PREISTORIA E STORIA DELLA POESIA IN CINA DALL’INVENZIONE DEI CARATTERI AL TRACOLLO DELL’ULTIMO IMPERO

La lingua cinese, dalle grandi risorse visive e agilità grammaticale si presta particolarmente ad essere lingua di poesia: lingua divinatoria nell’antichità, veniva utilizzata per scopi magici, gli sciamani scrivevano sulle ossa delle scapole di bovini o su gusci di tartarughe e interpretavano le modifiche apportate dal fuoco; il potere dello stesso sovrano aveva senza dubbio un’origine magico-sacrale.

di Fabio Grasselli

Fonti archeologiche ci permettono di datare al V millennio a.C. la nascita dei simboli grafici in Cina; leggende attribuiscono l’invenzione dei caratteri ai tre mitici imperatori Fu Xi, Shen Nong, e Huangdi, vissuti, si narra, fra il XXIX e il XXVII sec. a.C. Fu Xi è indicato come creatore degli otto trigrammi, combinazione di tre linee orizzontali continue o spezzate, i quali secondo antiche teorie cosmologiche corrispondevano ai fenomeni del mondo naturale, fungevano da immagini degli stati mutevoli con cui si manifesta l’ordinamento del Cielo e della Terra. A Shen Nong è attribuita l’introduzione della registrazione di dati attraverso nodi su cordicelle.

Huangdi (più esattamente il suo ministro Cang Jie) è considerato l’inventore dei caratteri, instillati dalle orme degli animali, soprattutto dagli uccelli.

La prof.ssa Tamburello scrive: “se è vero che la nostra lettera “a” è stata un’alfa e prima ancora la stilizzazione di una testa di bovino con le corna, e se è vero che anche la nostra scrittura nasce dal bisogno di riprodurre quanto ci è noto di ciò che ci attornia, è pensabile che la scrittura cinese abbia prediletto la forma del pittogramma e l’abbia conservata per una consapevolezza della natura rivelatrice, suo malgrado, del disegno? Se così fosse, la cultura cinese avrebbe realizzato un’altra delle sue grandiose sintesi: una lingua che attraverso il disegno, esprime al tempo stesso la rappresentazione riconoscibile del reale e la rappresentazione in quanto assenza, dell’ineffabile. Una lingua di poesia, dunque, ma non della pausa o della sospensione, bensì dell’essere e del non-essere.” (1). La prof.ssa Claudia Pozzana descrive così la scrittura cinese: “[…] spontaneamente si raffigura d’essere l’<> di un <>, l’incerto confine <> tra un <> e un <>, che spesso viene considerato radice di una presunta costitutiva delle modalità del <>” (2).

Ernest Fenollosa, il quale trasferì sui caratteri cinesi l’ammirazione che gli intellettuali dell’ottocento nutrivano verso i geroglifici, li definiva come una vivida pittura stenografica delle operazioni naturali.

Attraverso Lawrence Binyon, uno dei maggiori esperti di arte cinese e giapponese del primo novecento, il poeta americano Ezra Pound venne a contatto con i principi estetici della pittura cinese e giapponese, e scoprì l’importanza della relazione tra la scrittura e l’immagine visiva, il rapporto spaziale tra vuoti e pieni.

Egli esaltò le qualità “imagiste” della poesia cinese: la chiarezza nella rappresentazione, la capacità di esprimere un’idea per mezzo dell’immagine che la rappresenti, la subitanea compenetrazione tra il poeta e ciò che lo circonda.

A questo proposito Yang Lian ha scritto: “A confronto con le lingue europee, dove si può “vedere” il suono delle lettere dell’alfabeto, la musicalità della lingua cinese è nascosta dietro la percezione visiva dell’immagine. […] E’ questo ciò che io chiamo “l’energia segreta” della poesia” (3). (da “all’interno del cinese” www.manifatturae.it/YangLian )

Per il poeta Yang Lian, appunto, le tradizioni poetiche cinesi sono due: la prima risale alla cultura magica del bacino dello Yangzi, la quale si chiude con l’importante figura di Qu Yuan (340-278 a.C.), e che viene soverchiata dalla seconda, quella confuciana, stabilita sulla base dello Shijing, caratterizzata dall’impoverimento tematico e da un estremo convenzionalismo.

Tuttavia, generalmente si parla di due grandi filoni poetici che ricalcano i due sistemi filosofici autoctoni cinesi: quello taoista e quello confuciano.

Di solito, se si parla di poesia cinese, l’immaginario si rivolge immediatamente al periodo Tang (618-905 d.C.), epoca in cui questa forma d’arte raggiunse l’apice espressivo (il Quan Tangshi, la raccolta completa delle odi del periodo Tang, comprende quasi 50.000 poesie, di oltre duemila autori diversi); tra i più eminenti poeti del tempo si possono citare Wang Wei, Du Fu, Li Bai influenti durante il primo periodo e Bai Juyi, Li He, Li Shangyin e Wei Zhuang, i più famosi del secondo periodo.

In realtà già dal periodo medievale la poesia aveva raggiunto altissimi livelli: lo Shi, genere poetico già utilizzato sotto gli Han orientali, caratterizzato da opere costituite da versi di cinque o sette caratteri, conobbe un grande sviluppo.

La tonalità in questi anni divenne elemento fondamentale nella prosodia, i cui contenuti vertevano su vino, musica e natura; tra i poeti più eminenti ricordiamo Ruan Ji, Xi Kang, Xie Lingyun e Tao Qian.

In epoca Tang si attinse da questa tradizione soprattutto grazie all’opera di mecenatismo degli imperatori di questa gloriosa dinastia.

Dal punto di vista formale i Tang svilupparono la “poesia codificata” (Lüshi), senza cessare di utilizzare lo stile antico (guti o gushi); introdussero, inoltre innovazioni come il nuovo metro dei cosiddetti “versi troncati” (jueju) o il nuovo genere della “canzone” o ci. Tuttavia bisogna dire che la poesia ha sempre rivestito un ruolo fondamentale lungo l’intero arco della storia della Cina: i primi versi documentati risalgono al 1753 a.C., e sono quelli del Libro delle Odi (Shi Jing), uno dei cinque classici, fondamento dell’educazione di un Ru, letterato confuciano.

La cultura confuciana conferì alla poesia un ruolo importante nella gestione degli affari dello stato, edificando intorno ad essa un sapere “poetologico”, non solo attraverso la codificazione di regole metriche e formali, ma principalmente con la prescrizione di un canone interpretativo il quale accoglieva la poesia come uno dei “riti” che ordinavano il funzionamento dello stato al fine basilare di educare la massa.

Durante il primo impero (221 a.C-220 d.C.), la letteratura era strettamente legata al potere politico, il genere letterario più in voga era il fu, composizione in prosimetro, descrittivo e declamatorio, derivato sul piano formale dai “Chu Shi” e dalla tradizione retorica della scuola dei politici (zonghejia), e, parlando appunto di fu, non si può prescindere dal citare Sima Xiangru, il maggiore cantore delle glorie imperiali; altro genere tipico del periodo Han è lo yuefu, tipo di composizione poetica accompagnata dalla musica i cui temi principali erano la fragilità e la precarietà della vita. Alla fine degli Han orientali, i sette poeti dell’era Jian’an, tra cui Cao Cao, Cao Pi e Cao Zhi, nostalgici e melanconici, riportarono la poesia ad ottimi livelli.

Dopo il periodo d’oro della poesia cinese di cui abbiamo già delineato i tratti fondamentali, il periodo Song (960-1279) vide una capillare diffusione della letteratura in lingua parlata, dai temi di carattere storico, avventuroso, religioso e fantastico, i cosiddetti “canovacci” (huaben); il genere ci venne gradualmente a sostituirsi alla poesia codificata, il cui massimo esponente del tempo fu Su Dongpo, pittore, calligrafo e saggista permeato di buddismo e taoismo.

Durante la dinastia Yuan (1271-1368) si assisté al tracollo del mecenatismo di corte e alla separazione fra la cultura e la carriera politica; gli scrittori, da un lato, si dedicarono a testi teatrali e alla narrativa incrementando lo sviluppo della letteratura in lingua volgare e dialettale, dall’altro crearono limitati circoli letterari in cui si venne affermando un tipo di letteratura raffinato ed ermetico. La letteratura drammatica fu l’espressione più alta dei ceti urbani; nel nord si diffusero le ballate sanqu, che combinavano arie settentrionali con forme poetiche shi o ci, a cui si aggiunse un nuovo genere prettamente drammatico, lo zaju, genere considerato indegno dai letterati. Gli argomenti ivi maggiormente trattati erano di tipo familiare, poliziesco, amoroso o leggendario.

Quello della dinastia Ming (1368-1644) si può definire il “secondo Rinascimento cinese” per la densa concentrazione di fermenti intellettuali. Emerse una prosa semplice ed espressiva che trovava le radici nei canovacci (huaben) dell’epoca Song, atta alla stesura di romanzi, testi d’evasione, d’argomento religioso e novelle in lingua parlata; anche il genere drammatico raggiunse altissimi livelli. Riguardo alla poesia, contro lo stile ufficiale arcaicizzante, si posero autori originali come Tang Yin (1470-1524), la scuola Gong’an dei fratelli Yuan (seconda metà del XVI sec.) e Li Zhi (1527-1602).

Gli imperatori della dinastia Qing (1644-1911) si fecero promotori della cultura ufficiale, promovendo il confucianesimo ortodosso, l’arte accademica e lo stile classicheggiante, censurando tutto ciò che fosse contrario al regime e al mos maiorum, castrando, così, l’originalità degli autori; non mancarono, certo, eccezioni, come ad esempio il poeta drammaturgo Yuan Mei (1716-1798), anticonformista e libertino il quale esaltava la libertà d’espressione; inoltre, non scarseggiarono centri d’irradiazione culturale alternativi, grazie soprattutto al mecenatismo dei ricchi mercanti del Sud.

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