Crisi della creatività in Cina

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Per circa un ventennio, ovvero da circa metà degli anni ottanta fino ai primi anni del nuovo millennio, la Cina ha rappresentato uno dei bacini creativi più interessanti e stimolanti in tutto il mondo.

Ma da qualche anno a questa parte, la creatività cinese sembra aver risentito di una certa mancanza di ispirazione. Che cosa è accaduto?

Nei principali festival cinematografici di tutto il mondo, le pellicole cinesi erano le assolute dominatrici. Per molti anni Zhang Yimou e Chen Kaige prima, Jia Zhangke, Wang Xiaoshuai e Zhang Yang poi, hanno dominato le scene insieme a numerosi altri registi cinesi. La quinta e la sesta generazione di cineasti cinesi, sebbene interpretassero la realtà in maniera e con attenzioni profondamente differenti, riuscivano ad imporsi nella scena mondiale cinematografica.

Dopo più di 10 anni dall’avvento della sesta generazione che con i suoi interpreti ha saputo raccontare la modernizzazione forzata della Cina e il disorientamento dei suoi abitanti più sensibili, ci si sarebbe aspettati l’arrivo della settima generazione. Ma che fine ha fatto? I registi indipendenti sono sempre quelli, e alcuni di questi non fanno più film da molti anni. Jia Hongsheng, il volto più carismatico del cinema giovane cinese, si è suicidato a inizio mese. Cosa è rimasto? Poco, si direbbe.

Le uniche pellicole cinesi che circolano di questi tempi sono dei trionfi del soft power cinese, come giustamente notava Alessandro De Toni a proposito di Go Lala Go. Ecco che i tormenti degli artisti sono stati rimpiazzati in definitiva da lustrini e lucette colorate. Lo stesso è accaduto ad un’altra piazza artistica di primo piano, quella degli artisti contemporanei cinesi, che salvo poche eccezioni, sembrano essersi svuotati della carica emotiva che li aveva spinti alla ribalta internazionale.

La Factory 798, per certi versi rappresenta una sorta di mausoleo o tributo estremo a questa scena. La sua fondazione è più meno coincisa con l’inizio della decadenza dell’arte cinese contemporanea, che è sfiorita nel giro di pochi anni. Discorso analogo può essere fatto per la scena musicale di Beijing: i punk della fine anni ’80 e degli anni ’90 che affrontavano spavaldamente l’autorità di Pechino irridendo i funzionari di partito, sono ancora lì, ma privi della carica anarchica che li aveva posti all’attenzione mondiale.

Specchio di questa crisi lo può essere anche un sito come NeoCha, nelle volontà dei suoi creatori vetrina eccellente per la creatività made in China, ma alla fin fine piuttosto specchio di una certa mancanza d’ispirazione.

Han Han, il più popolare blogger cinese, aveva lanciato l’allarme qualche mese fa: la cultura contemporanea cinese è in crisi profonda. Forse anche per limitare i danni da poco ha dato vita ad un nuovo magazine, che ha già registrato un boom di vendite.

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