Recensione di Angeli perduti di WONG KAR-WAI

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Voci narranti, fuori campo delineano un continuo slittare di focalizzazione, nella notte di Hong Kong dove vite e storie si sfiorano, incontrano ed intrecciano.

ANGELI PERDUTI – FALLEN ANGELS -Duolo Tianshi di WONG KAR-WAI (1995)

Durata: 95’
Origine:
HONG KONG
Produttore:
Jeffrey Lau
Produttore associato: Norman Law
Produttori esecutivi: Jacky Pang Yee Wah, Wong Karwai
Produzione:
CJEM UO-CHENG – JET TONE PROD.
Manager di produzione:
Jacky Pang Yee Wah, Agnes Leung, Carly Wong Tung Fa
Presentazione:
Chen Yijin
Distribuzione:
COLUMBIA TRISTAR FILM ITALIA (1996)
Soggetto:
Wong Karwai
Sceneggiatura:
Wong Karwai
Fotografia: Christopher Doyle
Intrepreti:
Chan Fai Hung, Takeshi Kaneshiro, Leon Lai Ming, Kwan Lee Na, Chen Man Lei, Karen Mok, Michele Reis, Kong To Hoi, Saito Toru, Charlie Young, Wu Yur Ho, Lee-na Kwan, To-hoi Kong
Montaggio:
William Chang, Wong Ming Lam
Assistenti alla regia:
Johnny Kwong, Jiang Yuecheng
Assistente al montaggio:
Ming Lam Wong
Direzione artistica:
Zhang Shuping
Produzione Design:
William Chang
Direzione dell’azione: Pan Jianjun
Musiche Originali:
Frankie Chan, Roel A. Garcia, Shirley Kwan con “Wang Ji Ta”
Suoni:
Cameron Hamza, Raymond Mak, Leung Tai, Cheng Xiaolong
Scenografia e costumi:
William Chang
Trucco e Parrucco: Lee-na Kwan, Wu Xuhao
Coordinatore stuntmen: Kin-Kwan Poon
Performer: Robison Randriaharimalala

Sono coinvolti principalmente un killer, ormai stanco della sua professione; una giovane e bella ragazza, in società con lui, la quale si occupa di procacciare contratti e di entrare negli appartamenti degli assassinati, per cancellare eventuali prove; un giovane muto, Ho, che per racimolare più soldi si è inventato un lavoro alternativo, che consiste nell’entrare nei negozi chiusi e procurarsi in modo ossessionante dei clienti.
Il killer non si incontra quasi mai con la sua agente, hanno brevi conversazioni telefoni dove lei dà a lui le coordinate dei luoghi dove si deve recare per assoldare il suo compito, ma proprio questo tipo di rapporto crea nella ragazza un senso di attrazione nei confronti del sicario, la possibilità di un amore impossibile e misterioso la stuzzica. In un locale notturno, una sera la ragazza, da parte del killer riceve un gettone per un Juke-box, con la segnalazione di una specifica canzone da ascoltare, quale messaggio di scioglimento della società.
Ora il killer libero da impegni mafiosi, inizia una storia con una giovane ragazza, dai capelli tinti di biondo, molto esuberante e frizzante, ma anche la ragazza che ha conosciuto Ho non è da meno, il suo problema principale è non essere interessata al ragazzo e continuare a raccontare gusti e doti dell’ex, che è in procinto di sposarsi con una tipa che ha soprannominato “blondie”.

Ovviamente la storia non riesce ad avere seguito ed Ho continua la sua vita notturna, ma con una nuova passione: video riprendere.
Egli abita con suo padre in un minuscolo appartamento, dove insegue ogni attimo con la telecamera il padre ormai sessantenne. Il killer, invece non ha più intenzione di continuare la sua storia con la sua bionda svampita, dopo aver avuto un periodo in cui voleva aprire un locale, decide dopo un appuntamento con la sua agente di riprendere il vecchio mestiere, ma per poco.
L’agente rimane nuovamente sola, ma forse il turbine delle vite o la possibilità di incontrarsi ad Hong Kong, fanno in modo che Ho, al quale da poco è morto il padre in un ristorantino sfiori la sua vita proprio con la sua, chissà per quanto, ma ciò non conta.

Chi ha visto “Hong Kong Express” dello stesso regista, inevitabilmente nota numerosissime assonanze, quali Ho ed il poliziotto matricola 223 , lo stesso attore Takeshi Kaneshiro in entrambe le pellicole, dove nelle loro vite scatolette di ananas scaduto o che sta per scadere interferiscono in modo significativo; o il chiosco dei panini dove lavora il giovane, che nel film precedente lo vedeva ritrovarsi lì davanti per telefonare; il locale notturno dove il killer lascia il gettone, luogo dove il poliziotto matricola 223 e la spacciatrice si incontrano la sera prima del compleanno di lui… e molti altri più o meno evidenti, legati alla trama, ai personaggi, ai luoghi o alla fotografia. Il film infatti doveva essere la terza parte di una trilogia ambientata ad Hong Kong, ma il materiale del secondo episodio è stato tagliato e non ha avuto occasione di raggiungere lo schermo cinematografico. Ricompaiono oltre alle somiglianze i temi principali di Wong Kar-wai, quali la solitudine, la difficoltà di comunicare e di ascoltare, che porta così ad avvicinarsi ed allontanarsi velocemente.

Le riprese di luoghi claustrofobici, vicoli, localini e la notte. La fotografia è ricercatissima, minuziosa, precisa e carica. Il grandangolo impreziosisce allungando le snelle ed esili gambe delle sue ragazze ed i primi piani di volti pieni di sentimenti e vibrazioni, riempiono totalmente lo schermo, già traboccante di luci e riflessi.

I colori sono caldissimi e vivaci, quelli di una città che non sembra mai dormire, una città che con le anime e le vite che la popolano fa risplendere la notte quasi fosse giorno. Insegne di locali, scritte e pubblicità note, e non, al mondo occidentale brulicano nelle inquadrature del regista. I rallentamenti e le velocizzazioni non sono mai fuori luogo. Alcune scene di delirio totale, quale una rissa iniziata in un locale, può portare alla mente quelle dei film anni ‘70 ed ‘80 occidentali, anche se questa è molto delicata e più simile ad un’allucinazione onirica. Alcune inquadrature, per gli appassionati di videogiochi, compaiono in “Shenmue II”, mentre il recente “Hollywood Hong Kong”, sembra essere rimasto interessato e colpito dall’ironica situazione, dove Ho massaggia un maiale. Forse le scene più comiche di tutto il film sono lasciate ad Ho, il quale si trova coinvolto come provocatore di situazioni folli ed altre volte coinvolto suo malgrado.

Dominique Musorrafiti

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