso che, raggiunta la maturità, si avventura alla scoperta del mondo (in questo caso del mondo artistico).
Nei lavori di Yu Hua la violenza è un sostituto alla logica convenzionale nella spiegazione del comportamento umano; a volte nei suoi racconti questa violenza prende la forma della pazzia come ad esempio nel racconto intitolato1986(edito in Italia nella raccolta Torture) dove questa pazzia è palese e si manifesta rispettivamente come mania di persecuzione e come inflizione di pene, come in Un tipo di realtà, dove è più velata e agisce su un altro livello smascherando la realtà dei rapporti familiari.
Il racconto 1986 si apre con il resoconto dell’antefatto: un professore di storia, esperto nelle antiche punizioni, viene portato via dalle Guardie Rosse e scompare nel nulla lasciando la moglie e una figlia.
Tornato al presente il racconto prosegue con l’apparizione di un pazzo nella città e con lo sconvolgimento che questi vi porta; il pazzo gira per la città inscenando le cinque antiche punizioni (marchio col fuoco, amputazione del naso, della gamba, castrazione e decapitazione) fino al punto di metterle in atto su se stesso.
L’apparizione del pazzo porta nella vita della ex moglie del professore, risposatasi, e della figlia una notevole e inspiegabile inquietudine: esse infatti non riescono a mettere in relazione il pazzo ed il loro passato.
Quando alla fine il pazzo viene portato via esse provano un immediato sollievo; la vita ricomincia tranquilla come prima e anche la città ritrova la propria serenità.
Anche in questo racconto c’è forte scambio tra reale ed irreale, fra effettivo e immaginario.
Più che di immaginazione si tratta qui di vere e proprie allucinazioni; al pazzo, infatti, sembra realmente di applicare le cinque antiche punizioni sulla folla attonita, allo stesso lettore pare che queste sue azioni accadano veramente.
Solo un brusco cambio di prospettiva nella narrazione, cioè dal pazzo alla folla, il lettore ritorna alla realtà e si rende conto che si trattava di semplici allucinazioni.
Tutte queste azioni del pazzo vengono vissute dalla folla con indifferenza; nel momento però in cui il pazzo comincia a infliggere su se stesso le punizioni allora la folla reagisce inorridita cercando di allontanarlo.
Questa indifferenza e questa reazione sono esempi tangibili della situazione cinese odierna; stando al titolo del racconto, infatti, sono passati esattamente 10 anni dalla fine della Rivoluzione Culturale e la gente ha ormai dimenticato.
La stessa città del racconto è un luogo moderno, sereno, lontano ormai dagli incubi del passato, è un altro mondo rispetto alla Cina precedente; il pazzo rappresenta il legame fra questi due mondi vivendo nel mondo nuovo ma portando dentro di sé gli incubi di quello vecchio, rappresenta l’aspetto crudele della storia cinese che si ripete e di cui la Rivoluzione culturale non è che l’ultima espressione.
La gente però non vuole ricordare il passato e ostenta quindi dapprima indifferenza e poi, quando gli orrori diventano reali, quando il pazzo riporta la storia al presente, rifiuto; cerca quindi di allontanare il pazzo e tutto quello che egli porta con sé.
La Cina ha dimenticato buttandosi a capofitto nella nuova modernità, ma questo sereno presente ottenuto dalla repressione del passato, è fragile e precario perché il passato si annida comunque dietro alla facciata di serenità nonostante gli sforzi per cancellarlo.
Violenza e pazzia si mescolano anche in Un tipo di realtà, racconto nel quale la pazzia viene rappresentata come lucido momento di vendetta.
Il racconto si apre con una normale scena di famiglia: due fratelli con le rispettive mogli e figli sono riuniti al tavolo a fare colazione insieme alla vecchia madre.
Quando i genitori escono a lavorare il più grande dei due bambini prende il cuginetto in fasce e lo porta fuori facendolo poi cadere a terra e morire.
Quando i genitori tornano a casa e scoprono l’accaduto la vendetta si abbatte sull’altro bambino che viene ucciso dallo zio.
Il padre del bambino uccide a sua volta il fratello architettando in segreto la propria rivincita e il racconto finisce con questi che viene catturato dalla polizia, giustiziato, sezionato e privato dei propri organi.
In questo racconto tutti i personaggi vivono nella più totale alienazione; essi non dimostrano emozioni o riflessioni morali ma agiscono come degli automi senza rendersi conto delle loro azioni, della gravità di queste.
Il motivo scatenante della tragedia, l’uccisione del piccolino da parte del cugino, non avviene per un vero motivo, ma accade così per caso, perché il bambino si era stancato di tenerlo in braccio lasciandolo cadere soprappensiero andandosene.
Anche la scoperta della morte del piccolo da parte del cugino è priva di emozione ed egli forse non se ne rende neanche conto.
Se tale vuoto emozionale può essere scusabile in un bambino diventa però inaccettabile in un adulto.
Quando ad esempio il figlio viene ucciso, Shangang, il padre, non mostra alcun dolore ma registra semplicemente quello che sta accadendo.
Questa totale mancanza di emozioni trasforma i personaggi in semplici superfici fisiche privandoli di un nucleo centrale.
Yu Hua registra nel suo lavoro la scomparsa dei valori tradizionali, della famiglia tradizionale, la sua disintegrazione in costituenti negativi che interagiscono tra loro in modo inumano; le strutture sociali restano intatte ma si svuotano di significato.
Questo problema è a sua volta rappresentativo di un problema culturale più vasto e cioè della scomparsa di norme morali e dell’assenza di nuovi valori che possano rimpiazzarle.
Il racconto Passato e pene (Wangshi yu xingfa,1989) si apre con un misterioso telegramma privo di mittente su cui c’è scritto -ritorna presto- e che porta il protagonista, chiamato semplicemente lo straniero, ad intraprendere un viaggio.
Egli giunge dopo qualche giorno in un piccolo villaggio chiamato Nebbia dove trova un esperto di punizioni che lo sta aspettando.
L’esperto rivela allo straniero di averlo chiamato per essere aiutato; di tutte le pene che ha studiato e inflitto nel passato, infatti, due devono ancora essere provate e lo straniero avrà il privilegio di sperimentarne una.
Gli elenca quindi le varie pene e le giornate a cui sono state applicate e queste corrispondono proprio a particolari giornate che ossessionano i ricordi dello straniero; questi capisce quindi che l’esperto di punizioni gli sta dando la possibilità di riunirsi con il proprio passato.
Una sola data resta però fuori ed è proprio quella a cui lo straniero non riesce a ritornare.
L’esperto di pene, dopo aver fallito due volte nell’esecuzione dell’ultima punizione, che doveva applicare a se stesso, si dà la morte per impiccagione e lo straniero, disperando ormai di ritrovare la data mancante, la scorge infine scritta su un foglietto accanto al corpo dell’esperto, completando la ricongiunzione col proprio passato.
Anche in questo racconto si assiste al dispiegamento della storia, rappresentata dal ricordo del passato come elemento negativo; essa viene infatti rappresentata solamente da differenti modi di torture ed esecuzioni.
La storia viene vista come momento di crudeltà, di pena, dolore e morte; scompare nei racconti di Yu Hua l’alone di magnificenza dato alla storia dall’ufficialità e restano solo l’orrore e la crudeltà come momenti riassuntivi del trascorso storico.
La storia non è più un esempio, un modello a cui riferirsi e da cui imparare, ma si trasforma in un incubo che si vorrebbe dimenticare ma che ritorna sempre a ricongiungere il presente al passato.
Un altro racconto incluso nella raccolta Torture è Errore in riva al fiume, storia poliziesca che mette in scena una serie di omicidi, commessi tutti nello stesso modo, avvenuti sulla riva di un fiume.
L’ispettore incaricato delle indagini interroga tutte le persone in qualche modo collegate ai delitti senza arrivare al vero assassino.
Questo viene alla fine riconosciuto in un folle del villaggio che però non può essere arrestato in quanto insano di mente e quindi viene internato.
Due anni dopo tuttavia ritorna al villaggio e commette un nuovo crimine; a questo punto l’ispettore lo avvicina e lo uccide.
Costituitosi alla polizia cede alle insistenze della moglie e del commissario che lo esortano a fingersi pazzo per evitare la carcerazione, cosa che lo porta ad essere rinchiuso in un ospedale psichiatrico.
In questo racconto la tradizionale formula delle storie poliziesche viene rispettata; si svolgono delle indagini, ci sono dei testimoni, si interrogano i sospetti, si trova infine il colpevole.
Tuttavia proprio a questo punto le regole convenzionali si interrompono, la scoperta del colpevole infatti è irrilevante non essendo il pazzo imprigionabile.
Pagano invece le conseguenze il principale sospettato che, scoperto il nuovo omicidio, si suicida per paura di essere incolpato, e lo stesso ispettore che viene punito per il suo farsi giustizia da solo.
Colpevolezza e innocenza si confondono quindi fino ad invertirsi i ruoli; il genere narrativo perde così di significato trasformandosi in un’assurda rappresentazione della realtà in cui l’innocente viene sospettato e il colpevole non viene punito.
Nel 1992 escono altri due lavori di Yu Hua: Morte di un proprietario terriero e Vivere!, accomunati anche dall’avere come protagonista il figlio di un proprietario terriero.
Fugui, figura principale in Vivere!, in una notte perde al gioco tutto ciò che era stato messo da parte, da generazioni, dalla sua famiglia.
Da quel momento inizia la sua semplice e intensa vicenda di contadino diseredato: la fame, la guerra, la carestia, la fatica, le privazioni e la perdita di tutti i propri cari in una tragica catena di eventi.
Il romanzo si apre col vagabondare dell’autore alla ricerca di ballate popolari per le campagne, quando si imbatte proprio in Fugui che, ormai vecchio, ara il campo con un bue che chiama col nome dei suoi cari scomparsi.
All’ombra di un albero, il vecchio contadino narra all’autore le vicende ironiche e pietose che il destino ha riservato a lui e alla sua famiglia.
Interessante è la maniera in cui l’autore si pone di fronte al destino umano poiché, nonostante il feroce accanimento della sorte che ha riservato a quest’uomo solo dolori e umiliazioni, si può cogliere tra le righe del romanzo un barlume di speranza, una vena di ottimismo, nel fatto che l’uomo riesce a trovare un valore positivo nell’esistenza come valore intrinseco; Fugui infatti riesce a trovare l’energia per andare avanti a dispetto del peso incombente del passato.
Successivamente al romanzo Vivere! escono L’eco della pioggia e Cronache di un venditore di sangue.
In quest’ultimo romanzo, l’autore narra la vita di Xu Sanguan, operaio in una fabbrica di seta, che sposa una fanciulladi nome Xu Yulan con la quale forma una famiglia allietata dalla nascita di tre figli.
Xu Sanguan è così orgoglioso dei suoi figli da chiamarli Felice Uno, Felice Due, Felice Tre.
Il romanzo si apre col protagonista che dalla città va nel suo paesino natale a trovare il nonno che per la prima volta lo porta a conoscenza della possibilità di vendere il sangue all’ospedale della città, nei casi di bisogno estremo.
La schietta umanità di Xu Sanguan, la sua arte di arrangiarsi, il suo saggio non voler capire le cose che gli succedono gli permette di attraversare giorno dopo giorno tutti i problemi che gli si parano davanti senza mai perdere la sua autenticità, la sua integrità, anche in situazioni a dir poco critiche.
Nel corso del romanzo si viene a sapere che Felice Uno, probabilmente, non è il figlio del protagonista ma di un personaggio di nome He Xiaoyong detto “He il codardo”.
Accade poi che proprio Felice Uno, per difendere i fratelli, mandi all’ospedale a colpi di pietra il figlio del fabbro del villaggio.
A causa di ciò il fabbro pretende che uno dei due presunti padri si accolli le gravose spese ospedaliere per le cure del figlio ferito.
Xu Sanguan reagisce con estrema umanità lasciandosi pignorare i mobili della casa e riconoscendo addirittura che se Felice Uno fosse davvero suo figlio, sarebbe il suo preferito.
In seguito lo stesso Felice Uno viene portato dalla madre a Shanghai per urgenti cure ospedaliere e Xu Sanguan li raggiunge in folle viaggio dove ad ogni tappa vende il suo sangue per poter pagare le cure del figliastro rischiando più volte la salute e la vita stessa; l’estrema risorsa di vendere il sangue nei momenti di estremo bisogno è qui descritto come una specie di talismano, dono degli avi e perciò da usare con cautela e parsimonia.
Dopo i due precedenti romanzi Yu Hua in questo Cronache di un venditore di sangue dimostra di aver raggiunto una maturità e una capacità di espressione che gli permettono di scrivere un romanzo dai toni molto più vari dei precedenti, dal comico al grottesco, dal commovente all’ironico, dal violento al tragico.

CinaOggi.it è un sito sulla Cina curato da Matteo Damiani e Dominique Musorrafiti. Il sito, dal 2002, cerca di offrire una panoramica sulla cultura cinese contemporanea e tradizionale.