Recensione di Il Circolo della Fortuna e della Felicità di Wayne Wang

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Tratto dal romanzo di Amy Tan, il film di Wayne Wang, mette in scena la storia di quattro donne: Suyuan, Lindo, Ying Ying e A Mei, le quali fuoriuscite da una società di tipo feudale della Cina di inizio secolo, arrivano fiduciose della promessa della democrazia nella San Francisco dei giorni nostri.

Il Circolo della Fortuna e della Felicità – The joy luck club di Wayne Wang (1993)

Durata: 138′
Origine:
USA
Produttori:
Ronald Bass, Patrick Markey, Amy Tan
Produttore associato:
Jessinta Liu Fung Ping
Produttori esecutivi: Oliver Stone, Janet Yang
Produzione:
Hollywood Pictures
Produzione Design: Donald Graham Burt
Soggetto:
tratto dalla novella di Amy Tan
Sceneggiatura:
Amy Tan, Ronald Bass
Fotografia:
Amir M. Mokri
Interpreti:
Kieu Chinh, Ming Na Wen, Tamlyn Tomita, Tsai Chin, Frances Nuyen, Victor Wong, Andrew McCarthy, Lisa Lu, Lauren Tom, Rosalind Chao, Chao Li Chi, Melanie Chang, Lisa Connolly, Vu Mai, Ying Wu, Mei Juan Xi, Guo-Rong Chin, Hsu Ying Li, Irene Ng, Qugen Cao, Anie Wang, Yan Lu, Boffeng Liang, William Gong, Diana C. Weng, Yuan-Ho C. Koo, Zhi Xiang Xia, Dan Yu, Christopher Rich, Nicholas Guest, Kim Chew, Jason Yee, Ya Shan Wu, Samantha Haw, Feihong Yu, Russell Wong, Grace Chang, Michael Paul Chan, Philip Moon, Melissa Tan, Yi Ding, Emmy Yu, Vivian Wu, Lucille Soong, You Ming Chong, Fen Tian, Lena Zhou, Jeanie Lee Wu, Jack Ford, Diane Baker, Tian-Ming Wu , Elizabeth Sung, Eva Shen, Sheng Yu Ma, Sheng Wei Ma, Howard Fong
Direzione artistica: Diana Kunce
Assistenti alla regia: Matias Alvarez, Marcei A. Brubaker, Josh King
Montaggio:
Maysie Hoy
Effetti Speciali: Frank W. Tarantino
Musica: Rachel Portman
Suoni: Bill Abbott, Bob Bowman, Paul Timothy Carden, Tim Chau, Curtis Choy, Devon Heffley Curry, Gary Gegan, Lewis Goldstein, Gary A. Hecker, Eileen Horta, Matthew Iadarola, Dan O’Connell
Trucco e Parrucco: Carrie Angland, Terry Baliel, Carol Hight, Valli O’Reilly
Costumi: Lydia Tanji

La pellicola evidenza gli aspetti di incontro e scontro di due culture differenti ed il rapporto di tre generazioni, visto attraverso gli occhi femminili di quattro donne mature ritratte nei ricordi del periodo in cui erano bambine con le madri e nei momenti con le loro rispettive figlie.

Suyuan muore e le tre amiche invitano la figlia June a prendere il posto della madre recentemente scomparsa ne “Il circolo della fortuna e della felicità”, che vede le amiche ritrovarsi abitualmente per giocare a mah-jong.

Spesso quando queste si incontrano si raccontano e rivivono le loro esperienze di donne e di madri, rivelano un mosaico di situazioni e di eventi che hanno duramente segnato le loro esistenze e che condizionano la vita delle loro figlie, poiché la comunità, americana e cinese, a cui appartengono, hanno basi e valori differenti da condividere e non sempre facili da accettare.

June, che appartiene alla nuova generazione ha un inglese fluente ed abitudini americane, ma si sente una fallita poiché non è mai riuscita a comunicare con la madre Suyuan, dalla quale ha ereditato il suo attaccamento alle tradizioni della cultura cinese. Coetanea di June è Waverly, figlia di Lindo.

Madre e figlia hanno notevoli difficoltà di comunicazione, poiché entrambe hanno una concezione dell’amore che non le porta ad incontrarsi. Lena è la figlia di Ying Ying, alla quale la vita in Cina ha dato solo un’eredità di depressione e di angoscia.

Mentre Rose, figlia di Mei, è una promettente artista che rinuncia ad una carriera importante per sposare un giovane universitario molto bello e ricco, ma pur iniziando con lui un’apparente vita felice, arriva ad un punto tale che si trova a negare le sue origini e la sua identità, gettandosi così in un baratro di incomprensioni che inevitabilmente porta lei ed il marito ad un distacco.

Gli incontri tra le madri e le figlie danno modo di capire alle une e alle altre le differenti mentalità che le caratterizzano e portano June a rendersi conto dell’importanza della famiglia così che decide di partire per la Cina per ritrovare le sorelle abbandonate anni prima dalla madre.

Le storie delle figlie e delle madri risultano essere sfaccettature della stessa esperienza, poiché unite formano un puzzle ad incastri perfetto e completo.

Questo circolo di donne può ricordare un’altro film, tutto al femminile, di Jocely Moorhouse del 1995 “Gli anni dei ricordi”, dove le dure prove della vita fanno maturare generazioni diverse di madri e figlie.

Wang, il quale sviluppa le sue doti nel cinema indipendente, con quest’opera segna il suo primo film hollywoodiano, dove palesi sono le scene in cui traspare la ricca produzione ed una evidentissima è quella dello sbarco di June in Cina.

La pellicola si mostra dichiaratamente un adattamento di un libro, poiché nei dialoghi si creano dei momenti decisamente poetici e poco reali, ma il regista nella storia mette in luce una riflessione imperfetta del mondo interiore.

Egli dimostra un’eccellente arte nel narrare poiché il materiale che si snoda ed articola nello svolgimento delle vite delle protagoniste è ricco ed i temi principali, dell’esperienza della vita in Cina, dell’emigrazione e dell’integrazione in America, possono dare forma a stati d’animo contrastanti.

La pellicola è tutta al femminile infatti gli uomini che appaiono sono o animali orribili, delineati con caratteristiche dispotiche e crudeli, oppure non hanno alcuna linea di demarcazione e fanno da tappezzeria, pochissimi di essi fanno eccezioni ed in parte si riscattano dell’incomprensione verso le loro donne.

Le luci e la fotografia alternano immagini e colori dell’America emancipata, dei Campus universitari, delle feste mondane e delle case lussuose, che però forse non ha ancora dato a queste donne l’opportunità di dipingere il reale colore che scaturisce dalle speranze e dai sogni che esse nutrono nei confronti delle proprie figlie e dal desiderio di abbattere il muro di incomprensione reciproca.

In un giardino Rose apre gli occhi per focalizzare quello che le permetterà di riacquistare la sua identità e così pure le altre donne, in diversi momenti del loro cammino esistenziale si riappropriano di legami e sentimenti importanti, June ritorna infatti alle origini: la Cina, proprio il luogo dove la fotografia è caldamente segnata da linee che una donna in passato non poteva valicare e neppure oltrepassare o da stanze dove doveva accettare la tirannide della madre o del suo uomo.

Un gioco di colori e geometrie molto simbolico si vede nella scena in cui una madre ricorda le responsabilità che, fin dalla tenera età, ha dovuto assumersi per far valere e rispettare la memoria della sua genitrice in una società dove le concubine non avevano alcuna considerazione se non davano alla luce un figlio maschio.

Dominique Musorrafiti

Dal romanzo fiume della scrittrice cinese Amy Tan, tre generazioni di donne cinesi.

E’ la storia di quattro famiglie, che ripercorrono la loro storia dalla Cina di inizio secolo – scossa dagli orrori della guerra – alla San Francisco dei giorni nostri, in un continuo, avvincente, alternarsi di gioie e dolori, amori e tragedie.

Adattato dalla stessa scrittrice con la collaborazione del factotum Roland Bass (che l’ha coprodotto con la Tan, il regista ed Oliver Stone), un altro deludente film del sopravvalutato regista di “Smoke”.

Cercando di ripercorrere la disperata lotta per la sopravvivenza di donne cinesi in un paese rigido ed allo stesso tempo in via di transizione, Wang realizza praticamente uno sceneggiato diretto con sicura professionalità, ma che non evita le secche del lacrimevole, quando non strizza l’occhio, con un innegabile voglia di dire tanto sul tema, senza riuscirci. Il cast è molto buono (su tutte Kieu Chinh, Minag Na Wen e Tamlyn Tomita), degno forse di migliori occasioni.

Michele H.Pastrello

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