Intervista a Massimo Roj

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L’architetto Massimo Roj è amministratore delegato e fondatore di Progetto Cmr, studio milanese di architettura specializzato nella progettazione integrata e nello space plannig che nell’arco di 14 anni è cresciuto fino a raggiungere i 130 collaboratori in Italia tra architetti, ingegneri civili e impiantisti, project manager, designer.

Quando e come è iniziato il vostro rapporto lavorativo con la Cina?

Progetto Cmr è stato certamente uno dei primi studi italiani ad accorgersi della grande opportunità rappresentata dal boom urbanistico della Cina.

Quando e come è iniziato il vostro rapporto lavorativo con la Cina?

Tutto è nato nel 2002, quando ho fatto parte di una missione economico-politica in Cina al seguito della Regione Lombardia e di Assolombarda. Abbiamo fatto sosta a Tianjin, una città che fino a quel momento non avevo mai sentito nominare e che allora, a differenza di Shanghai dove svettava già un bel numero di grattacieli, era un importante centro industriale dove però gli operai si spostavano ancora in bicicletta.  A cena mi sono messo a raccontare al sindaco di Tianjin e all’assessore all’urbanistica l’esperienza che avevamo raggiunto nella realizzazione di uffici – erano appena stati terminati quelli della Regione Lombardia – e di lì a qualche giorno mi è arrivato l’invito ufficiale a partecipare con nostri progetti ai loro concorsi. Insomma, detto fatto.

Quanti sono i progetti che avete realizzato e quanti sono in fase attuale di sviluppo?

Ne abbiamo realizzati parecchi e altrettanti ne stiamo costruendo. Non a caso abbiamo due uffici con 40 persone, a Pechino e Tianjin, che lavorano a tempo pieno. Tra le opere concluse, tutte a Tianjin, la nuova sede del Rettorato della storica Università di Tianjin e il Building 25 dove studiano 20.000 giovani; l’Italian Exibition Center, che doveva essere il centro dell’italian style e invece diventerà il museo dell’urbanistica; Sixth Avenue, un intero quartiere in stile italiano. Quanto ai progetti in costruzione, ne abbiamo ancora di più e tutti di notevoli dimensioni: come Faith Estate, nove torri residenziali con alti standard qualitativi a Tanggu, un altro intervento abitativo importante sempre a Tanggu, un palazzo per uffici a Ningbo, uno stadio da 30.000 posti a Tianjin, l’Hotel Lisboa a Macao. Ad agosto abbiamo vinto un importante concorso internazionale per la progettazione dell’High Tech’s Software University Campus di Tianjin, dove studieranno 500.000 giovani, e stiamo lavorando a tre masterplan, cioè l’organizzazione degli spazi in aree molto grandi della città, a Taiyuan.

Nell’ambito delle esperienze lavorative con la Cina vi siete trovati di fronte ad imprevisti? Ritardi dei permessi, del materiale o di altro genere? Come li avete affrontati?

Ci siamo ingegnati. Gli imprevisti in Cina sono all’ordine del giorno, si presenta continuamente l’esigenza di aggirare ostacoli o supplire alla mancanza di qualcosa, dovuta alla difficoltà di capirsi, alla diversa cultura che ti fa valutare le cose in maniera differente, alle grandi distanze e alla carenza di certe strutture. Gli operai cinesi, ad esempio, non hanno l’abitudine di seguire il disegno del progetto al dettaglio e questo porta a errori che vanno corretti assolutamente in corso d’opera, per di più rispettando la tempistica del cantiere, che viaggia a una velocità tripla rispetto all’Italia: là si lavora su tre turni, anche di notte coi riflettori.

Spesso la Cina ha spaventato studi di architetti a causa di alcuni palazzi mai portati a termine, per mancanza di budget o altro, cosa ci potete dire della vostra esperienza? Vi è un modo per tutelarsi?

Purtroppo il modo per tutelarsi non c’è, ma questi sono rischi del mestiere che capitano un po’ ovunque, anche in Italia. Il guaio della Cina è che spesso non è chiaro perché l’opera si blocchi e non ci sia modo di farla proseguire. A volte mancano i fondi, ma altre volte non arrivano i permessi, anche se fino a un attimo prima pareva che tutto fosse a posto, oppure gli amministratori locali cambiano idea in corso d’opera. Ad esempio, abbiamo progettato una torre per uffici a Tanggu che riprende la forma elicoidale del dna, per questo l’abbiamo chiamata Helix Tower. Il committente, entusiasta, aveva già dato il via ai lavori quando il governo locale ha deciso che quel terreno non doveva più essere destinato al terziario-amministrativo, bensì a un uso residenziale. Ora quindi siamo fermi perché l’imprenditore deve trovare, e acquistare, un’altra area idonea e disponibile dove trasferire tutto il cantiere e costruire la sua torre.

Quali vantaggi avete trovato nel vostro settore in Cina, rispetto agli altri stati?

La velocità di realizzazione, che ha degli evidenti svantaggi – la fretta non sempre si sposa con la qualità e con la sicurezza – ma anche degli indubbi vantaggi per un architetto: la possibilità di vedere realizzato in brevissimo tempo quanto ideato e progettato. E’ un’esperienza magnifica, difficilmente vivibile altrove.

Vi è chi ritiene che la formula per capire e lavorare nel mercato cinese sia intuitiva, semplice e matematica. E’ davvero così?

Assolutamente no. Al contrario, serve un lavoro lungo e paziente per “legare” con le persone dal punto di vista umano, per stabilire un rapporto di fiducia reale. I cinesi lo chiamano Guanxi, gli inglesi feeling: è quell’intesa che permette di capirsi senza difficoltà, importante anche in Italia ma essenziale nei paesi orientali.

Quali sono le maggiori richieste da parte dei cinesi nell’ambito dei nuovi progetti architettonici?

I cinesi cercano nei progettisti stranieri una memoria che loro hanno perduto, perché nell’ultimo secolo sono stati letteralmente abbattuti millenni di storia. Hanno una grande voglia di occidentalizzarsi, più che di recuperare la loro identità, ma hanno una visione non corretta di come l’architettura europea si sia evoluta negli ultimi decenni. Quindi, per lo più fanno riferimento a modelli addirittura ottocenteschi. Non è facile spiegare loro che non costruiamo più palazzi in stile Rinascimentale, o con cupole come a San Pietro. Quando ci riusciamo, però, i risultati sono davvero lusinghieri anche per noi.

Negli ultimi 10 anni, le grandi città della Cina hanno iniziato un percorso di cambio d’immagine, cosa ci si può aspettare per il loro aspetto urbanistico dei prossimi anni?

Le città cinesi stanno subendo un’urbanizzazione fortissima dalle campagne. In tutti i settori si sta correndo per recuperare il tempo perduto e l’evoluzione è velocissima. La sfida è riuscire a far stare 1000 famiglie dove prima ne stavano 100: è evidente che la cosa più semplice è buttare giù l’esistente e costruire in verticale, ma in questo modo sono andate perse testimonianze preziosissime. Con l’Università di Tianjin e il Politecnico di Milano stiamo portando avanti una ricerca per recuperare alcuni edifici storici di pregio nei centri urbani, cercando di trasmettere questa sensibilità – che al momento pochi in Cina hanno – anche agli studenti. La mia speranza è che lo sviluppo futuro non sia più indiscriminato come ora, ma possa venire anticipato da un pensiero, una visione coerente. Va in questa direzione, ad esempio, il progetto “100 città”, a cui partecipiamo, che mira a creare tanti piccoli centri urbani vicino ai centri rurali, in modo da evitare la corsa verso le grandi megalopoli (Pechino, Shanghai, Tianjin…..).

Ritenete che la Cina possa rappresentare un’opportunità vantaggiosa per gli attuali e futuri architetti italiani?

La Cina rappresenta una magnifica opportunità per tutti,  anche per gli architetti. Noi italiani possiamo dirci avvantaggiati perché la nostra cultura ha delle forti affinità con quella cinese, sono entrambe tra le più longeve del mondo. Le antiche città italiane e quelli cinesi erano costruite nello stesso modo: le attività commerciali  affacciavano sulla via, quelle artigianali si concentravano nei cortili e le residenze occupavano i piani alti. Bisogna aiutarli a recuperare questa tradizione per progettare e riorganizzare spazi urbani e di lavoro a misura d’uomo, dove si possa vivere meglio. L’uomo al centro di ogni cosa: è la filosofia che seguiamo sempre a Progetto CMR e che cerchiamo di trasmettere con le nostre realizzazioni ovunque andiamo.

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