I monumenti funerari appartenuti a potenti stranieri di origine iranica recentemente scoperti in Cina

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Gli studi iranistici in Cina hanno conosciuto negli ultimi venti anni un periodo particolarmente felice.

di Matteo Compareti
(Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”)

A un nutrito gruppo di ricercatori specializzati distribuiti tra le principali università del paese (Pechino, Hangzhou, ecc.) si aggiunge ora una serie di scavi scientifici (alcuni dei quali davvero recentissimi) condotti nelle zone attorno a Xi’an (provincia dello Shaanxi) nonché nel Gansu e nel Ningxia (Cina nord–occidentale). La nuova, attivissima, generazione di archeologi cinesi ha consentito inoltre di attribuire con un buon margine di certezza altri monumenti funerari comparsi da tempo sul mercato antiquario e oggi parte di numerose collezioni pubbliche e private.

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La conferenza “I Sogdiani in Cina. Nuovi studi storici, archeologici e filologici” tenuta a Pechino tra il 22 e il 25 aprile 2004 ha riunito la maggior parte degli esperti cinesi di questo settore e anche parecchi studiosi giunti da tutto il mondo. I locali della Biblioteca Nazionale di Pechino non hanno ospitato solo la conferenza, ma anche una piccola sebbene documentatissima mostra sull’attività dei Sogdiani in Cina. Tralasciando l’aspetto prettamente storico e filologico della suddetta conferenza, ci concentreremo piuttosto sulle scoperte archeologiche rese pubbliche proprio in questa occasione. Difatti, prima che gli scavi portassero a tali risultati, l’attività delle popolazioni di origine iranica (quali Persiani e Sogdiani) nel Celeste Impero era nota solo dalle fonti scritte e da pochi indizi rintracciabili nell’arte cinese dell’epoca che va dalla caduta dei Han Orientali (25–220 d.C.) alla caduta dei Tang (618–906 d.C.). Le prime avvisaglie di una presenza stabile e certamente considerevole di Sogdiani in Cina si ebbero verso la fine degli anni ’50 del secolo scorso allorquando una studiosa americana risalì all’origine di un letto funerario atipico comunemente noto come “letto funerario di Anyang” sulla base dei suoi elementi decorativi. Il tema riguarda scene tratte dalla vita di un personaggio non cinese ma la cui posizione all’interno dell’amministrazione imperiale doveva essere tutt’altro che di secondo piano. I pannelli del letto funerario di Anyang riportano scene conviviali (fig. 1), processionali e religiose tra cui, forse, sacrifici di animali.

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Compaiono poi moduli decorativi di taglio tipicamente iranico come i cosiddetti “medaglioni perlati”, vale a dire cornici circolari lungo il cui bordo corrono file di dischi lasciati più chiari, contenenti vari soggetti: nel caso del letto funerario di Anyang si tratta di musicisti (fig. 2). Questo monumento si trova oggi smembrato presso le collezioni di svariati musei in Europa e America e la sua attribuzione a un ricco sogdiano attivo in Cina nel VI secolo è unanimemente accettata.

Si è parlato poc’anzi delle genti iraniche presenti in Cina nel periodo di transizione compreso tra la caduta dei Han (220 d.C.) e l’ascesa dei Tang (618 d.C.) comunemente noto come epoca delle “Dinastie del Nord e del Sud”. Tale nome deriva dal fatto che mentre il nord dell’antico impero cadeva preda delle invasioni di popolazioni “barbare” di stirpe turca e (probabilmente) proto–mongola, le grandi famiglie aristocratiche han trovavano rifugio a sud del Fiume Giallo, stabilendovi nuove dinastie. Le ambasciate provenienti dai regni vicini considerati tributari dall’amministrazione cinese comprendevano anche spedizioni dalla Persia (all’epoca governata dalla potente dinastia dei Sasanidi, 226–642) e dalla Sogdiana.

I Sogdiani erano un popolo di lingua e cultura iranica stanziati a cavallo degli odierni Uzbekistan meridionale e Tajikistan occidentale lungo il corso del fiume oggi noto come Zerafshan. La loro patria, la Sogdiana, viene citata per la prima volta in un’iscrizione del re persiano Dario I (522–486 a.C.) ascrivibile al VI secolo a.C. Con l’invasione dell’impero persiano da parte di Alessandro Magno anche le regioni dell’Asia centrale passarono sotto il controllo macedone e la capitale del regno sogdiano, Maracanda (l’odierna Samarcanda), oppose una strenua resistenza vedendosi costretta alla fine a cedere dinanzi alle armate del grande condottiero.

Alessandro, seguendo il suo sogno di fusione tra il mondo greco e quello iranico, diede l’esempio ai suoi generali sposando la bellissima Rossane –figlia di Ossiarte, un capo locale– da cui forse ebbe anche un erede. Alla frammentazione dell’impero macedone avvenuta con la morte di Alessandro a Babilonia nel 423 a.C., la Sogdiana si trovò automaticamente inglobata all’interno del regno cosiddetto greco–battriano ma riuscì presto a rendersi indipendente sebbene sempre soggetta alle incursioni da parte dei nomadi.
Una caratteristica costante nella storia di questa regione storica è stata sempre l’esposizione alle invasioni da parte degli imperi attigui (Persiani, Macedoni e Cinesi) e anche da parte dei regni nomadici più minacciosi lungo il fronte orientale. I Sogdiani non costituirono mai un regno unitario ma piuttosto un insieme di principati nominalmente retti dal re di Samarcanda.

I contatti con la Cina sono attestati almeno dal III secolo d.C. fino all’invasione araba avvenuta agli inizi dell’VIII secolo d.C. I Sogdiani erano abili mercanti ma le loro conoscenze e la loro esperienza in questioni internazionali li rendevano particolarmente utili agli imperatori cinesi per mantenere i rapporti diplomatici con le entità statali dei nomadi centrasiatici, molto aggressivi e per niente bendisposti nei confronti del Celeste Impero. Le fonti cinesi riportano anche notizie dell’impiego di ambasciatori sogdiani inviati a corte dai sovrani dei regni nomadici. Grazie a un sistema di colonie commerciali stanziate in tutta l’Asia centrale, i Sogdiani furono in grado di dominare la grande carovaniera universalmente nota come “Via della Seta” che collegava la Cina con il bacino mediterraneo fino all’arrivo degli Arabi. Con l’islamizzazione di tutta la Transoxiana (la regione, cioè, posta al di là dell’Oxus o Amu Darya) anche il culto e le tradizioni di stampo zoroastriano presenti in Sogdiana vennero mano a mano abbandonati a favore della religione monoteistica professata dai nuovi invasori. Le successive ondate migratorie di genti mongole e turcofone di passaggio in Asia centrale contribuirono a cancellare le tracce di questa raffinatissima civiltà di cui sopravvisse testimonianza unicamente nelle fonti (specialmente cinesi) fino ai primi ritrovamenti fortuiti avvenuti in epoca sovietica nelle zone di Bukhara e Samarcanda in Uzbekistan e a Penjikent in Tajikistan. Volendo essere precisi, sopravvivono ancora oggi tre dialetti direttamente imparentati con l’antica lingua dei Sogdiani lungo la valle di un affluente dello Zerafshan –lo Yagnobi– ma si tratta di poche migliaia di parlanti, peraltro, drammaticamente in diminuzione (ammontano oggi a circa 1500 unità).
Come già ricordato sopra, si annoverano altri monumenti funerari di comprovata origine sogdiana provenienti dalla Cina. Un secondo letto funerario appartenuto a un Sogdiano deceduto in Cina ugualmente acquistato sul mercato antiquario è quello generalmente denominato “Miho”, dal nome del museo giapponese dove oggi è conservato. Alcuni pannelli del letto funerario del museo Miho presentano scene cultuali davvero uniche come il rituale funerario del “sagdid” (fig. 3), oppure scene della vita del trapassato durante il suo matrimonio (fig. 4) o le imprese venatorie da lui contemplate (fig. 5). Negli ultimi due casi si tratta di scene piuttosto comuni nell’arte della Sogdiana vera e propria, tuttavia, eseguite nei monumenti funebri scoperti in Cina secondo uno stile diverso. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che furono le maestranze locali cinesi a produrre tali oggetti, certamente seguendo le indicazioni fornite dai loro committenti stranieri.

Altri due letti funerari sogdiani sono oggi noti in Cina: quello appartenuto a Yu Hong proveniente da Taiyuan, nello Shanxi, (fig. 6) e quello del museo di Tianshui, nel Gansu (fig. 7). Entrambi mostrano decorazioni a rilievo non sempre facilmente interpretabili (soprattutto per quanto riguarda il letto funerario di Yu Hong, fig. 8). Altre decorazioni estremamente interessanti ricorrono su un letto funerario appartenuto a An Qie, un Sogdiano originario della zona di Bukhara impiegato nell’amministrazione dei Zhou Settentrionali (557–581) in qualità di responsabile civile e religioso delle colonie di stranieri stabiliti in Cina (il termine utilizzato per indicare un personaggio simile era sabao). Sebbene non sia sempre chiaro chi fossero tali stranieri (spesso definiti dalla storiografia ufficiale cinese “hu”), sembra che quelli di origine iranica (in particolare i Sogdiani) occupassero le posizioni preminenti. I pannelli del letto funerario di An Qie riportano scene della vita di questo importante straniero evidentemente stimato dall’aristocrazia e da tutta la classe dirigente cinese sotto cui aveva prestato servizio. Si riconoscono anche qui scene venatorie (fig. 9), conviviali (fig. 10) e religiose (fig. 11) e anche alcuni medaglioni perlati decorativi contenenti teste di animali fantastici (fig. 12).

Gli ultimi monumenti funerari associabili a questo gruppo comprendono, infine, due basamenti di letti funerari oggi parte della collezione privata Shelby White e Leon Levi databili alla fine del VI–inizi del VII secolo d.C. e alcune riproduzioni di pannelli un tempo parte della decorazione di una tomba da Yidu (provincia del Shandong), oggi irrimediabilmente perduti per la costruzione di una diga. I due basamenti di letti funerari rientrano a pieno titolo tra i monumenti funerari eseguiti in Cina per ricchi sogdiani appena elencati.

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Tra le decorazioni più interessanti si annoverano vari medaglioni perlati contenenti animali fantastici o simbolici su uno dei due basamenti (fig. 13). I pannelli da Yidu invece rappresentano un enigma poiché sopravvivono oggi solo le riproduzioni ma non è chiaro se si trattasse di un letto funerario o di un sarcofago. Non è possibile stabilire poi se l’opera fosse veramente destinata a un sogdiano deceduto in Cina: certo la tematica di varie scene ricorda molto gli altri monumenti funerari appena osservati, ma le scene riprendono soggetti ampiamente attestati nell’arte funeraria cinese in cui ricorrono diverse figure di personaggi iranici o, comunque, stranieri (fig. 14).

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In occasione della recente conferenza pechinese sono stati commentati altri due monumenti funerari cinesi decisamente atipici e un terzo è stato solamente menzionato: in quest’ultimo caso si tratta di quanto rinvenuto nella tomba di Kang Ye, un sogdiano proveniente dalla zona di Samarcanda del quale si sa ancora poco. Gli altri due manufatti sono il sarcofago di Shi Zhun proveniente da uno scavo della zona di Xi’an condotto scientificamente e completamente documentato, e un letto funerario parte di una collezione privata, oggetto di una recente mostra al Museo Guimet di Parigi (fig. 15).

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fig 15

Shi Zhun era anch’egli un sabao, vale a dire un responsabile delle comunità di stranieri presenti nel territorio sotto il controllo dei Zhou Settentrionali. Le sue mansioni contemplavano anche la sfera religiosa: il credo dei suoi sottoposti riguardava zoroastrismo, manicheismo e cristianesimo. Shi Zhun doveva essere però zoroastriano o, meglio, aderiva a quella forma di zoroastrismo praticata localmente in Sogdiana (e nelle colonie). Difatti, tra le decorazioni dei pannelli esterni del suo sarcofago si possono notare varie divinità sogdiane tra cui il dio Weshparkar seduto su tre protomi di toro e con un tridente in mano (fig. 16). Nella parte sottostante del medesimo pannello compaiono anche due sacerdoti zoroastriani muniti di una maschera particolare tuttora utilizzata in Iran e in India durante alcuni riti e una processione di animali da soma su di un ponte. Si tratta del ponte Chinvat, il passaggio che il defunto è tenuto ad attraversare durante il suo trapasso nelle credenze zoroastriane. Secondo i testi religiosi zoroastriani l’anima del defunto deve superare varie stazioni prima di raggiungere il paradiso. A ogni stazione è preposta una divinità tra cui, appunto, Weshparkar. Il tridente e il toro sono i suoi attributi caratteristici chiaramente presi a prestito dall’iconografia delle divinità hindu, in questo caso da Shiva. I Sogdiani, infatti, assorbirono molti elementi dell’iconografia religiosa indiana secondo un processo ancora poco chiaro ma che va datato al VI secolo d.C. circa. Ciò costituisce una prova ulteriore dell’esistenza di rapporti intensi con l’India anche se oggi restano poche tracce documentate.

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fig 16

Anche il letto funerario esposto recentemente a Parigi mostra vari pannelli decorati secondo l’iconografia hindu. Tre sono i pannelli più interessanti da questo punto di vista entrambi dominati da figure di probabile natura divina. Il primo pannello ritrae un personaggio dotato di quattro braccia affiancato da due arcieri su di un trono a base lotiforme (fig. 17). Tali attributi rimandano immancabilmente a un aspetto particolare del dio del sole indiano Surya. Inoltre, i dischi concentrici alle spalle dei personaggi richiamano appunto un simbolismo solare. L’altra scena interpretabile in chiave hindu riguarda un pannello con una scena acquatica in cui si scorge un personaggio maschile intento a scoccare una freccia verso l’alto mentre sta seduto a cavalcioni di un grosso bovino immerso nei flutti assieme a altri esseri mostruosi (fig. 18). In questo caso sembrerebbe di trovarsi di fronte a un episodio della vita di Krishna che altri non era se non un avatara (cioè una manifestazione terrena) del dio indiano Vishnu. L’ultimo pannello, molto rovinato, ritrae un personaggio dal ventre prominente seduto su una pelle di elefante e circondato da tralci d’uva (fig. 19). Forse anche questo personaggio è interpretabile come un essere divino in quanto i Sogdiani sembrano aver adottato l’iconografia di Indra per adattarla a quella di Ahura Mazda, il signore supremo del proprio pantheon. Tuttavia non è escluso che possa trattarsi anche di una raffigurazione di Kubera per via della pancia del dio e dei grappoli d’uva.

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In conclusione, la conferenza sui Sogdiani in Cina è stata certamente un’eccellente occasione d’incontro e di discussione tra i massimi esperti al mondo di problemi connessi alla cultura sogdiana e anche la circostanza adatta per rimarcare l’esistenza di molte zone d’ombra in questo particolare campo d’indagine (per esempio, l’indecisione nel richiamare l’iconografia indiana adattata all’ambito religioso sogdiano). L’augurio espresso durante la chiusura dei lavori dagli organizzatori è stato di speranza per un continuo incremento delle nostre conoscenze derivate in massima parte dall’archeologia: un auspicio che trova d’accordo non solo chi lavora sul campo in Cina ma anche gli studiosi di molte altre parti del mondo (anche italiani), impegnati in campagne di scavo in varie zone dell’Asia centrale.

Le figure inserite nel testo sono state tratte dalle opere menzionate in bibliografia, tranne alcuni schemi eseguiti dall’autore.

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