Cenni storici sulla Sogdiana

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La cultura iranica in Asia Centrale tra Cina e Persia

di Matteo Compareti

Con il nome di Sogdiana si intende una regione storica dell’Asia Centrale oggi corrispondente all’Uzbekistan meridionale e al Tajikistan occidentale, dove si è sviluppata un’importante civiltà di lingua e cultura iranica a partire almeno dal VI secolo a.C. fino al X secolo d.C. circa, raggiungendo l’apice del proprio splendore tra il V e l’VIII secolo d.C.

La geografia

Varie fonti antiche hanno trasmesso informazioni utili alla ricostruzione delle sue vicende storiche sebbene persistano molte zone d’ombra. La forma Sukhda, rintracciabile nell’Avesta, rappresenta una delle prime menzioni della Sogdiana, così come la Suguda delle iscrizioni di Dario I (522-486 a.C.) a Bisutun, collocabile nei primi anni di regno di quel sovrano. Gli autori greci la conoscevano come Sugdian? o Sugda o altre forme simili e la localizzavano nella Transoxiana, cioè la zona dell’Asia Centrale al di là dell’?xos (o Oxus, l’odierno Amu Darya), mentre gli arabi la chiamavano generalmente Sughd (o al-Sughd) e, a loro volta, erano al corrente del suo posizionamento nella regione del Ma War? al-Nahr, letteralmente “ciò che sta oltre il fiume”.

Sebbene i maggiori corsi d’acqua in Asia Centrale fossero anche anticamente l’Oxus e lo Iassarte (o Iaxart?s, l’odierno Syr Darya), la civiltà sogdiana si era sviluppata in realtà lungo le valli dello Zerafšan – il fiume noto nelle fonti greche come Polytim?tos ma chiamato localmente Namik, una dicitura quest’ultima utilizzata anche nelle cronache cinesi relative al VII-VIII secolo: Nami – e del Kaška Darya. Infatti, come tutti i popoli iranici (per molti dei quali il concetto stesso di regalità si presentava indissolubilmente collegato all’opera idrica del sovrano), anche i sogdiani avevano intrapreso da tempo immemore l’irrigazione del territorio tramite una serie di notevoli lavori di imbrigliamento delle acque o della bonifica delle zone acquitrinose. Anche l’indagine archeologica conferma questa situazione oltre al fatto che la base dell’economia sogdiana fosse costituita dall’agricoltura.

I confini della Sogdiana non sono sempre definiti da barriere naturali come nel caso dell’Oxus a occidente o del deserto del Kyzyl Kum a nord, ma si presentano, piuttosto, delimitati dalla geografia umana costituita dalle altre civiltà iraniche attigue: la Margiana a ovest (oltre l’Oxus, sul delta del fiume Murghab), la Chorasmia a nord-ovest, il Ferghana a est e la Battriana-Tokharest?n a sud. Tutto ciò è valido se si considerano anche Ustrušana e ??? quali parte integrante del territorio sogdiano, esattamente come la maggior parte degli studiosi contemporanei tende a fare. Tale suddivisione deriva dalle informazioni contenute nelle fonti cinesi, in particolare in quelle dell’epoca dei Tang (618-906), dove sono esplicitamente menzionate “le nove famiglie hu” (cioè barbare o non-han) – corrispondenti ad altrettante zone della Sogdiana conosciuta, a sua volta, come Sute – governate da una serie di regnanti accomunati dall’appartenenza alla dinastia zhaowu, forse una resa del sogdiano “gioiello” (?amuk). Ogni zona, contrassegnata da un carattere specifico, determinava anche il “cognome” dei sogdiani stabiliti in Cina, con i quali le varie amministrazioni del Celeste Impero intrattenevano intensi rapporti, specie di carattere commerciale, almeno dal III-IV secolo d.C. Non è escluso che l’artificio avesse una qualche utilità per l’amministrazione cinese per quanto, in mancanza di fonti esplicite, sarà bene mantenere congetture di questo tipo nella sfera delle ipotesi.

A seconda del periodo storico e della fonte a cui si fa riferimento, le “nove famiglie” in cui era suddivisa la Sogdiana possono così riassumersi: Kang indicava Samarcanda, Mi era Maymurgh, Cao corrispondeva a tre regioni distinte vicine tra loro tra Ištikhan e Ustrušana, Shi corrispondeva a Kiš, He a Kushana, An a Bukhara e Shi a ??? (cioè la regione di Tashkent). Assieme a queste sette compaiono a volte altri due caratteri: Bi per indicare Paykand e Fadi – forse una variante di Moudi – per indicare invece una zona posta sulla via per la Chorasmia e, probabilmente, identificabile con Vardana oppure, come proposto in precedenza, con Amul o con Betik. In questo modo si ottengono proprio nove toponimi sebbene non sia del tutto chiaro se, nelle cronache cinesi, tale cifra avesse un qualche riscontro con la reale suddivisione della Sogdiana o non avesse invece valore indicativo. A riprova di quest’ultima osservazione vi è la presenza della Chorasmia stessa in alcune fonti quale parte integrante della Sogdiana sebbene ciò non possa considerarsi corretto. Va poi osservato come, specie per gli autori musulmani, Sughd indicasse in realtà il territorio compreso tra l’Ustrušana e la regione di Bukhara, considerando, quindi, queste due zone estranee alla Sogdiana vera e propria.

Grazie principalmente alla storiografia cinese è anche possibile supporre che Samarcanda (la Marcanda dell’epoca di Alessandro Magno) godesse di uno status particolare, una sorta di capitale della Sogdiana in pratica, da dove si amministrava il potere. In realtà, tale sottomissione doveva essere stata per lunghi periodi solo nominale, in quanto la Sogdiana si presentava come una sorta di confederazione di piccoli regni (o “città-stato”) spesso sottomessi all’autorità di potenze esterne, sia esercitata da parte dei grandi imperi stanziali, sia da parte dei nomadi.

fig. 2. Satrapie achemenidi
fig. 2. Satrapie achemenidi

L’epoca antica

Sebbene l’attività archeologica abbia rivelato un’occupazione del territorio fino dall’epoca preistorica, le prime fonti esplicite circa l’esistenza della Sogdiana e della popolazione che la abitava risalgono all’epoca achemenide. Come si accennava sopra, menzioni antichissime si ritrovano nelle iscrizioni celebrative di Dario I a Bisutun (fine del VI secolo a.C.) e in quelle del piedistallo della sua statua ritrovata a Susa o sulle steli rinvenute in Egitto, databili al 500 a.C. circa. Altri documenti eccezionali sono i rilievi delle tombe reali di Persepoli, dell’Apadana (sempre a Persepoli) e di Nakhš-e Rostam nella regione del F?rs (o Perside), nell’odierno Iran. È probabile che la Sogdiana venisse annessa già da Ciro II (559-530 a.C.) e, difatti, la sua morte sarebbe avvenuta ben oltre la Transoxiana, cioè oltre il Syr Darya, in pieno territorio controllato dai nomadi. Tuttavia, le informazioni sull’impero achemenide, specie quelle relative al periodo precedente all’ascesa di Dario I, vanno considerate cautamente in quanto esse provengono in massima parte dagli autori greci, normalmente ostili ai persiani e, in molti casi, protesi a ricondurre i popoli barbari vicini a progenitori afferenti alla propria mitologia. Tra gli storici più affidabili resta Erodono, il quale include la Sogdiana nella XVI satrapia dell’impero achemenide, assieme alla Parthia, alla Chorasmia e all’Aria (Storie, VII, 93), limitandosi però a poche altre notizie. Ad esempio, all’epoca della tentata invasione della Grecia da parte di Serse (486-465 a.C.), l’equipaggiamento dei contingenti sogdiani era costituito da archi e piccole asce (Storie, VII, 66).

Alla caduta dell’impero achemenide provocata dall’invasione macedone, la Sogdiana aveva rappresentato un ostacolo formidabile all’avanzata di Alessandro Magno (336-323 a.C.). Non tutti gli studiosi sono d’accordo nel ricostruire quegli eventi, tuttavia sembra che la tenace resistenza offerta proprio dai sogdiani abbia spinto il celebre condottiero macedone a giungere ad un compromesso suggellato dal suo matrimonio con una principessa locale, Rossane, figlia del capo ribelle Ossiarte. I generali più vicini ad Alessandro (tra cui Seleuco) e altri membri dell’aristocrazia macedone furono incoraggiati ad imitarlo. Tuttavia, il tentativo di integrazione tra la nobiltà macedone e iranica ebbe ripercussioni davvero significative in Battriana ma non in Persia e in Sogdiana dove la cultura ellenistica non riuscì mai a scalzare il sostrato iranico. La Battriana (o Daxia per i cinesi) – nota nelle fonti islamiche successive come Tokharest?n, corrispettivo del cinese Tohualuo – sebbene pur sempre inquadrabile nell’ambito dei popoli di cultura iranica, aveva adottato l’alfabeto greco modificato alle proprie esigenze linguistiche e anche l’archeologia ha confermato l’adozione di formule architettoniche ed artistiche molto prossime ai modelli ellenistici, soprattutto durante l’occupazione greco-macedone (basti pensare ad Ai Kh?num, nell’odierno Afghanistan).

La morte di Alessandro coincise con la dissoluzione del suo immenso impero. Fallito ogni tentativo di trovare un accordo su un improbabile erede, si procedette alla spartizione in quattro settori assegnati ad altrettanti generali macedoni, i Diadochi (letteralmente “successori”), ben presto entrati in conflitto tra loro. Gran parte del territorio iranico – assieme a Siria, Palestina e parte dell’Anatolia – fu affidato a Seleuco I Nicatore (312-281 a.C.), dal quale prese il nome di regno seleucide (312-65 a.C.). Anche l’irrequieta Sogdiana si ritrovò a farne parte ma non a lungo in quanto, di lì a poco, dalla secessione delle regioni orientali del dominio seleucide si sarebbe formato il regno greco-battriano (circa 250-50 a.C.). In questo periodo, la classe dominante era rappresentata da macedoni e greci mentre la maggior parte della popolazione era costituita da sogdiani e, soprattutto, dai ben più ellenizzati battriani.

Non sono del tutto note le dinamiche che portarono agli sviluppi successivi in Asia Centrale, tuttavia pare che, verso il 200 a.C., la Sogdiana si fosse sottratta al controllo dei greco-battriani per diventare però l’obbiettivo delle invasioni nomadiche provenienti da est e innescate dalla formazione dell’impero xiongnu (circa 209 a.C.-155 d.C.) in Mongolia e nella Cina settentrionale e, successivamente, di Kangju (circa II secolo a.C.-III secolo d.C.) localizzabile, probabilmente, nelle steppe degli odierni Uzbekisan e Kazakhstan sud-occidentale. Stando alle fonti cinesi, la sconfitta dei yuezhi da parte dei xiongnu tra il 174 e il 160 a.C. diede luogo ad una serie di migrazioni dirette verso occidente che avrebbero stravolto l’assetto politico ed etnico dell’intera Asia Centrale, tra l’altro, ponendo fine alla preminenza greca in Battriana. Nel 135 a.C. circa, i yuezhi giunsero in Sogdiana e poco dopo conquistarono la Battriana: proprio lì accolsero l’inviato cinese Zhang Qian nel 128 a.C. in missione in quelle regioni per chiedere il loro supporto nella guerra dell’imperatore han Wudi (141-87 a.C.) contro i xiongnu. Non sembra che la Sogdiana fosse sottomessa ai yuezhi a lungo poiché il loro vero obiettivo doveva essere l’India nord-occidentale e, in particolare, la pianura gangetica.

fig. 3. Impero kushana
fig. 3. Impero kushana

L’epoca del predominio culturale battriano

Tra la fine del I secolo a.C. e il I secolo d.C., una delle cinque tribù dei yuezhi fondò il primo nucleo del controverso impero kux?‘a (circa 50-230 d.C.) in Battriana e in India nord-occidentale. Nonostante la forte influenza economica e culturale esercitata nelle regioni attigue al loro dominio, i kux?‘a non occuparono la Sogdiana limitandosi, forse, a costituirvi una sorta di stato cuscinetto utile per attutire eventuali intrusioni dalle steppe e, allo stesso tempo, un protettorato esteso anche a Chorasmia, Kangju e parte del Bacino del Tarim tramite il sistema delle alleanze matrimoniali. L’epoca kux?‘a corrisponde ad un periodo di relativo rappacificamento dell’Asia Centrale sebbene si registrino conflitti con i parti governati dalla dinastia degli Arsacidi (circa 250a.C.-224 d.C.) a occidente e con i han orientali (25-220 d.C.) nella regione del Bacino del Tarim verso il 90 d.C. Lo scontro con i cinesi si risolse piuttosto velocemente e senza grossi spargimenti di sangue con la vittoria dei Han mentre l’inimicizia con gli Arsacidi rese i kux?‘a potenziali alleati di Roma, con conseguenze importanti per entrambi gli imperi. In particolare, i commerci trassero enormi vantaggi da questa situazione ed è sempre sotto i kux?‘a che il buddismo cominciò ad espandersi davvero oltre l’India.

Il collasso dell’impero kux?‘a fu la conseguenza della politica aggressiva del primo šah?nš?h sasanide Ardašir I (224-241), il quale lo assoggettò con ogni probabilità verso il 230 (o forse prima). La grande iscrizione di Š?pur I (241-272) sulla Ka’ba-ye Zardušt (nel F?rs) in medio persiano, partico e greco datato al 260 circa annovera anche la Sogdiana tra le regioni sottomesse ai Sasanidi (224-642). Anche se non pare che tale sottomissione si sia protratta a lungo, la sola prossimità all’impero sasanide deve avere certamente concorso ai cambiamenti socio-culturali a cui stava andando incontro l’Asia Centrale del III secolo. Cristianesimo e manicheismo – religioni molto diffuse in Persia – trovarono nuovi adepti in Asia Centrale durante l’acuirsi delle persecuzioni dell’intollerante clero mazdeo sasanide. In Sogdiana, a seconda dell’epoca, entrambi i credi dovevano essere piuttosto diffusi, oltre al giudaismo, sebbene non molte siano le attestazioni archeologiche legate in genere alla religione se si eccettua la forma locale di mazdeismo, mentre il buddismo (almeno a giudicare dall’archeologia) non deve aver mai contato molti adepti se non nelle colonie.

Come si accennava sopra, la regione di Bukhara aveva costituito a lungo una sorta di regno sogdiano non sottoposto ad alcun vincolo di sudditanza nei confronti di Samarcanda e, anzi, è molto probabile che in questa porzione più occidentale l’ingerenza sasanide si fosse fatta sentire particolarmente, sempre a seconda dell’epoca.

Nel corso della seconda metà del IV secolo la Sogdiana e le regioni adiacenti furono invase da un ennesimo enigmatico popolo conosciuto in parecchie fonti con il nome di kidariti. Con ogni probabilità, essi erano anche noti come chioniti, cioè una variante di hun e hyona (cioè unni), un appellativo che cela forse un etnonimo particolarmente diffuso presso molte civiltà per indicare i barbari, spesso invasori e sovvertitori dell’ordine stanziale: gli “altri” d’Asia Centrale per antonomasia. L’ultima ambasciata kidarita in Cina è registrata nelle cronache del Celeste Impero in corrispondenza del 477, quando ormai la Transoxiana stava inesorabilmente finendo sotto il controllo degli altrettanto oscuri e iranizzati eftaliti. Questi, in breve tempo, riuscirono a estendere il proprio dominio su un’area vastissima, dai confini con la Persia al Bacino del Tarim. La Sogdiana fu inclusa nel loro impero nel 509 ma senza restarci a lungo. Difatti, verso il 556, il šah?nš?h sasanide Cosroe I (531-579) stipulò un alleanza con i turchi, un nuovo popolo di cultura nomadica inizialmente dominatore delle steppe, sconfiggendo gli eftaliti su entrambi i fronti e spartendosi il loro impero: ai Sasanidi fu assegnata la Battriana mentre i turchi entravano stabilmente in possesso del Bacino del Tarim e della Transoxiana.

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fig 4

L’arrivo dei turchi

Con l’arrivo dei turchi, la situazione si fece ancora più complicata in quanto non pare che vi fosse un modello culturale di riferimento unico, prova evidente della relativa autonomia della Sogdiana in quest’epoca. I turchi potevano contare sugli abili sogdiani per gli scambi diplomatici avvalendosi, allo stesso tempo, delle infrastrutture da questi create lungo la cosiddetta “Via della Seta” principalmente a fini commerciali. Nonostante l’abbondanza di riferimenti espliciti all’inclinazione al commercio dei sogdiani nelle fonti cinesi, nessun caravanserraglio di epoca pre-islamica è stato portato alla luce durante gli scavi archeologici con la sola eccezione, per quanto dubbia, di un edificio a Paykand (presso Bukhara) probabilmente adibito a tale scopo. In mancanza di dati certi, si dovrà quindi ammettere come l’agricoltura continuasse a rappresentare la base dell’economia sogdiana, quantomeno nella madrepatria e non limitatamente all’epoca della dominazione turca.

Ciononostante, i ritrovamenti monetari attestano una grande varietà di emissioni dovuta indubbiamente ai contatti con le civiltà attigue. Con l’ascesa della Persia, la monetazione sasanide aveva certamente costituito un modello per la Sogdiana e per molti altri regni centrasiatici così come per le dinastie di origine nomadica. In particolare, lo standard monetario era rappresentato dalle dracme coniate all’epoca di Bahr?m V Gor (420-438). Successivamente alle sconfitte di Peroz (459-484) da parte eftalita, un enorme massa di argento sasanide si riversò in Asia Centrale senza però essere fusa del tutto: spesso, le monete persiane venivano semplicemente contromarcate in Sogdiana e reimmesse in circolazione. A partire dal VII secolo, invece, fu la monetazione cinese a fungere da modello. Non sono tuttora rari i ritrovamenti di monete rotonde con foro quadrangolare all’interno circondato da iscrizioni cinesi, sogdiane e tamga di vario tipo.

Dopo un periodo di espansione fulminea a danno dei popoli vicini, specie dei Ruanruan, o Ruru, delle fonti cinesi (i maggiori alleati degli eftaliti), in una data inquadrabile verso il 552, l’impero turco si scisse in due entità minori denominate comunemente impero dei turchi orientali, scomodi vicini dei cinesi, e impero dei turchi occidentali, questi ultimi, entrati presto in conflitto, per l’appunto, con gli eftaliti. I turchi occidentali si divisero a loro volta in due tronconi nel 630: i duolu nel Bacino del Tarim e i nushibi in Transoxiana. La Sogdiana non doveva soffrire particolarmente della dominazione turca e, anzi, si trovava in una posizione di preminenza rispetto ad altre regioni centrasiatiche grazie all’appoggio logistico fornito ai proprio signori. Tuttavia, dal VI secolo in poi, la turchizzazione dell’Asia Centrale non si sarebbe più arrestata e gli stessi sovrani dei principati sogdiani coniavano monete recanti nomi turchi. Anche se ciò non prova completamente la loro affiliazione linguistica e culturale, si tratta comunque di un dato molto eloquente.

Gli irrequieti turchi entrarono presto in conflitto con i persiani, con ogni probabilità, per il controllo degli scambi commerciali. I sogdiani si operarono in tutti i modi per aggirare l’ostacolo costituito dai Sasanidi tentando anche di favorire un’alleanza turco-bizantina in funzione anti-persiana senza troppo successo. In questo modo si aprirono nuove vie commerciali alla volta di Bisanzio lungo i valichi del Caucaso e non è del tutto escluso che i sogdiani avessero persino partecipato alla fondazione di una città sulle sponde del Mar Nero, tuttora rispondente al nome di Sugdaia (oggi in Crimea).

Come lasciano intendere le numerose iscrizioni rupestri scoperte nell’alta valle dell’Indo, i mercanti sogdiani frequentavano assiduamente anche l’India e, con ogni probabilità, erano presenti lungo le rotte commerciali dell’Oceano Indiano. Purtroppo, la scarsità delle fonti letterarie non lascia spazio alla formulazione di ipotesi relative ad eventuali fastidi incontrati dai sogdiani lungo questi tragitti a causa della potenza navale sasanide, in piena espansione dal VI secolo, proprio con Cosroe I.

fig. 5. Protettorato cinese
fig. 5. Protettorato cinese

L’egemonia dei Tang

I veri antagonisti dei turchi restavano però i cinesi. Con l’ascesa dei Tang (618-906), il Celeste Impero si trovava nuovamente unificato e protratto verso l’Asia Centrale, specialmente con due tra i suoi primi imperatori, Taizong (626-649) e Gaozong (650-683). Il primo dei due aveva distrutto i turchi orientali penetrando anche nel Bacino del Tarim senza però accettare la richiesta dei sogdiani di porsi sotto la protezione cinese a discapito dei turchi, adducendo come scusa la grande distanza che li separava. Sotto il suo regno, il pellegrino buddista Xuan Zang (604-664) si recò alla volta dell’India attraverso l’Asia Centrale visitando, nel 630 circa, anche la Sogdiana la cui situazione polito-geografica venne poi descritta in un memoriale presentato all’imperatore. In questo modo, i Tang potevano disporre di informazioni precise su quei territori di lì a poco annessi. All’epoca di Gaozong, la Sogdiana fu incorporata nel protettorato cinese sull’Asia Centrale, successivamente esteso fino alla Battriana-Tokharestan e al Sist?n.

Le fonti cinesi hanno conservato il nome di un sovrano di Samarcanda investito da Gaozong del titolo di governatore della Sogdiana precisamente tra il 650 e il 655. Si tratta di Varkhuman (Fuhuman secondo i cinesi), un ikhšid (titolo che spettava ai signori locali così come in Ferghana) effettivamente attestato in alcuni ritrovamenti monetari e nelle iscrizioni in sogdiano, seppur frammentarie, di Afr?sy?b. Lo studio della numismatica sogdiana presenta ancora molti dubbi legati all’interpretazione epigrafica, anche per via del fatto che non esistono fonti letterarie indiscutibilmente affidabili sulle quali basare un paragone certo. In ogni caso, sembra che prima di Varkhuman, a Samarcanda, fosse attivo un sovrano probabilmente originario di Kiš rispondente al nome di Šyšpyr. Per quel poco che si è dedotto dalla numismatica e da alcune sparute notizie nelle fonti cinesi e islamiche, i successori di Varkhuman, invece, devono essere stati Tukaspadak, Mastan-Navyan, Tarkhun, Gurak e Turgar. Il figlio di quest’ultimo si chiamava, con ogni probabilità, Yazid e, quindi, doveva essere un personaggio gradito agli invasori arabi.

La grande distanza che intercorreva tra la Cina e la Sogdiana consentiva a quest’ultima regione di godere di una certa libertà per niente intaccata dalla sottomissione, forse più che altro nominale, riconosciuta ai Tang. In realtà, i sogdiani avevano ormai raggiunto i gradi più elevati della società cinese e occupavano spesso posizioni di grande rilievo all’interno dell’amministrazione civile e militare. Le numerose tombe appartenute a potenti stranieri di origine sogdiana stabilitisi in Cina – rinvenute attorno all’antica capitale, Chang’an, non lontano da Xi’an – datano in parecchi casi al VI secolo, a dimostrazione della loro presenza a corte molto prima dell’ascesa dei Tang. L’estensione del protettorato cinese ben oltre le cosiddette Regioni Occidentali (l’odierna provincia del Xinjiang) consentì la circolazione delle merci in maniera più o meno libera all’interno di un immenso territorio il quale, anche se non sempre riappacificato (i tibetani, infatti, dal 650 circa erano una continua minaccia per i Tang), costituiva comunque una prospettiva di guadagno enorme per i sempre più abili mercanti sogdiani, specializzati soprattutto nella tratta – e, forse, anche nella produzione – di generi di lusso.

I sogdiani e gli iranici in generale godevano, inoltre, di una libertà di culto notevole e pare che avessero ricevuto il permesso di erigere qualche tempio e almeno una chiesa a Chang’an. Con l’usurpazione dell’imperatrice Wu Zetian (684-705) i culti di origine straniera (in primis il buddismo) si trovavano ad essere apertamente favoriti a corte, a discapito delle credenze locali (taoismo e confucianesimo), con enormi ripercussioni per la storia futura della Cina. L’imperatrice fu persino in grado di respingere i tibetani, invasori del Bacino del Tarim tra il 666 e il 692, riaffermando il predominio cinese nelle cosiddette Regioni Occidentali. Comunque, non pare che la presenza tibetana avesse pregiudicato l’esistenza delle numerose colonie sogdiane laggiù.

Sotto i Tang, tanto la Sogdiana intesa come madrepatria quanto le colonie fondate lungo la “Via della Seta” raggiunsero l’apice del proprio splendore e numerosi elementi di matrice cinese iniziarono a comparire nelle scene dipinte (e, in maniera minore, nella scultura) rinvenute presso i siti di Afr?sy?b, Pan?akand e Varakhša. Tanta prosperità non era però destinata a durare: da ovest si muovevano minacciosi verso l’Asia Centrale gli eserciti arabi, già responsabili della caduta dei Sasanidi in Persia e per niente intenzionati ad arrestare la loro serie di vittorie.

Con l’arrivo degli arabi, tuttavia, le fonti letterarie si fecero sempre più precise e ricche di notizie utili ad una ricostruzione storica particolarmente attendibile.

fig. 6. Linvasione araba
fig. 6. L’invasione araba

La conquista araba

Le prime incursioni arabe in territorio sogdiano avvennero nel 654 ad opera del condottiero Ab? ‘Ubayda, quindi prima dell’affermarsi degli Omayyadi (661-750). Inoltre, l’avanzata araba subì un arresto tra il 655 e il 661 a causa della resistenza dei signori turchi del Tokharest?n e degli ultimi Sasanidi loro alleati. La ripresa araba in Asia Centrale corrisponde all’ascesa di Mu‘?wiyah I (661-680) da governatore della Siria a primo califfo omayyade. Egli, oltre a porre nuovamente il Tokharest?n sotto controllo arabo tramite il nuovo governatore del Khor?s?n, ‘Ubaydullah ibn-Zy?d, invase la Sogdiana sottomettendo Paykand e Bukhara per culminare, nel 676, con la presa temporanea di Samarcanda da parte di Sa’id ibn-Othman. Nel ventennio successivo gli Omayyadi intrapresero una serie di razzie in Transoxiana senza mai riuscire a ottenere un controllo duraturo sulla regione. La conquista vera e propria dell’intera Sogdiana fu invece attuata, all’epoca del califfo al-Walid I, da un altro abile e spietato governatore del Khor?s?n, Qutayba ibn-Muslim, tra il 705 e il 715, quando la Sogdiana era ancora considerata parte del protettorato cinese sebbene, di fatto, fosse controllata dai türgeš (un clan nushibi). Qutayba si spinse in Chorasmia e Ferghana ed esiste anche una tradizione storiografica, forse frutto di esagerazioni, secondo cui il suo esercito giunse fino a Kašghar.

L’avanzata omayyade fu facilitata dalla disunione dei regnanti locali che invocavano, invano, l’intervento dei Tang a loro volta impegnati a contenere i tibetani e il neorisorto impero dei turchi orientali (684-734) in Mongolia. Gli unici a rispondere all’appello dei sogdiani furono, tra il 701 e il 712, proprio i turchi orientali, guidati da un condottiero formidabile, Kül Tegin, fratello del Kaghan Bilgä (716-734) il quale, esattamente come il suo predecessore Kapagan (692-716), combatté a lungo i türgeš. Nonostante le ripetute vittorie di Kül Tegin, il quadro geopolitico della Transoxiana non mutò, rimanendo sostanzialmente sotto il flebile controllo dei türgeš, sebbene gli Omayyadi mantenessero alcune roccaforti in Sogdiana, principalmente Bukhara e Samarcanda.

Vi sono indizi sufficienti per la ricostruzione di un fatto davvero interessante della storia di Samarcanda: a causa dell’incapacità di Tarkhun a fronteggiare la minaccia rappresentata dagli arabi, i nobili e le classi agiate della città lo detronizzarono promuovendo, al suo posto, Gurak, attivo tra il 710 ed il 738 circa. La situazione non subì alcun cambiamento considerevole nemmeno durante la rivolta capeggiata da un signore di Pan?akand, Devašti?, autoproclamatosi “re della Sogdiana e signore di Samarcanda”, soppressa poco dopo nel sangue dagli arabi nel 722 dopo l’assedio mosso contro la fortezza del Monte Mugh (non lontano da Pan?akand). Le vicende legate a Devašti? sono state ricostruite abbastanza dettagliatamente dopo i ritrovamenti della sua corrispondenza privata presso gli scavi del Monte Mugh. Inoltre, esse hanno consentito di gettare luce anche sulla politica omayyade in questa porzione orientale della Sogdiana. Uno dei fattori più evidenti ottenuti da tutte queste fonti è che, poco dopo la morte di Qutayba avvenuta a Merv nel 715 a causa dei suoi attriti con il nuovo califfo Sulaym?n (715-717), l’incapacità e la brama di arricchirsi dei suoi successori culminarono in aperte rivolte anti-arabe spesso sfociate in massacri non certo utili a rendere gli Omayyadi meno invisi alla popolazione e alle classi nobiliari della Sogdiana.

Le tribù dei turchi occidentali conobbero un momento di unione all’epoca di un sovrano türgeš (appartenente precisamente alla fazione dei kara türgeš, cioè i “türgeš neri”) noto nelle fonti cinesi con il nome di Sulu (714-737). Egli, nel 724, promosse una ribellione su vasta scala della Transoxiana allo scopo di scacciare gli arabi. Nel 728 i türgeš si sollevarono nuovamente in unione ai tibetani il cui sovrano, Khri lde gtsug brtsan (712-755), aveva sposato anche una principessa di Samarcanda. Nel 734 Sulu si alleò anche con i signori locali e con il rinnegato al-Harith ibn-Surayj al-Muj?shi’i in funzione anti-omayyade ma senza conseguenze irrimediabili per il califfato. Le rivolte e i tentativi di espulsione degli arabi omayyadi si susseguirono incessantemente fino all’arrivo in Sogdiana di Nasr ibn-Sayy?r al-Kin?ni nel 739, il nuovo governatore del Khor?s?n e un abile politico deciso a riappacificare la Transoxiana tramite una serie di accordi stipulati con gli aristocratici locali (ikhšid). Nasr abbassò le tasse e incoraggiò la popolazione emigrata e tornare in Sogdiana riuscendo a contenere il malcontento. Tuttavia, i privilegi acquisisti troppo velocemente dagli indigeni (soprattutto da parte dei nuovi convertiti) indispettivano ora gli arabi.

Morto Sulu nel 737 per mano di un capo dei sar? türgeš (o “türgeš gialli”), quest’ultimo clan iniziò a combattere incessantemente con i kara türgeš lasciando il campo libero a arabi e cinesi mentre i turchi karlucchi acquisivano sempre più potere in Asia Centrale. Le ostilità ripresero allo scoppio della rivolta di Ab? Muslim nel 747-749 e a seguito dell’ascesa della nuova dinastia araba degli Abbassidi (750-1258), con capitale Baghdad e molto aperta alle influenze culturali iraniche, specie centrasiatiche. L’abilità di Ab? Muslim gli permise di ottenere una grande popolarità tra i vari popoli centrasiatici grazie ad una politica conciliatrice avvertibile anche per quanto riguarda una certa tolleranza religiosa. Proprio la crescente popolarità di Ab? Muslim fu la causa principale della sua eliminazione da parte degli Abbassidi ora desiderosi di imporre definitivamente l’autorità araba in Transoxiana.

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fig 7

L’islamizzazione

Stando ai dati ottenuti dall’indagine archeologica, dal 750 in avanti, la manutenzione delle decorazioni pittoriche e scultoree delle case private sogdiane, ripresa a seguito della politica di Nasr, subì un arresto a causa dell’islamizzazione di tutti gli strati della società e al conseguente abbandono degli antichi costumi.

Gli Abbassidi promossero un’ulteriore penetrazione araba in Asia Centrale fino a giungere, nel 751, allo scontro con un esercito cinese a Talas, nell’odierno Kazakhstan meridionale, guidato dal generale di origine coreana Gao Xianshi, a sua volta impegnato a sottomettere le tribù turche e a contenere i tibetani. La defezione dei karlucchi si rivelò determinante ai fini della vittoria araba. In quell’occasione, alcuni prigionieri cinesi trasferiti a Samarcanda diedero inizio alla diffusione delle tecniche produttive della carta anche presso gli arabi. La battaglia di Talas non costituì per gli arabi l’occasione di nuove acquisizioni territoriali ma, piuttosto, favorì la diffusione dell’islam tra i popoli dell’Asia Centrale.

Dalla seconda metà dell’VIII secolo la dinastia tang stava vivendo un momento cruciale della propria esistenza a causa principalmente dell’inimicizia con potenti vicini quali i tibetani a sud, i turchi uighuri a nord e una serie di rivolte interne. La dinastia uighura dei Yaghlaqar (744-840) aveva posto termine al secondo impero dei turchi orientali in Mongolia ponendosi a capo di una rivolta di vari popoli tra cui karlucchi e basmili e manteneva rapporti ambigui con i Tang allo scopo di trarre vantaggio dalla situazione disastrosa in cui versava la Cina dell’epoca. Gli uighuri servirono Xuanzong (712-756) ufficialmente per contenere l’avanzata tibetana e la rivolta del generale turco-sogdiano An Lushan (appellativo che forse cela un originale sogdiano “Rokhšan” dalla radice “rokhš”, cioè “luce”, la medesima da cui deriverebbe il nome Rossane). Questi, nel 755-756, giunse a controllare vaste aree dell’impero cinese per finire miseramente assassinato dal proprio figlio poco dopo. Ciononostante, le rivolte si protrassero ancora a lungo dopo la sua morte.

Nel 763 gli uighuri riuscirono ad espellere i tibetani (già impadronitisi del Bacino del Tarim nel 760) dalla capitale cinese Chang’an per poi tornarsene nelle loro sedi in Mongolia anche se appariva ormai chiara la situazione di sudditanza dei Tang nei loro confronti. I sogdiani fornivano ministri e consiglieri ai Yaghlaqar e riuscirono anche a far sì che la propria cultura fosse quella dominante alla corte uighura, come dimostra l’adozione da parte del kaghan Tängri (759-779) del manicheismo o l’abbandono graduale dell’alfabeto brahmi (cioè di origine indiana e, con ogni probabilità, giunto con il buddismo) a vantaggio di quello derivato dall’arameo impiegato in Sogdiana. Interi strati della società uighura, gelosi delle proprie tradizioni e scontenti della situazione di sudditanza nei confronti dei sogdiani, si ribellarono apertamente al kaghan che, alla fine, fu assassinato. Seguì un periodo di persecuzioni anti-sogdiane e anti-manichee assopite solo con l’ascesa al trono di Boquq (795-808). Questi fu forse il più abile sovrano uighuro, in grado di estendere il proprio potere su vaste regioni dell’Asia Centrale arrivando ad occupare, brevemente, il bacino del Tarim e la Transoxiana dopo la sconfitta di tibetani e türgeš.

La preminenza sogdiana in Mongolia giunse completamente a termine quando i kirghisi distrussero l’impero uighuro nell’840 costringendo i superstiti a migrare verso sud dove fondarono, negli odierni Gansu (attorno a Dunhuang) e nel Xinjiang (attorno a Turfan), rispettivamente il regno uighuro di Ganzhou (850-1032) e di Ko?o (850-1250). Con abile mossa – attuata anche con l’uso della forza – i Tang riuscirono a contenere l’ondata migratoria favorendo gli insediamenti in zone periferiche poste ai margini dell’impero cinese, in zone per lo più desertiche, dove gli uighuri costituiscono tuttora il grosso della popolazione. La maggior parte degli uighuri non aveva aderito al manicheismo e anche le manifestazioni artistiche dei due regni appena menzionati rinvenute attorno a Turfan agli inizi del secolo scorso attestano principalmente l’adozione del buddismo, sebbene esistano tracce consistenti di presenza cristiana e, soprattutto, manichea nell’odierna provincia cinese del Xinjiang. I ritrovamenti cartacei di Turfan provano, inoltre, che la lingua sogdiana veniva ancora utilizzata nella trasmissione del pensiero religioso nei territori controllati dagli uighuri. Tra le pitture parietali del complesso monastico rupestre di Bezeklik (X secolo circa), non lontano da Turfan, si possono ancora osservare i ritratti di alcuni mercanti di probabile origine iranica raccolti in preghiera attorno a varie figure di Budda. Non è però escluso che la medesima iconografia, un tempo esclusiva degli iranici (o dei tokhari), fosse stata successivamente adottata anche per gli uighuri stessi in un’epoca in cui, effettivamente, i tratti somatici di tale popolo orientale (cioè mongolico) stavano assumendo connotazioni tipicamente “occidentali” quali nasi prominenti, occhi chiari e barba a causa del mescolamento con altre genti centrasiatiche.

A seguito della rivolta di An Lushan, i sogdiani avevano sofferto delle persecuzioni avvenute principalmente a danno degli stranieri di origine iranica residenti all’interno del Celeste Impero. Il ministro confuciano Li Mi (722-789) aveva anche posto termine al sostegno economico garantito dalla corte tang a sogdiani e persiani dall’epoca di Gaozong. Successivamente, altre misure restrittive furono intraprese allo scopo di limitare il potere degli stranieri attivi in Cina nel campo della produzione e del commercio di merci preziose a vantaggio delle imprese nazionali. La seconda parte del dominio dei Tang fu, difatti, caratterizzata da una crescente intolleranza e chiusura nei confronti degli stranieri mentre, come già osservato, con l’avvento di Wu Zetian e fino alla rivolta di An Lushan si avvertì una grande immissione sul mercato di beni provenienti dall’Asia Centrale onde soddisfare la richiesta di esotismi e stravaganze della corte cinese. La situazione precipitò tra l’843 e l’845 quando una grande persecuzione fu scatenata contro il buddismo e le altre religioni di origine straniera presenti in Cina. Infine, nell’878-879 un gran numero di buddisti, musulmani, ebrei, cristiani, manichei e mazdei furono massacrati nelle regioni costiere della Cina meridionale. Nonostante questa serie di eventi infausti, le comunità sogdiane sopravvissero ancora per qualche tempo a Dunhuang e nell’area del Bacino del Tarim fino ad andare incontro ad un processo di completa sinizzazione.

Nella Sogdiana vera e propria, una serie di rivolte si era verificata anche durante la seconda metà dell’VIII secolo. Ciononostante, gli Abbassidi furono in grado di estendere il loro potere fino in Ustrušana tra la fine dell’VIII e gli inizi del IX secolo. Una rivolta su vasta scala di tutta la Transoxiana fu scatenata da Rafi’ ibn-Layth (il nipote di Nasr ibn-Sayy?r) tra l’806 e l’809 conclusasi, però, con la riconciliazione con il califfo abbasside. Nel corso del IX secolo la dinastia di origine iranica dei Samanidi (819-1005) consolidò il potere in tutta la Transoxiana e nell’Iran orientale rendendosi di fatto indipendenti da Baghdad. Il periodo samanide rappresentò una sorta di “Rinascimento centrasiatico” con Bukhara quale nuovo centro di irradiazione culturale. Fu proprio a partire dal IX secolo, in questa parte della Sogdiana storica, che si diffuse verso occidente, secondo dinamiche ancora poco conosciute, il neopersiano, la lingua destinata a soppiantare le lingue medio-iraniche parlate in Persia ed Asia Centrale fino a quel momento.

A partire dai suoi primi anni di regno, l’emiro Ism?’il (892-907) si adoperò per convertire (anche forzatamente) le ultime sacche di sopravvivenza dei culti legati al mazdeismo tanto all’interno quanto all’esterno del territorio controllato dai Samanidi. Nell’893 egli fece mettere a morte l’ultimo afšin (sovrano) dell’Ustrušana per poi rivolgersi più a oriente contro i turchi karlucchi, non ancora islamizzati e nel cui territorio – a oriente della Transoxiana – secondo al-Kašghari, si parlava anche il sogdiano.

L’emirato samanide fu abbattuto e spartito agli inizi dell’XI secolo tra i Karakhanidi, ai quali andò la parte settentrionale con la Sogdiana e i Ghaznavidi (anch’essi turcofoni), ai quali toccò la parte meridionale. La frontiera fu stabilita lungo il corso dell’Amu Darya anche se i due vecchi alleati entrarono presto in guerra tra loro per poi soccombere non molto tempo dopo per mano dei turchi selgiuchidi. Ancora una volta, un popolo di cultura nomadica, costretto a emigrare dalla sedi originarie non meglio identificate poste più a oriente, si riversò in Transoxiana creando grande scompiglio. I Selgiudichi eliminarono i Ghaznavidi nel 1040 e, successivamente, ridussero i Karakhanidi ad un governo fantoccio nel 1089 ma dovettero cedere il passo ai nuovi venuti nel 1141: i Kara Kitai o Liao occidentali, dal nome dell’impero liao (907-1125) in Manciuria, distrutto e assorbito dai Jin (1115-1234). Tra il 1210 e il 1212 i Kara Kitai furono sconfitti dai Khorezmš?h, a loro volta annessi all’impero mongolo da Gengis Khan nel 1218. Tuttavia, a quell’epoca, la civiltà sogdiana aveva cessato di esistere e l’acculturazione dei mongoli sarebbe stato un compito brillantemente portato a termine dagli uighuri. In questo modo, l’alfabeto sogdiano funse indirettamente da modello per i mongoli e, successivamente, per i mancesi dopo gli opportuni adattamenti, sopravvivendo fino ai giorni nostri. Infatti, i xibe (una tribù mancese stanziata in Xinjiang) e i mongoli della Cina, per lo più residenti in Mongolia Interna, utilizzano ancora quel sistema di scrittura nato sulle sponde del Mediterraneo.

Una delle ultime menzioni di un popolo associabile ai sogdiani si deve al francescano Guglielmo di Rubruck allorquando egli, riferendosi ad un gruppo di mercanti crisitani giunti alla corte del khan dell’Orda d’Oro nel 1253-1254, utilizzava il nome soldaini. Inoltre, i soldinis, soldins o soldis vennero riportati dal monaco armeno Het’um in una sua opera presentata nel 1307 alla corte francese come un popolo cristiano d’Asia Centrale che ancora celebrava la messa in una lingua ignota, seppur diversa dal greco.

Dopo queste ultime notizie (peraltro non molto specifiche), i sogdiani scomparvero dalla storia anche se tre dialetti parlati nella valle del fiume Yaghnobi (Tagikistan occidentale) da circa 2500 persone, intimamente connessi alla lingua sogdiana, furono scoperti agli inizi del XX secolo. Lo studio dei tre dialetti – che prendono il nome dalla zona geografica di provenienza, oltre ad essere noti collettivamente come lingua neosogdiana – hanno dato un impulso decisivo alla traduzione dei documenti sogdiani rivenuti in Cina ed in Asia Centrale e alla riscoperta di una civiltà scomparsa, a lungo nota solo attraverso le fonti antiche e l’indagine archeologica.

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