Recensione di Public Toilet di Fruit Chan

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Nato ed abbandonato nel bagno pubblico di un quartiere di Pechino, e poi ritrovato dalla nonna, Dong Dong, è il dio dei bagni.

PUBLIC TOILET – Ren min gong che – di Fruit Chan (2002)

Durata: 102′
Origine: Hong Kong/Corea
Produzione:
Digital Nega Golden Network Limited KTB Entertainment Nicetop Indipendent
Produttore:
Fruit Chan
Montaggio:
Samfat Tin
Sceneggiatura:
Keeto Lam, Fruit Chan
Fotografia:
Wahchuen Lam, Manwan Wong, Henry Chung
Interpreti:
Tsuyoshi Abe, Ma Zhe, Jang Hyuk, Cho Insung, Kim Yanghee, Jo Kuk, Sam Lee, Pietro Diletti
Costumi:
Ben Luk

E’ cresciuto e vissuto in questo distretto con la vecchia, la quale è stata corteggiata da due suoi amici innamoratissimi, i quali hanno entrambi conquistato il suo cuore senza permetterle di poter decidere.

Non hanno mai rinunciato a lei e continuano a corteggiarla. Dong Dong è così legato al luogo della sua nascita da percepire ogni cosa che accade nel bagno anche quando è dormiente, perciò spesso si sveglia e filma con la sua videocamera ciò che accade.

L’ambiente internazionale di Pechino lo porta ad aver amici di varie parti del mondo: un italiano, un somalo, un giapponese ed altri, figli di diplomatici o ambasciatori, tutti ragazzi nati nella capitale cinese.

Uno degli amici ha un fratellino di dodici anni con un cancro allo stomaco, il quale è ricoverato nello stesso reparto ospedaliero dove si trova sua nonna.

Le loro storie si intrecciano così con quelle di altri giovani, come loro alla ricerca di cure per i loro cari: un ragazzo coreano di Pusan che vuole aiutare il suo migliore amico ed una fanciulla, la quale si scoprirà essere una creatura marina; Sam, un ragazzo di Hong Kong che tra malavita e vendetta vorrebbe dare una mano al genitore della sua ragazza che abita nei pressi della grande muraglia.

Dong Dong preoccupato per la nonna, quando si reca all’ospedale scopre che la nonna è scomparsa.

La donna, infatti si è recata al Summer Palace per festeggiare il suo compleanno e per cantare con altri anziani.

Ma nel mentre la povera donna ha un collasso ed infarto che la porta in coma. Dong Dong decide così di mettersi in viaggio alla ricerca di una cura per lei; contemporaneamente anche l’amico giapponese si sposta verso l’India.

Il diciottenne Tony, infatti, è alla ricerca delle sacre ceneri per la guarigione del fratello malato, mentre l’amico italiano, va alla scoperta dei suoi avi: vuole conoscere la storia e studiare il passato dell’illustre penisola.

Dong Dong deluso dalla diagnosi sulla malattia della nonna , fatta da un dottore coreano, si imbatte nello sguardo del giovane di Pusan, che vuole guarire la creatura marina conosciuta nel suo bagno mobile, ma pur scrutandosi non profelano parola.

Il coreano, preoccupato per la salute della bella creatura, inaspettatamente viene a conoscenza della partenza del migliore amico, che si mette alla ricerca di una cura per la sua malattia. Tony, che assiste a funerali nel Gange, dove la salma di un uomo, considerato anche lui il dio dei bagni, viene arso, si trova sempre più coinvolto nella spiritualità e ritualità del luogo, tanto che si abitua anche all’usanza di fare pipì sui cigli delle strade e vie. Riesce anche a vedere i film indiani, quali medicina e cura contro lo stress ed il malessere.

Dong Dong giunto persino a New York, nella sponda di rimpetto alla statua della libertà, si imbatte in Sam, il quale gli chiede uno scambio di telecamere per registrare e testimoniare da diversi punti di vista, la sua ultima missione da killer. Sfortunatamente non riesce ad assolvere il compito e nel suo fallimento sopraggiunge la morte: Dong Dong ha filmato i suoi ultimi respiri per strada e inaspettatamente scopre che la sua videocamera è stata testimone, nelle mani di Sam, della sparatoria avvenuta in un bagno bagno pubblico.

In seguito decide di consegnare le immagini della morte di Sam alla ragazza del giovane, la quale abita in prossimità della grande muraglia.

Dong Dong apprende della morte di Zhang, uno dei due corteggiatori della nonna, mentre Li, il pretendente sopravvissuto, vorrebbe sposare la malata anziana.

Fruit Chan ci immerge con maestria nel puzzo e nel tanfo dei bagni pubblici cinesi: mondi dove l’igiene non esiste.

Il regista, infatti nel suo narrare, senza vergogna, ci presenta un ragazzo nell’atto di defecare, il quale sgranocchia una pera caduta precedentemente sul suolo del bagno inzuppato di urina.

Questo stile di vita, dove ancora oggi il condividere il momento del bisogno è fondamentale, è molto lontano e distante dallo stile occidentale. L’anziano Zhang muore nel bagno quando non c’è il suo amico Li ed i giovani per parlare, fumare e spiare le ragazze che passano per strada, lo fanno abitualmente in gruppo dal gabinetto pubblico. Il parto di Dong Dong è stato un qualcosa di sporco, da nascondere, ma ciò che si nasconde per tradizione alla fine deve svolgersi in un luogo comune: il bagno pubblico.

Tra amicizia, vecchie credenze ( quali il ginseng contro il cancro, l’urina benefica delle vergini , da bere come rimedio per le malattie infettive come l’A.I.D.S.) spiritualità e ritualità dell’India, tecnologia quale videocamere, cellulari, lettori per VCD o DVD portatili con monitor, internet cafè in zone di estrema povertà e letti d’ospedale predisposti per risucchiare le feci o l’urina si intrecciano le storie di giovani alla ricerca di rimedi per le malattie di coloro che amano.

Tutti partono e si allontanano da quei bagni considerati in Cina la discarica comune, la quale “vede numerosi escrementi e genitali”. Dong Dong cullato con le feci e allattato con l’urina e la creatura marina (potrebbe riportare alla mente la bellissima figura femminile di Suzhou River) che si ciba degli escrementi umani, vedono nella cacca e nei vecchi pillole di saggezza.

Ovviamente accostarsi a questo film significa aprire la propria mente verso usanze e credenze diverse che forse possono anche far arricciare il naso, ma lo stile personale del regista non dà mai occasione di percepire in modo pesante o volgare il parlare di cacca.

Ora in certe città, come Kunming si trovano bagni a 5 stelle, con lo sciacquone e la carta igienica, odorosi di pulito, candeggina o cloro, dove alcune signore ogni cinque secondi lavano e puliscono. Il fatto è che, pur costando come quelli simili ad una latrina, sono semi vuoti ed avendo le porte tolgono l’idea di condivisione e di salotto.

La voce fuori campo in prima persona di Dong Dong, accompagna una fotografia molto curata e scrupolosamente ricercata nel dettaglio.

I passaggi dalla pellicola al digitale, pur essendo palesemente lontani per livelli di colori (infatti in certi punti la pellicola presenta sfumature sbiadite o sovra esposte simil anni ’60 o ’70, molto dolci e soffici, mentre nel digitale le vivacità, le fluorescenze ed acidità si stendono ad invadere l’ambiente con movimenti incerti e traballanti) rendono il tutto armonico e fluido.

Alcune scene sembrano quasi rubate dalla strada, fatte in momenti differenti dal tempo della ripresa del film; questo rende la narrazione più particolare e spaziale. Il film con dei titoli di coda molto belli e dinamici è dedicato all’attore italiano Pietro Diletti, il quale compare nelle scene dei bagni e in un’inquadratura con il colosseo.

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