Hong Kong il furore della 7a Arte

Il documentario ricostruisce il percorso che ha reso noto il cinema di Hong Kong intervistando alcuni cineasti ed attori molto noti anche in occidente, i quali con la loro arte sono riusciti ad influenzare anche il cinema di Hollywood.

HONG KONG IL FURORE DELLA 7a ARTE – HONG KONG THE FURY OF THE 7th ART di REBECCA BOULANGER (2000)

Durata: 50’
Origine: Canada
Produzione: Canal + International, Parigi
Coordinatrice produzione: Juliene Fonfrede

L’opera parte subito considerando la posizione di questo cinema; nella classifica cinematografica mondiale di produzioni, si trova infatti al terzo posto dopo India e U.S.A. ed è il secondo più grande esportatore di pellicole.

Uno dei suoi motori principali è il filone delle arti marziali, che porta alla ribalta il movimento continuo e la spiritualità.

Uno degli esponenti storici principali è Bruce Lee: il rappresentante numero uno e simbolo di questa cultura popolare.

Nel suo corpo viene riconosciuta l’identità cinese che trova un equilibrio perfetto tra ying e yang.

Piace perché è il suo corpo che parla e descrive spettacolarità.

La sua figura come fenomeno è così interessante che viene studiata nelle università locali.

Nel corso degli anni invece come figure comiche si sono distinti Samuel Mau e Jacky Chan.

Quest’ultimo, che ha studiato alla scuola drammatica di teatro di Pechino, mette nel genere delle arti marziali oltre alla spettacolarità incalzante, ironia.

Il secondo genere più amato nell’ex colonia Britannica sono i polizieschi.

Uno dei più apprezzati e stimati curatori di acrobazie che lavora per entrambi i generi, vincitore da anni per la migliore coreografia d’azione, è Bruce Law.

L’artista racconta quanto i ritmi di ripresa siano serrati e quanti siano i rischi nei quali si imbattono gli attori sul set.

In proposito Jacky Chan testimonia i diversi modi, di Hong Kong e di Hollywood, di gestire le scene più pericolose ed acrobatiche durante la lavorazione di un film d’azione.

La prima risparmia soldi e tempo, senza l’uso di stunt men e quindi con maggiori rischi per i suoi protagonisti; la seconda pianifica tutto per garantire al massimo la sicurezza delle sue stars, investe quindi denaro in controfigure che sostituiscano gli attori, che nel frattempo sorseggiano cocktail in limousine o nei lussuosi camerini.

Uno dei motivi principali che ha fatto sì che i film di arti marziali ed i polizieschi riscuotessero un così grande successo ad Hong Kong va ricercato nella relativa poca diffusione della lingua cantonese; è stato quindi necessario trovare una forma di comunicazione alternativa a quella della lingua parlata: quella del corpo.

Il linguaggio, che deve risultare universalmente comprensibile, richiede ai suoi interpreti mesi interi di duro allenamento per girare scene che durano anche pochi secondi.

Questo ricercato lavoro di produzione ha una durata di proiezione nelle sale pari ad una settimana, ed ogni abitante dell’isola si reca in media al cinema due volte al mese.

Sono numerosi gli attori noti e venerati nel panorama cinematografico di Hong Kong.

Dal 1980 le grandi stelle locali si riuniscono per la cerimonia degli Oscar dell’ex colonia Britannica.

Tra queste, erede spirituale di Bruce Lee per gli hongkonghesi, è Steven Chow, inventore della parodia.

Questi, fin da bambino, si è sempre ispirato al grande attore.

Egli spiega di avere nella vita un comportamento rilassato e per questo motivo predilige trasportare tutta l’arte imparata da Bruce nel genere della commedia poiché sente che questa lo rappresenta maggiormente.

Michelle Yeoh, che possiede anche una sua personale casa di produzione, come altri attori, è molto apprezzata per il fatto di non fare uso di controfigure.

Tra i molti registi Jonnie To, che è stato fonte d’ispirazione per numerosi registi americani, ritiene che gli spettatori che si recano in sala non amino il cinema intellettuale ed è questo il motivo per cui la cultura cinematografica è limitata.

Egli non segue l’esempio di altri suoi colleghi o attori che si sono recati negli U.S.A. a girare; ritiene che l’unico motivo che lo spingerebbe a lasciare Hong Kong sarebbe una proposta americana che gli permetesse di lavorare senza alcun tipo di restrizione, come accade a Jacky Chan.

La cinematografia di Hong Kong ha avuto un preoccupante momento di crisi nel 1997, quando la produzione è passata dalla proiezione nelle sale di più di 100 pellicole all’anno a meno di 50.

Ciò è accaduto poiché la popolazione era interessata maggiormente alle produzioni Hollywoodiane.

Questo periodo di discesa è coinciso con il passagio di Hong Kong alla Cina e da parte del governo Britannico non vi sono stati aiuti per riportare il cinema dell’isola al suo noto splendore.

Un altro fattore che ha fortemente danneggiato le produzione è stato anche l’avvento dei film pirata in DVD, ripresi direttamente dagli schermi delle sale cinematografiche. Questi si sono rivelati più accattivanti per il pubblico poiché venduti allo stesso costo del biglietto del cinema: 7 dollari Hongkonghesi.

Inoltre spesso vengono confusi con quelli legali poiché, mescolati tra essi, presentano una grafica identica.

Per protestare contro la pirateria, tutte le star ed i registi locali si sono recati per le strade muniti di megafoni e striscioni ed hanno incitato la popolazione a scegliere l’acquisto di DVD originali.

Questa protesta, mossa dai diretti interessati del settore, ha spinto le autorità a dare luogo alla nascita di una squadra speciale anti pirateria per il controllo nei negozi, nelle strade e nei sotto passaggi delle metropolitane.

Da quando questa Task Force, i veri vigilantes della città, è entrata in azione sono stati sequestrati 17 milioni di DVD contraffatti e 3000 persone legate a questo mercato sono state arrestate.

China Star, la casa di produzione che ha sotto contratto Johnny To produce più di 30 film all’anno.

Il suo presidente, che è anche un regista, afferma di essere molto interessato al mercato di Pechino, poiché vi sono 1 miliardo di potenziali spettatori in più, ciò potrebbe consentire un recupero degli investimenti persi a causa della pirateria.

Anche il settore della ricostruzione degli scenari per i set, monopolizzato dalla Show Brother e dalla Golden, da quando l’ex colonia britannica è passata alla Cina, guarda con interesse la madre patria.

Registi dell’isola come Tsui Hark ora hanno la possibilità di avere enormi scenari naturali che rispecchiano maggiormente le esigenze delle loro storie.

Tsui Hark, che è considerato lo Spielberg dell’Asia per le sue grandi produzioni ed anche poiché le sue pellicole si distaccano dalla realtà, in Cina non ha trovato problemi di censura per le sue storie, ma ha destato sempre curiosità e stupore negli anziani delle località più remote dove si è recato a girare i suoi film ricchissimi di effetti speciali.

Egli, al fine di ottenere ottimi risultati, ha arruolato nelle sue produzioni i migliori operatori del settore, come Yuen Yu Ming, molto noto in America per aver collaborato nei film della trilogia “Matrix”.

Il secondo genere più visto nell’isola è la commedia romantica, che riscuote un notevole successo anche grazie agli interpreti simpatici e brillanti, come l’ex miss Hong Kong Maggie Cheung protagonista anche di numerosi film d’azione e d’autore.

L’attrice ha lavorato molto all’estero ed anche per ciò, in patria, è divenuta per i giovani e per le nuove attrici un modello a cui ispirarsi. L’attrice, come molte star dell’ex colonia Britannica, è completamente autodidatta, poiché non vi sono scuole di recitazione nell’isola. Chi vuole intraprendere quest’arte impara direttamente sul set.

La nuova generazione di cineasti, invece predilige incentrare il contenuto delle sue opere sulla metropoli e sulle ansie che questa provoca, ma anche se i lavori sono di ottima qualità, questi prodotti in genere non riescono a riscuotere il consenso del grande pubblico. Jacob Chan, regista e produttore di “The kid” spiega quanto sia diventato importante per i nuovi autori cogliere la vera essenza della natura umana.

“Hong Kong International Film Festival” dà loro la possibilità di mettersi sotto i riflettori.

L’evento, che ha portato negli ultimi anno alla ribalta il cinema indipendente locale, sembra offrire finalmente una vetrina a quanti autori siano interessati a fare film di qualità.

Uno dei maggiori problemi, in cui si imbatte il cinema indipendente hongkonghese, è quello economico.

Le cifre a disposizione di questi autori sono irrisorie rispetto alle possibili storie che questi professionisti vorrebbero affrontare. Sono molto pochi i registi che riescono a fare i film che vogliono.

Il più delle volte, per abbassare i costi di produzione si affidano ad attori non professionisti e operano per lo più con pochi collaboratori.

E’ il caso dell’ormai noto Fruit Chan, il quale ha iniziato a girare le sue prime storie con l’aiuto finanziario di amici e parenti, si è servito degli scariti di pellicole delle grandi produzioni ed ha collaborato con attori presi dalla strada.

Nonostante sia divenuta una figura nota nel panorama cinematografico internazionale e quindi ora i suoi film siano coprodotti anche da case europee, gli incassi delle sue opere sono modesti, poiché per gli abitanti dell’isola, film come i suoi sono ancora strani.

Alex Lai, considerato dalla critica seguace di Wong Karwai, poiché la città diventa assoluta protagonista delle sue pellicole, è uno dei rappresentanti della nuovissima cinematografia di Hong Kong con “Blue August”.

Come lui Stenley Quang, vincitore a Berlino, realizza opere personali e nonostante, nel suo caso, questi lavori con attori noti non viene considerato dai mercati.

Questi cineasti devono continuamente cercare e chiedere denaro in giro per continuare a fare il loro lavoro, poiché ad Hong Kong è il cinema commerciale ad avere l’intera torta.

Fortunatamente negli ultimi anni sta prendendo piede considerare l’autore e non il genere. Questo dà luogo così allo sviluppo di pellicole intimiste e sicuramente porta una nuova rinascita del cinema di Hong Kong.

Dominique Musorrafiti

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