15 anni dopo il massacro di Tiananmen

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Pechino – 4 giugno – Esattamente 15 anni fa si consumava il massacro di Tiananmen, una delle pagine più nere della recente storia cinese, che ha visto coinvolti studenti scesi in piazza da tutte le principali università della capitale, per celebrare la memoria di Hu Yaobang (morto per attacco cardiaco il 15 aprile del 1989) e per richiedere riforme e che invece, come unico risultato, ottenero un’aspra repressione. Le manifestazione e i clamorosi atti di protesta contro la leadership si intensificarono sin da pochi giorni dopo la morte di Hu Yaobang. Dopo tutti questi anni non è ancora ben chiara la consapevolezza del cittadino medio cinese di questo evento. Spesso è totalmente ignaro di quanto è accaduto, oppure ha il ricordo di uno sciopero, o di una manifestazione di poche decine di agenti provocatori; tutta questa confusione è dovuta grazie alla “vincente” campagna di disnformazione promossa da Pechino attraverso tutti i suoi media. In questi anni Pechino ha cercato di isolare i dissidenti o chi aveva a che fare con loro, sfortunati testimoni dell’episodio. Non si conosce neppure il numero delle persone imprigionate, forse 300 o 500, ma stime realisticamente attendibili sono impossibili a causa della grande riservatezza con cui il governo ha agito. La situazione politica interna sembra poggiare su un equilibrio particolarmente instabile: le spinte secessioniste di Taiwan, la crisi democratica ad Hong Kong, le recenti chiusure di migliaia di internet point, i blocchi ai vari motori di ricerca, e le innumerevoli altre violazioni dei diritti dei cittadini non fanno altro che aumentare il dissenso e il disagio nei confronti del partito, e stridono con il processo di liberalizzazione economica che la Cina negli ultimi anni sta vivendo, proprio nel momento in cui Pechino, per la prima volta menziona la tutela dei diritti umani nella costituzione.

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