Intervista a Renzo Cavalieri, Le Leggi Cinesi

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Leggi cinesi

Renzo Cavalieri è professore di Diritto dell’Asia Orientale nell’Università “Cà Foscari” di Venezia e Studio Legale Bonelli Erede Pappalardo.

Quali sono le principali differenze fra il codice civile cinese e quello italiano?

Sotto il profilo giuridico, Cina e Italia appartengono entrambe alla “famiglia” romanistica e dunque condividono un sistema simile di fonti del diritto, basato sulla legge e non – come invece avviene nel caso dei sistemi anglosassoni – sul precedente giudiziario. Tecnicamente, però, in Cina non esiste un codice unico che regoli l’intero diritto civile. Si sta discutendo da diversi anni della sua approvazione, ma per ora siamo soltanto a livello di progetto. Vi sono in compenso alcune grandi leggi in materia civile e commerciale, emanate a partire dagli anni ottanta, che forniscono il quadro normativo di riferimento. C’è poi una grande quantità di decreti e regolamenti specifici, sia a livello centrale sia a livello locale.

Quanto ai contenuti, è innanzitutto da chiarire che vi sono enormi differenze tra la Cina e i paesi più industrializzati nel diritto costituzionale, amministrativo e penale, che rivelano il carattere autoritario dello stato cinese, ma molte meno nel diritto civile. Qui rimangono alcune differenze significative circa la materia personale (si pensi alla pianificazione delle nascite), mentre invece la disciplina delle materie patrimoniali sta rapidamente avvicinandosi a quelle dei sistemi occidentali, come del resto è avvenuto in tutti i paesi asiatici più avanzati, quali il Giappone, la Corea e Taiwan. Certo vi sono aspetti nei quali ancora è evidente la natura socialista della Repubblica Popolare Cinese (ad esempio l’ampiezza e la discrezionalità dei poteri di intervento della pubblica amministrazione sull’attività economica), ma nel complesso prevalgono il mercato e il liberismo.

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La Cina è diventata membro del WTO dal dicembre del 2001. Quali sono le implicazioni giuridiche e le conseguenze a livello economico?

L’adesione della Cina alla WTO è stato uno degli eventi più importanti di questo primo scorcio di millennio. Se improvvisamente la Cina – con i suoi prodotti, il suo mercato, la sua gente, la sua lingua, la sua cultura – è diventata così presente nella nostra vita quotidiana, ciò è stato in larga parte dovuto proprio a quell’evento. Diciamo che, sotto il profilo legale, le implicazioni dell’adesione sono state di due tipi. Innanzitutto sono stati modificati migliaia di atti normativi attinenti al commercio internazionale al fine di adeguare il sistema agli impegni di apertura dei mercati e di non discriminazione nei confronti delle imprese estere assunti: i dazi sono stati abbassati in maniera significativa, la maggior parte delle barriere tecniche al commercio abolite, gli investimenti esteri e l’attività di trading liberalizzati, ecc. In secondo luogo sono stati recepiti alcuni grandi principi generale di funzionamento del sistema che stanno influenzando l’evoluzione generale del diritto cinese, non soltanto cioè per quanto attiene alle tematiche coperte dall’Organizzazione, ossia quelle del commercio internazionale: mi riferisco in particolare agli impegni alla trasparenza, alla pubblicazione delle leggi e dei regolamenti e al controllo giurisdizionale degli atti amministrativi, veri e propri “virus” della legalità che dal campo specifico del trade tendono a espandersi anche alla gestione interna dei rapporti economici.

Come bisogna agire per tutelare i propri marchi in Cina?

La questione è assai semplice in teoria e assai complessa in pratica. Se un marchio viene registrato in Cina, direttamente o tramite l’estensione di un marchio internazionale, nulla quaestio. Si tratterà naturalmente di proteggerlo contro la contraffazione e la violazione, che come è noto in Cina sono molto diffuse, ma ormai esistono strumenti giuridici (amministrativi e giudiziari) abbastanza raffinati e “up to international standard” per farlo. Certo, l’applicazione delle leggi non è sempre semplice, ma vi sono stati casi giudiziari importanti che hanno dimostrato che se si agisce nei modi e nei tempi corretti è possibile addivenire a ottimi risultati.

Tutt’altro discorso riguarda i casi in cui il marchio sia stato più o meno abusivamente registrato da un soggetto diverso dal titolare e quelli in cui il marchio non sia registrato o registrabile. Qui la tutelabilità del diritto è molto scarsa: non vi è infatti in Cina un chiaro orientamento sul tema della concorrenza sleale e non di rado i possessori stranieri di marchi, di know-how o di design non registrati ne pagano le conseguenze. Anche in questi settori, però, mi pare di poter dire che si riscontra qualche piccolo segno di miglioramento.

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Come bisogna procedere per registrare un marchio in Cina? Vi sono differenze sostanziali in base al business che si vuole intraprendere?

Innanzitutto, insisterei sul fatto che è SEMPRE consigliabile, laddove ciò sia possibile, registrare il marchio, sia in originale sia in cinese. E’ del tutto inutile infatti lamentarsi delle contraffazioni se non si sono preventivamente adottati tutti i mezzi previsti dalla legge cinese per tutelarsi.

In particolare, sono possibili due vie:
1. estensione della registrazione internazionale, presentando richiesta alla World International Property Organization; 2. registrazione diretta depositando apposita domanda presso l’Ufficio Marchi cinese. Inoltre, è importante tutelarsi anche registrando il relativo dominio Internet .cn
Non mi pare che si possa parlare di differenze a seconda del business. Anzi, in un certo senso la questione della proprietà intellettuale merita attenzione in qualunque business. Semmai si deve prestare attenzione alle categorie merceologiche per le quali si chiede la registrazione. Naturalmente, maggiore è il numero e l’importanza di tali categorie maggiore è la protezione disponibile.

La legge cinese, in linea teorica, difende il diritto della proprietà intellettuale. Ma su un piano pratico quello che è stabilito dalle leggi è alla fine garantito alle aziende straniere interessate ad avviare un’attività in Cina?

Come dicevamo, la tutela formale è ormai ragionevolmente efficiente. In base al sistema vigente del cd. “doppio binario”, è possibile scegliere tra il ricorso alle autorità amministrative di volta in volta competenti (Administration for Industry and Commerce, Uffici Marchi, ecc…) e l’azione giudiziaria dinanzi alle Corti specializzate  in materia di proprietà intellettuale, presenti in tutte le province e principali città della Cina.
Questo quanto alla law in the books. Per quanto invece riguarda la law in action, nell’applicazione delle norme si riscontrano, soprattutto nelle aree più periferiche, grosse difficoltà derivanti innanzitutto dal dinamismo anarchico del mercato e dalla conseguente difficoltà di  assumere informazioni e di aggredire i patrimoni dei contraffattori e in secondo luogo dalle interconnessioni protezionistiche tra imprenditori, pubblici amministratori e magistrati locali. D’altra parte, non dimentichiamo che anche in paesi industrializzati come il nostro non è sempre facile ottenere l’esecuzione di una sentenza…

A quale regime fiscale è soggetto un cittadino italiano residente all’estero, iscritto all’AIRE? Come ci si deve comportare? Come ci si deve regolare con il fisco cinese?

Con la Cina esiste ormai da molti anni un accordo contro la doppia imposizione. In base a tale accordo, il cittadino italiano residente in Cina (per più di 183 giorni all’anno) è soggetto di imposizione fiscale nella Repubblica Popolare Cinese e ha solo limitati obblighi in Italia (tutte le informazioni relative sono reperibili all’indirizzo: http://www.italia.gov.it/servlet/ContentServer?pagename=e-Italia/Structure&pagetype=livello2&nodo=1150959024463). Ciò significa che deve registrarsi presso le amministrazioni tributarie locali competenti (che generalmente dispongono di appositi uffici per gli stranieri), versare l’imposta sul reddito individuale dovuta (calcolata sul worldwide income sino a un’aliquota massima del 45%) ed adempiere a tutti gli altri oneri burocratici richiesti. Segnalo, a titolo di osservazione generale, che rispetto anche soltanto a pochi anni or sono, il Fisco cinese sta diventando decisamente più attento e rigido: la normativa è infatti divenuta stringente e le eccezioni e le flessibilità, per esempio rispetto a redditi incassati all’estero, sono ormai pochissime.

Ammettiamo che un cittadino italiano possieda una società ad Hong Kong e abbia la residenza in Cina. Qual’è la sua posizione verso il fisco cinese?

La risposta varia a seconda che si parli delle imposte sul reddito individuale, di quelle sul reddito della società o delle imposte indirette (in primis l’IVA). Varia inoltre a seconda del titolo in base al quale il cittadino italiano risiede in Cina; se cioè la società di Hong Kong abbia in Cina soltanto un ufficio di rappresentanza o una controllata dotata di personalità giuridica, se il cittadino sia o meno dipendente di tale soggetto, e via dicendo. Purtroppo il diritto tributario è una materia complessa, le cui regole variano a seconda della situazione dei diversi soggetti, ed è impossibile dare una risposta generica. Si tratta dunque di parlare del caso concreto con fiscalisti (revisori o legali) affidabili. Penso comunque che già una lettura attenta delle molte newsletter pubblicate da studi fiscali e di revisione e disponibili online possa aiutare a districare la matassa. I link a diverse di tali newsletter sono disponibili nella sezione “Affari” del sito www.leggicinesi.it.

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LEGGICINESI.IT
Leggicinesi.it è un portale italiano dedicato alle leggi, e più in generale al diritto cinese ed è destinato agli studiosi, agli studenti, ai pratici e agli operatori economici italiani interessati all’evoluzione del sistema giuridico cinese, gestito da Renzo Cavalieri e Laura Sempi.

BIOGRAFIA
Renzo Cavalieri è docente di diritto privato e di diritto dei paesi afro-asiatici, membro delle Faculties dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) di Milano e del Settore Diritto e Politiche Euro-mediterranee dell’Istituto Superiore di Formazione Interdisciplinare (ISUFI) dell’Università di Lecce.

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