Intervista a Frankie Chan

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Sul set con Frankie Chan

Per quale motivo ha scelto un argomento così scottante come l’emigrazione clandestina cinese per una serie televisiva?

Frankie Chan: «Io sono di Hong Kong e la popolazione di Hong Kong è parte di quella cinese. Parlando di cinesi, attualmente, si considerano quelli della Cina continentale, di Hong Kong e anche di Taiwan. Ora ad Hong Kong non ci sono casi di emigrazione, e perché si manifestano nel continente? Ogni anno ci sono parecchie persone che emigrano illegalmente verso l’America, Canada, Australia; io ormai sono già vent’anni che faccio film senza interruzione, col ritorno di Hong Kong alla Cina poi, ho fatto un film nel quale traspariva un certo disappunto verso l’emigrazione illegale per la prima volta.
Il film è ambientato nella Shanghai degli anni ’30, parla di due giovani tornati a Shanghai dopo aver studiato in Francia. Successivamente ho scritto un copione insieme a Jacky Chan, ho diretto la produzione e l’edizione dei suoi film.
Negli anni successivi pensavo a che argomento interessante ci fosse ancora, che non avessi già usato, per fare un film. In quel periodo ho visto molte notizie di persone che emigravano illegalmente in America, ma non era ancora accaduta una disgrazia dove fossero morte decine di persone, così decisi di girarci un film.»

– Perché alla fine ha scelto proprio una serie televisiva come mezzo di espressione?

F.C. : «Perché in Cina per vedere una serie televisiva non serve spendere denaro, ogni persona comune può vederla, in qualsiasi provincia. Il cinema è visto dai giovani, poco dalle persone anziane e dai bambini, così il mio messaggio non arriverebbe ad un numero di persone sufficienti per i miei propositi.
La vita degli immigrati cinesi clandestini in America sarebbe un ottimo tema per girarci un film d’azione, ma verrebbe visto da un pubblico ristretto, in questo caso la mia speranza è che sotto forma di serie televisiva il mio messaggio, visto dalla gente comune, cambi le loro idee sull’emigrazione clandestina, che li convinca del fatto che per andare in America ci vogliono abbastanza soldi per entrarci legalmente, ottenere il permesso di soggiorno e quindi tentare un’ onesta carriera, senza farsi sfruttare da brutti personaggi arricchendoli. Per questi motivi ho trasformato il copione di un lungometraggio in una serie televisiva da trenta puntate. »

– Aveva già rinunciato in partenza ai mercati di Hong Kong e Taiwan per Mengduan Tianguo?

F.C.: «Sì, perché il 100% dei produttori di Hong Kong sono interessati esclusivamente al profitto delle loro produzioni, e pur essendo Mengduan Tianguo un’ opera commerciale non credo avrebbe soddisfatto le loro esigenze; a Taiwan inoltre il pubblico avrebbe pensato che questo argomento riguardasse solo la Cina continentale, che a Taiwan non esisitesse questo problema; ma in realtà esisite anche lì, solo non lo vogliono ammettere! Io per un terzo sono cinese continentale, così ho avuto l’impulso di girare Mengduan Tianguo. »

– In che modo pensa che il sogno di una vita in America sia presente nella mentalità comune cinese?

F.C.: «Da svariate decadi, molte persone in Cina, specialmente nelle città costiere, desiderano emigrare in America. Questo non accade solo in Cina, perché gli U.S.A. sono stati costruiti da diverse popolazioni del mondo, così è un fenomeno mondiale che gente di diversi paesi voglia andare negli Stati Uniti. Anche la moneta americana è sinonimo di benessere, in cinese i dollari si chiamano “Beautiful money”!1 lo dice la parola stessa!
Nel pensiero della gente comune l’America è ancora un paese dove si realizzano facilmente i propri sogni, dove arricchirsi, un posto pieno di possibilità per tutti.
Il cinema americano, ad esempio, il modo in cui si è sviluppato ed è arrivato qui in oriente, così sfarzoso, ha riempito gli occhi dei cinesi di sogni fasulli. Si puo’ dire che i film americani abbiano creato un “regno cinematografico”, condizionando gli altri paesi a seguire la loro traccia; anche a Hong Kong il pubblico che segue il cinema vede per lo più film americani. »

– Ha incontrato di persona qualche cinese immigrato illegalmente in America?

F.C. : «Certo, ne ho incontrati non pochi, e alcuni di loro sono anche diventati ricchi, invogliando così altri loro compaesani a tentare di emigrare in America.
Anche questa volta a Seattle ho incontrato vari cinesi, soprattutto provenienti da Canton, che mi hanno trattato in maniera molto amichevole, alcuni di loro erano in America da oltre vent’anni; e alla mia domanda di cosa avessero fatto in questi vent’anni passati a Seattle cosa mi hanno risposto? Che hanno lavorato in ristoranti cinesi! Altri erano anche proprietari di ristoranti o supermercati, ma comunque non sono riusciti a fare veramente affari in America, a far carriera, e tutto questo per mancanza di cultura, per la barriera linguistica: il massimo a cui possono aspirare è lavorare sodo in un ristorante fino ad aver abbastanza denaro per aprirne uno proprio, nulla di più. Oltretutto in questo periodo lo sviluppo e il progresso in Cina sono tali da offrire molte più possibilità di trovare un buon lavoro che in America, ma nella mentalità della gente comune resta comunque il desiderio di andare negli Stati Uniti, regalando tutti i propri averi in patria a delinquenti, per tentare una via costosa e pericolosa. Il fenomeno di emigrazione attuale lo possiamo definire una “fuga cieca” perché non c’è nessuna possibilità di trovar fortuna in un paese straniero senza una cultura di base.
Devo aggiungere che i cinesi hanno un brutto vizio: quello del gioco d’azzardo. La loro speranza è di trovare in America la fortuna come in una sala da gioco di Macao, non passo per passo, cercano soldi facili per mettersi a posto la vita in un colpo solo.
Anche ad Hong Kong esiste l’emigrazione verso l’America, è chiaro, ma gli emigranti da Hong Kong sono per lo più capitalisti che vanno a portare il loro denaro in America, per paura della politica del governo cinese, dopo l’annessione alla R.P.C. del ’97. »

– Come ha realizzato le scene girate a Seattle presenti nelle puntate?

F.C. : «Sono andato da solo a Seattle, dove con un’unica videocamera ho girato l’intera città giorno e notte per sei giorni, filmandone strade, palazzi e panorami. »

– Cosa ha condizionato la sua scelta di ambientare Mengduan Tianguo a Seattle?

F.C. : «Tra i punti caldi dell’immigrazione clandestina in America, Seattle e Long Island a New York e Toronto in Canada, ho scelto Seattle perché a causa del budget insufficiente per trasferire tutta la troupe in America, dovevo per forza girare tutti gli esterni in Cina, e le altre grandi città americane hanno tutte delle caratteristiche ben note anche al pubblico cinese, impossibili quindi da rendere con delle riprese fatte in Cina. Seattle invece ha vari punti in comune con Dalian, a partire dal fatto che sono entrambe città sul mare e hanno un importante porto. Inoltre, Seattle non ha nessun posto o scenario particolare. No, in realtà ne ho trovati due: lo Space Needle2 e un monte in lontananza sempre innevato3!
Così ho potuto girare ance gli esterni a Dalian, senza dover trasferire più di cento persone tra troupe e attori in America, anche perché il mercato delle serie televisive in Cina difficilmente permette di avere un budget sufficiente per girare venti o trenta puntate tutte all’estero. »

– Ha incontrato difficoltà o restrizioni da parte del governo cinese che hanno alterato la sua idea iniziale?

F.C. : «Questa domanda tocca molto da vicino me e Benza. Ho impiegato sette mesi per scrivere un copione per una serie da trenta puntate, dopodiché l’ho consegnato alle autorità preposte alla censura, ma il risultato è stata una secca stroncatura! La risposta è stata che la soluzione migliore era non girare nulla su questo argomento, poiché questo tipo di brutte situazioni riguardanti il popolo cinese, situazioni per cui la Cina potrebbe perdere la faccia, è meglio non renderle pubbliche. A questo hanno aggiunto anche la scusa che addirittura il Ministero degli Affari Esteri si era espresso in maniera negativa.
Io e Luke Benza siamo attori fuori dal mercato cinese. Anche se Hong Kong è già stato riannesso alla Cina, per l’Ufficio Film e Programmi Televisivi4, gli attori di Hong Kong e Macao sono considerati ancora stranieri.
Era già stato così deciso di non realizzare più quest’opera, quando dei prodottori della CCTV hanno giudicato questo un buon argomento, educativo per il popolo cinese: Chen Xunji non si era sbagliato! Quindi mi hanno chiesto se fossi stato d’accordo per una produzione al 100% cinese, escludendo tutti gli attori di Hong Kong.
Inizialmente Benza ed io eravamo tra gli attori principali, con altri due attori di Hong Kong, un uomo e una donna, più Xiang Li: noi cinque insomma.
Dovendo invece usare solo attori della R.P.C. ho chiamato Zhang Fengyi e Su Jin per i ruoli principali. A questo punto sembrava che quest’opera piacesse a quelli della CCTV, ma fosse ostacolata da parte del Ministero degli Esteri.
Questo è il modo di fare classico degli enti governativi cinesi, ma, ora che la nazione si è aperta, era sicuramente la CCTV a porre le condizioni, in quanto per una televisione sono necessari denaro e mercati e un’opera come questa, con un messaggio istruttivo e dal sapore commerciale, volevano assolutamente produrla,
Gli stranieri così potevano essere impiegati solo come comparse, neanche uno come attore principale. Quindi quest’opera è stata prodotta sotto condizioni dettate dalla politica cinese, Sono stato d’accordo di fare queste rinunce per l’educazione del popolo, non me ne importa! »

– Pensa a Mengduan Tianguo come un’opera unica nel suo genere, o ce ne sono state altre simili, girate in passato?

F.C. : «Molto tempo fa è stato girato una serie dal titolo ‘Un Pechinese a New York’, ma non parla di immigrazione clandestina, ma della vita di un pechinese dopo essersi trasferito a New York. É stato girato dalla CCTV, finanziato dal governo, con Jiang Wen come protagonista e descrive solo la vita dei cinesi all’estero.
A quell’epoca ad Hong Kong si sapeva che dopo il 1997 vi sarebbero stati molti emigranti, e su questo argomento è stata realizzata un’opera che mostrava in che modo gli emigranti stessi vivevano all’estero, senza paura di perdere la faccia, ritraendone la vita e le difficoltà.
Ad Hong Kong, nei sette od otto anni precedenti la riannessione, sono stati girati, su questi argomenti, non pochi film. I registi di Hong Kong tuttavia, hanno descritto la vita degli emigranti da un unico punto di vista, parlando dei problemi delle famiglie, dei problemi sentimentali di coppia e dell’infelicità che si crea vivendo all’estero con il conseguente ritorno in patria; tutto ciò senza toccare i veri problemi sociali della gente comune. »

– Cosa differenzia allora la sua opera da quelle precedentemente realizzate?

F.C. : «Di questo argomento così delicato, ho cercato di descriverne tutto il profilo. Sicuramente alcuni registi cinesi avrebbero descritto la partenza degli emigranti, tutte le traversie del viaggio, di come vengono bloccati dalla polizia ed altro, mentre io qui ho descritto la realtà di clandestini già immigrati, le loro condizioni di vita, quanto hanno sofferto prima di immigrare e, una volta arrivati in America, come si sono resi conto che molti cinesi lì per studio, anche se invitati dagli americani a restare a lavorare negli Stati Uniti, rifiutano la loro offerta per tornare in Cina a far carriera. Mi sembra che tutto ciò abbia molto significato.
Ci sono poi dei cinesi che vivono in America da vari decenni, ormai diventati veri e propri americani. Loro, come vedono questo tipo di clandestini? Sebbene vivano in America, nel loro animo c’è ancora dell’amore verso la madrepatria?
Questi sono alcuni dei concetti che vorrei trasmettere. »

– Vi sono nella serie personaggi reali, o ispirati a persone realmente vissute?

F.C. : «Sì. Ho conosciuto vari giovani, ma non erano ballerini, questa volta ho usato la figura di ballerine professioniste immigrate negli U.S.A. e tutta la loro storia, ma quelli che conoscevo realmente, si occupavano di musica. Ritenevano che ad Hong Kong non ci fosse gran possibilità di far carriera e con altri gruppi della Cina, loro amici, sono immigrati illegalmente in America. Una volta arrivati lì, si sono resi conto che gran parte dei gruppi americani erano troppo al di sopra di loro, che anche là non c’erano molte possibilità di far carriera e sono entrati così nel giro della malavita.
Vorrei quindi che i giovani non finissero in simili giri, visto che la maggior parte degli immigranti sono giovani, che non temono i pericoli e pensano di essere sempre nel giusto, cadendo così nelle mani di chi li corrompe. »

– Con che criterio ha operato la scelta degli attori cinesi?

F.C. : «È stato molto difficile, poiché agli inizi di questo progetto, come attori vi eravamo io, altri due attori di Hong Kong, Benza e Xiang Li, ed io scrivevo pensando a noi cinque come personaggi principali. All’improvviso ho dovuto cambiare tutti gli attori, non proprio l’ideale, perché gli attori della R.P.C. non danno quella sensazione di vita vissuta all’estero. L’aspetto dei cinesi della Cina Comunista è molto diverso da quello dei cinesi di Taiwan e Hong Kong, e ancor più di quelli vissuti all’estero. Mentalità e modo di fare sono completamente diversi. Dover usare questi nuovi attori per sostitituire noi attori precedenti, significa per me non poter raggiunger la mia espressività al 100%.
Ho già scelto i migliori attori disponibili in Cina, Su Jin, per esempio. Il suo aspetto è già cambiato moltissimo per interpretare un’ avvocatessa: il suo viso non ha più l’aspetto patinato di quello di una modella e anche il suo sguardo è diventato più serio.
Zhang Fengyi, da parte sua, non ha dovuto cambiare nulla, poiché la sua partecipazione come personaggio principale a film di fama internazionale, gli ha dato modo di avere un aspetto già adatto al ruolo in Mengduan Tianguo.

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