Arrivo del buddhismo in Cina – I-IV secolo d.C.

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Il buddismo indiano arriva in Cina portando un nuovo modo di vedere l’esistenza, il quale porta uno sconvolgimento di quello che è il pensiero cinese dell’epoca, fino ad una completa fusione tra i due nel periodo della Dinastia Tang.

Lo sfaldarsi dell’ordinamento politico si riflette pienamente nella sfera spirituale, la quale crea un grande vuoto nel quale si inserisce perfettamente il buddhismo.

Il buddismo in India ha la sua nascita con il principe ereditario Gautama Sakyamuni (560-480 a.C.), il quale rinuncia a ricchezze e piaceri dopo essere stato illuminato da una rivelazione che tutto è illusione (maya) e dopo quattro incontri, con un vecchio, un malato, un cadavere ed un monco, decide di intraprendere la via della religione e divenire un mendicante. Sotto l’albero del Risveglio (bodhi) raggiunge l’illuminazione e diviene il Risvegliato (Buddha) all’età di trentacinque anni, mentre ad ottanta muore in paranirvana, dopo aver passato una vita volta all’insegnamento e alla predicazione.

Alla base del messaggio buddhista vi sono concetti come il karma e la rinascita.

Il Karma

Le azioni di ogni essere animato (karma), nelle sue esistenze passate, sono importanti per delineare quello che questi diverrà nelle sue vite future.

La concatenazione di vite sotto forme diverse è determinata dal karma, buono o cattivo, formatosi in precedenza.

Ogni atto, fatto (karma) è portatore di conseguenze determinate proprio dal risultato dell’atto, che può aver creato un frutto buono o cattivo. Il karma ha quindi delle precise leggi.

Il processo karmatico è spesso raffigurato con l’immagine dei semi, che sono i risultati naturali delle proprie azioni.

Il desiderio percepito come duhkha deve essere sradicato, poiché determina uno stadio di insoddisfazione e quindi rievoca la condizione dell’essere incatenati alla ruota del samsara, che determina uno stato di continuo errare nel flusso delle esistenze.

La percezione dell’io

Il percepire un io permanente è uno degli errori più gravi che relega ed impedisce di raggiungere l’Assoluto.

Il senso dell’individualità, secondo la teoria del “non io” (anatman), è creato da cinque aggregati (skandha): corpo materiale, sentimenti, percezioni, formazioni mentali, atti di coscienza.

Meta di questo pensiero è estirpare il desiderio per cessare la produzione di karma e terminare il ciclo delle rinascite, uscire dalla ruota del samsara così da raggiungere il nirvana.

Buddha affronta radicalmente le questioni fondamentali, esponendo così una dottrina per la salvezza che appare ai grandi filosofi della Cina del tutto inedita. Sono quattro le Nobili Verità o Sigilli della Legge buddhista, il primo fra loro è “Tutto è duhkha”.

L’insegnamento buddhista vede il percorso per la salvezza composto da otto vie che si differenziano per tre ordini: quello della pratica morale, raggiunto con retta azione, retto mezzo d’esistenza e retto sforzo; quello della disciplina mentale della meditazione o contemplazione, raggiunto con retta attenzione e retta concentrazione; quello della saggezza, raggiunto con retta vista di pensiero e retta parola. Infatti ciò che distinguerà le diverse scuole buddhiste sarà proprio il metodo da seguire per arrivare all’illuminazione. La ferrea disciplina seguita è fondamentale per la pratica spirituale, difatti alcune comunità monastiche rispettano un insieme di rigide regole, tra cui le più comuni sono non violenza, povertà e celibato.

Proprio quest’ultima, è uno dei maggiori ostacoli per una prima entrata del buddhismo nella società cinese strettamente legata alla famiglia e al continuare della propia stirpe. L’avvicinamento al buddhismo dei laici pone attenzione sull’accumulare meriti (karma) recitando i tre gioielli “Io prendo e rifugio nel Buddha, Io prendo e rifugio nel Dharma, Io prendo e rifugio nel Sangha” ed osservando i cinque precetti di non distruggere la vita, non rubare, non commettere adulterio, non mentire ed astenersi dalle bevande inebrianti. Con questa pratica l’uomo può aumentare il numero ridotto di possibilità che ha di raggiungimento del nirvana.

Lo Yoga

Lo yoga descrive le pratiche della disciplina mentale da seguire per evitare che il corpo e lo spirito siano distratti dai desideri, e quindi impediti alla percezione del principio di saggezza (prajna) che determina la contemplazione metodica dei dharma.

Quindi prajna è la capacità, a cui si arriva con la pratica metodica della contemplazione, di percepire la realtà come essa è, quindi constatare che ciò che circonda gli uomini è solo un aggregato di fenomeni impermanenti o dharma. Vedere le cose come sono veramente significa privarle della propria natura (svabhava), nella pura siccità (tathata) che risulta quindi essere pura presenza.

Le cose e la verità sulle cose (dharma) dal momento in cui viene stabilita la loro vera natura vengono identificate con Dharma e quindi con la Legge buddhista.

Diffusione del Mahayana in Cina

Nel 250 a.C. prende strada una nuova branchia che si proclama il Grande Veicolo (Mahayana) e definisce il buddhismo antico Piccolo Veicolo (Hinayana).

Il Mahayana auspica la salvezza, non solo per l’ordine monastico che era il detentore di questo privilegio, ma anche per tutti gli esseri viventi, poiché hanno in sé la natura di Buddha e perciò sono in grado di raggiungere l’illuminazione.

Essere il Buddha implica avere compassione per tutti gli esseri e non entrare nel nirvana fino al momento in cui non vi siano entrati anche tutti gli altri. Ogni testo considerato parola autentica del Buddha è un sutra.

L’arrivo del buddhismo in Cina

Questa corrente di pensiero arriva nel territorio cinese verso il I secolo d.C. e percorre un lungo cammino di secoli prima di essere completamente assorbita in Cina.

Il processo di assimilazione prende piede inoltrandosi in una falla creata dallo smarrimento fisico e morale che si è costituito durante il periodo di decadenza degli Han.

Non essendo colmato dalla filosofia confuciana, la dottrina del karma riesce a farsi consigliera per gli animi che necessitano di un metodo di vita nuovo e riparatore da poter seguire. Luoyang è uno dei primi centri di traduzione, dove monaci della Partia, Scizia, India e Sogdiana organizzano la traduzione e diffusione del pensiero buddhista.

Nel periodo Han , l’attenzione è principalmente accentrata sull’immortalità dell’anima, sul ciclo delle rinascite e sul karma.

L’idea delle reincarnazioni e della mancanza di una identità permanente non è facile da accettare per i cinesi che sentono la necessità di fissare un’anima spirituale ed immortale (shenling) la quale è in grado di trasmigrare nel ciclo delle rinascite ogni qual volta deve lasciare il corpo alla sua morte.

Nella prima fase di approdo, la filosofia buddhista viene applicata nelle controversie che si creano tra III e IV secolo d.C., mentre già nel V e VI secolo d.C. vengono riconosciute le fonti originarie indiane.

L’epoca della Dinastia Tang, di enorme fioritura culturale, invece vede una completa e consapevole assimilazione della dottrina filosofica. Il primo periodo che comprende l’epoca in cui la Cina è divisa in dinastie del Nord e dinastie del Sud, incontra due tipi di buddhismo sul territorio.

Con i Jin orientali il buddhismo è di tipo intellettuale ed è privilegio della classe dei letterati.

Quando il potere imperiale cinese del Nord si trasferisce a Sud con i suoi funzionari, letterati e monaci, il buddhismo che si sviluppa sotto i regni non cinesi è diventato una religione di stato. I monaci fungono da consiglieri politici e vengono apprezzati per i loro poteri occulti. Il buddhismo è di tipo devozionale, interessato alla moralità, alla meditazione e alla pratica religiosa.

Il Sud presenta un buddhismo che eredita discorsi puri, degenerati in edonismo decadente. Lo scetticismo impregnato nel “tutto è transitorio” ha oramai sopraffatto gli intellettuali. Questi due modi di affrontare diversamente le tematiche della dottrina buddhista, si riflettono nei differenti stili di traduzione dei testi, lo stile del Sud tra i due è quello più letterario.

Dal III secolo d.C. fino alla caduta degli Han, i due elementi della filosofia buddhista, concentrazione (dhyana) e saggezza (prajna) destano la massima attenzione. Il pubblico popolare è il principale referente del messaggio in epoca Han, a lui è rivolto l’invito alla meditazione, compassione e all’accumulazione di karma, principalmente donazioni alla comunità dei monaci. In questo periodo le classi popolari fanno partire un fenomeno di ibridazione tra buddhismo e taoismo al punto tale che nel “Sutra sulla conversione dei barbari” (Huahu jing) la figura di Laozi diventa Buddha.

La spiegazione di questa compenetrazione delle due discipline può essere spiegata poiché determinate tecniche di visualizzazione (guan) del Mahayana, hanno ribadito nozioni simili del taoismo e ciò che la concezione dello scritto talismanico sia stata rafforzata dalle formule magiche dei sutra buddhisti.

Zhi Loujiachan, di origine sciita, a Luoyang si dedica alla traduzione della perfezione della saggezza (Prajnaparamita) che inoltra un messaggio che piano piano inizia a radicarsi nel sud della Cina. I letterati del Sud vedono per primi il costituirsi di scuole buddhiste.

Questi impegnati nella discussione sui rapporti fra il fondamento costitutivo (benti) e la sua messa in opera (fayong) avvertono il primo come un non esserci (wu), vacuità buddhista, mentre il secondo come esserci (you), realtà relativa.

Si creano allora due filoni di scuole sotto Wang Bi, quella di chi crede nel wu, sotto Guo Xiang, quella di chi crede nel you. Poiché i traduttori cercano di rendere in maniera diretta e più comprensibile il pensiero buddhista fanno coincidere il senso o le nozioni buddhiste con i concetti cinesi noti o taoisti (geyi).

Così vengono a coincidere termini come bodhi e dao, nirvana e non agire (wuwei).

Shi Dun inserisce nei testi buddhisti il principio ontologico assoluto e trascendente LI opposto agli oggetti ed eventi dell’esperienza empirica.

L’alternanza creatrice dello Yin e dello Yang e la relazione organica fra gli esseri ed il Dao creatore viene sostituita dalla distinzione dei due livelli di realtà ultima e realtà fenomeniche.

La “Nuova raccolta di discorsi mondani” del principe Liu Ying (403-444), testimonia il grande numero di personalità illustri, monaci e letterati adepti del buddhismo alla corte dei Jin orientali. La tradizione confuciana davanti all’avanzata del buddhismo nelle corti inizia a guardare con disapprovo l’intrusione buddhista che sembra aver formato uno stato nello stato senza considerare che il potere imperiale derivi dal Cielo (Tian).

L’affermasi del buddhismo a corte porta nel periodo dei Jin ad un dibattito sulla prosternazione dei monaci davanti all’imperatore e vede la vittoria del gruppo monastico in quanto vince il loro principio di autonomia.

Le dinastie non cinesi del Nord danno la possibilità al buddhismo di metteresi in piena luce e risalto, questa corrente filosofica, anche lei proveniente da fuori, dà a loro la possibilità di creare delle basi spirituali e politicamente legittime al di fuori di quella che è la tradizione della cultura cinese.

I monaci si affiancano così alle figure dei sovrani, i quali ben volentieri accettano consigli e i riti legati al potere occulto, che determinano un forte strumento per convertire il popolo alla fede buddhista.

Sotto il regno dei Liang del Nord cresce Duanhuang con forza e vigore proponendosi come il più grande centro buddhista degli inizi del V secolo.

Mentre nello stesso periodo il monaco Fuxian, di ritorno da un viaggio di pellegrinaggio in India, intraprende la traduzione dei testi buddhisti che contengono le regole della vita monastica.

Questa via monastica è percorsa anche da Dao’an (312-385), il quale a causa delle guerre del Nord, si trasferisce a Hubei e lì diventa un promotore della dottrina buddhista.

Egli traduce i testi buddhisti e scrive dei commenti su Prajna e Dhyana, ai quali applica il geyi, che in seguito rifiuterà per seguire totalmente un buddhismo autentico e puro.

Istituisce il culto di Maitreya, il Buddha venturo, il quale si trova nel cielo Tusita, dove aspetta il momento per discendere sulla terra.

Egli si dirige poi a Chang’an nel Nord, e lì collabora con alcuni monaci del Kashmir alla traduzione del Canone della scuola antica del Sarvastiva da. Dao’an riesce a fondere la cultura cinese con quella buddhista e allo stesso tempo contribuisce alla creazione di un legame tra il buddhismo del Nord e quello del Sud.

Centinaia di discepoli hanno seguito il cammino tracciato da Dao’an, ma certamente il più conosciuto è Huiyuan (344-416) che arriva alla rivelazione dopo l’ascolto del sutra della Prajna.

Insegna le scritture buddhiste e dopo il suo trasferimento sul monte Lu, dal quale non fa più ritorno, e si distingue come un individuo puro dalla forte disciplina morale. Istituisce il culto al Buddha Amitabha, il quale regna sulla Terra pura.

Uno dei suoi discepoli, Daosheng (360-434), che lo raggiunge sul monte Lu e sotto San ghadeva, anch’egli sul monte, intraprende lo studio dei testi della scuola Sarvastivadin.

Egli mantiene il legame tra Nord e Sud, si dirige nelle città di entrambe le parti per tradurre testi. Il suo modo di pensare è tipicamente cinese, poiché opera nel tentativo di garantire l’universalità della salvezza del messaggio buddhista e quindi per questo motivo focalizza la sua attenzione sul Sutra del Nirvana, poiché in questo è esplicitata la possibilità di possedere la buddhità per tutti gli esseri.

La buddhità arriva grazie ad un’illuminazione immediata e completa. Daosheng apre così il nuovo dibattito che verte sulla questione se effettivamente la buddhità sia immediata o abbia un percorso graduale.

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