Censura in Cina. Cosa è cambiato negli ultimi anni?

8 ottobre 2006 – Parlare di censura in Cina nell’ultimo biennio è diventato lo sport preferito di molti giornalisti, bloggers e semplici appassionati.

Da quello che si legge nei giornali italiani e spesso stranieri, si ha quasi l’impressione di un’internet cinese assolutamente blindata, dove al minimo accenno di pensiero indipendente, ecco partire una squadra di rieducazione pronta a ricondizionare il povero malcapitato utente in un laogai sperduto nel deserto del Gobi.

In passato ho scritto numerosi articoli sull’argomento, ampiamente ripresi in altre testate, intervistato esperti americani, attivisti democratici cinesi, e la sola conclusione che posso arrivare dopo tutti questi anni e soprattutto dopo aver trasferito la sede del sito in Cina da un anno, è che la morsa si sta allentando inesorabilmente. Internet com’è concepita, è un flusso inarrestabile ed incontrollabile di nozioni, dati, immagini, video, pattumiera, assolutamente catalogabile in minima parte. Solo per questo, nonostante l’esercito di censori che lavora per i governi locali, che ricordo però spesso essere giovani universitari impreparati, per cui le censure, eccezion fatta per i casi più eclatanti sono arbitrarie, il millantato ferreo maglio imposto dal regime non è semplicemente efficace, è fallace, pieno di buchi, e se è vero che un sito è bannato, si potrà, con un poco di pazienza, accedere alle informazioni cercate da altre parti. Lo stesso Wikipedia, diventato assieme ai bloggers cinesi incarcerati, il simbolo della censura comunista, è ampiamente disponibile attraverso proxy o addirittura utilizzando l’ultima versione di Babylon, che ne riporta ampli passaggi.

Un ulteriore appunto sulla famosa ricerca su Google di “Tiananmen Massacre” tanto amata dai giornali per dimostrare l’impenetrabilità dell’internet in Cina: se è vero che gli articoli ospitati sui siti più noti come l’onnipresente Wikipedia e BBC sono oscurati, basterà fare una ricerca più approfondita e sarà possibile trovare con estrema semplicità numerosi altri articoli e reportages in diverse lingue e su Youtube video dell’epoca che ritraggono il tragico svolgersi degli eventi (anche se bisogna dire che talvolta misteriosamente Youtube cessa di funzionare mentre si cerca di visualizzarli).

Affermare che la censura in Cina non esiste è un’idiozia imperdonabile, ma cercare costantemente di dipingere la situazione come catastrofica è sicuramente un eccesso che forse nasconde altri interessi economici.

Un’ultima postilla ai giornalisti cultori dello scoop facile o copia carbone: cercate di documentarvi su quanto state scrivendo e ricordate soprattutto che se voi non avete la pazienza di arrivare in pagina due di Google sui risultati di un hot topic, altri lettori invece lo faranno, giungendo a ben altre conclusioni.

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