Recensione de ‘La porta proibita’ di Tiziano Terzani

La porta proibita di Tiziano Terzani. “Diventai Deng Tiannuo nel 1968.”

di Antonio Liaci

Comincia così la storia cinese di Terzani che dopo gli studi alla Columbia University, una volta pronto per il viaggio nella Cina di Deng Xiaoping, giunge a Pechino nel gennaio del 1980 con la sua famiglia.

La nuova politica detta della “responsabilità” che nelle campagne Deng Xiaoping contrappone alle Comuni Popolari del Grande Timoniere, e la sostituzione del vecchio ideale del “servire il popolo” con quello de “l’arricchirsi è glorioso”, segna una nuova era di contraddizioni, di libertà fittizie tenute sotto controllo dai segretari del partito.

Queste contraddizioni appaiono in tutte le loro devastanti conseguenze, perché la privatizzazione dell’economia ha indotto la popolazione a credere di poter muoversi con libertà e che il controllo da parte dello Stato non fosse così pressante come durante il governo di Mao.

Questa eccessiva licenza fece intervenite il governo incrementando gli organi di polizia.

Si ristabilì dunque lo stato di polizia che regnava durante la Cina del Grande Timoniere, in cui ognuno era il poliziotto del vicino.

Terzani descrive il degrado della città di Pechino, una volta ricca di storia, di templi, di ricchi palazzi, e ora ridotta ad un immenso dormitorio per operai.

La distruzione cominciò nel 1950, quando, su ordine di Mao, nottetempo gli operai incominciarono lo scempio delle antiche mura.

Uno scempio frutto delle idee della cosiddetta Rivoluzione Culturale.

Nel 1980 la distruzione della storia e delle religioni in Cina continua, non più seguendo i dettami di Mao, ma perseguendo la politica edonistica di Deng Xiaoping, che ha fatto sostituire alle antiche pagode immensi blocchi di cemento, lasciando, non al popolo cinese, ma agli spettatori paganti, un palliativo fatto di templi restaurati e ricostruiti malamente in posti diversi dagli originali.

Le minoranze vivono separate dai cinesi colonizzatori, sia culturalmente che fisicamente, in Tibet (dove il marxismo-leninismo portato con la forza con la guerra di “liberazione” dai cinesi, sembra non aver intaccato la fede religiosa) come in Kashgar (tra la Cina e l’Asia centrale) dove chi si trova ai vertici del potere è sempre un cinese.

Dal luglio del 1980 la politica sul controllo delle nascite si esprime crudelmente con l’applicazione severa ed inumana della legge che trova la sua espressione nel postulato di “un solo figlio per coppia”.

I trasgressori, coloro che non si attengono alla regola mettendo al mondo più di un figlio (spesso nel tentativo di dare alla luce l’erede maschio della famiglia) sono puniti con multe e (molto spesso) con l’aborto.

“La folla viene convocata in una grande piazza o allo stadio; gli imputati, le mani legate dietro la schiena, la testa rapata, lo sguardo a terra, vengono trascinati al centro dell’arena […] i condannati vengono messi in fila e fatti inginocchiare. […] Un poliziotto nell’uniforme dell’ufficio della Pubblica Sicurezza passa dietro a ognuno e spara un con la sua pistola d’ordinanza”.

Tutto ciò succedeva nel 1980, ma le notizie che ci giungono oggigiorno non sembrano molto diverse da quelle che Terzani riporta.

La comminazione della pena di morte è ancora vigente ed attiva in Cina, come a dimostrare che a Pechino, Nanchino o Sciangai tutto cambia, tutto si trasforma e ciò, secondo la concezione cinese, è come dire che tutto rimane immutato.

Il viaggio attraverso la Cina si conclude il 5 marzo 1984.

Deng Tiannuo smette di esistere.

Terzani dopo quattro anni passati a Pechino abbandona gli abiti cinesi ed indossa la cravatta, riempie i formulari della dogana in inglese e non più in cinese.

Viene accusato di vilipendio al presidente Mao e al Partito Comunista cinese (probabilmente a causa dei suoi articoli controcorrente) e di furto di “tesori nazionali” (tra i quali si annoverano la copia di un tanka acquistato e stampato a Londra ed un’incensiera in ottone fattasi costruire qualche mese prima), rieducato dai commissari del partito (costringendolo a redigere una sorta di mea culpa) ed infine espulso.

Un saggio importante sulla Cina degli anni ’80 dove la perizia giornalistica si unisce all’amarezza di un uomo le cui aspettative sono rimaste rinchiuse in un’aula della Columbia University, di un uomo sconvolto dalla realtà e che ha pagato con l’espulsione il coerente esercizio della sua professione, colpevole di aver dischiuso la porta proibita.

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