Recensione di ‘Sette Anni in Tibet’

  1. Casa
  2. /
  3. Blog
  4. /
  5. Cinema Cinese
  6. /
  7. La Cina vista dall'Occidente
  8. /
  9. Recensione di ‘Sette Anni...

Tratto dal libro-diario dello stesso Heinrich Harrer, questa avventura ai confini del mondo narra una storia vera epica ed allo stesso tempo personale.

Sette Anni in Tibet – Seven Years in Tibet di Jean Jacque Annaud – 1998

Durata:
128
Origine:
Usa
Produzione:
Mandalay Entertainment
Sceneggiatura:
Becky Johston
Fotografia:
Robert Fraisse
Interpreti:
Brad Pitt, David Thewlis, Mako, B.D.Wong, Jamyang Jamtsho Wangchuk, Lhakpa Tsamchoe
Musica:
John Williams

Tratto dal libro-diario dello stesso Heinrich Harrer, questa avventura ai confini del mondo narra una storia vera epica ed allo stesso tempo personale. E’ il 1939 e il mondo è sull’orlo della guerra con la Germania nazista. L’arrogante e presuntuoso alpinista austriaco Heinrich Harrer (Brad Pitt), tessera nazista, organizza una spedizione per scalare una delle vette più impervie dell’Himalaya, il Nanga Parbat.

Sopravvissuti ad una tempesta di neve, Harrer ed i suoi compagni di scalata vengono fatti prigionieri dai soldati inglesi e rinchiusi in un campo di prigionia in India. Nel frattempo, infatti, in Europa è scoppiata la guerra, e loro, di nazionalità austriaca, sono considerati nemici della Gran Bretagna. Dopo vari tentativi Harrer riesce a fuggire insieme al compagno Peter Aufschnaiter (David Thewlis), con il quale raggiunge il Tibet da dove spera di aprirsi una via di fuga. Qui, nella Città Proibita di Lhasa, scopre un mondo affascinante e stringe amicizia con un bambino che cambierà la sua vita, il piccolo Dalai Lama…


Un’opera ambiziosa, questa di Annaud, (che si conferma a proprio agio con grandi budget), in cui ha voluto coinvolgere la star americana in un’avventura che si trasformerà in presa di coscienza per un uomo che sosteneva le idee naziste. Come sempre, però, nel regista francese lo spettacolo prende il sopravvento, e lo splendido contesto ambientale (la solare fotografia è di Robert Fraisse) fatica a conciliarsi con la visione occidentale del regista, per quanto le intenzioni sincere (come la giusta accusa politica) siano meritevoli. Qua e là, comunque, il film riesce ad infondere il giusto piglio spirituale.

Michele H Pastrello

Previous

Il risveglio di un monaco

Shanghai di Po-Chih Leong

Next

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.