Una tipica festa cinese tra le pitture del VII secolo d.C. di Afrasyab (Samarcanda)

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In Cina, il quinto giorno del quinto mese lunare si celebra una festa annuale molto antica denominata Duanwujie o “Festa delle Barche–Drago”.

Matteo Compareti (Università di Napoli “L‘Orientale”)
Simone Cristoforetti (Università di Roma “La Sapienza”)
Copyright © Matteo Compareti, Simone Cristoforetti, 29 luglio 2004.

Tuttora, durante la ricorrenza si svolgono competizioni tra gli equipaggi composti da parecchi rematori (in origine cinquanta) su speciali imbarcazioni dalla poppa a foggia di creatura mostruosa (donde il nome di “Barche–Drago”).

La stessa festa prevede anche il tradizionale lancio (non necessariamente dalle barche) nei fiumi e nei laghi di ravioli particolari, i cosiddetti zongzi, appositamente cucinati in precedenza.

La tradizione vuole che tale festività popolare tragga origine dal suicidio di un personaggio storico, il poeta e ministro attivo nello stato di Chu dell’epoca dei Regni Combattenti (453–221 a.C.) Qu Yuan (340–278 a.C.).

Egli, calunniato dagli avversari politici e screditato di fronte agli occhi del proprio sovrano, venne allontanato da ogni carica rilevante di corte e per questo motivo si suicidò gettandosi nel fiume Miluo (provincia del Hunan) legato a un pesante masso.

Le famiglie di pescatori e la gente del luogo, resisi conto dell’accaduto, si tuffarono invano nell’acqua alla ricerca del corpo di Qu Yuan, che non fu mai più ritrovato, e cominciarono infine a gettare cibo ai pesci e agli esseri acquatici allo scopo di evitare che questi si nutrissero dei resti dell’amato poeta.

Annualmente, la festa, che richiama tale episodio in maniera molto pittoresca, viene a cadere in un intervallo che oscilla tra la fine della primavera e gli inizi dell’estate.

È probabile infatti che inizialmente la festività fosse connessa alle celebrazioni solstiziali estive della fenomenologia universale.

Essa costituirebbe così la sintesi ultima di più feste antiche, tra i cui rituali si annovera anche il sacrificio umano, un’evenienza tutt’altro che rara nella Cina arcaica.

Probabilmente la parte dedicata alle regate si concludeva con l’immolazione degli equipaggi risultati perdenti, nell’intento, forse, di ricreare una battaglia navale.

Qu Yuan non è l’unico suicida a cui è collegata la festa.

Con l’andar del tempo, però, il suo suicidio assunse valore paradigmatico in un’ottica che vede nell’Eroe il virtuoso cittadino che si sacrifica per il bene comune, e il suo caso si è indissolubilmente fuso con la ricorrenza (Bodde, 1975: 314).

Si hanno attestazioni della celebrazione del Duanwujie successivamente alla caduta degli Han (220 d.C.).

L’associazione della festa a Qu Yuan è attestata solo a partire dal II secolo d.C., ma già in presenza della rituale nutrizione dei pesci.

L’offerta, inizialmente diretta al suicida diventato oggetto di culto, sarebbe poi stata reinterpretata in chiave eziologica come un diversivo per allontanare i pesci dal corpo del poeta.

Poggerebbe su queste basi la leggenda secondo cui le barche–drago erano state mandate alla ricerca dell’annegato (Bodde, 1975: 315).

Le pitture di Afrasyab

All‘epoca della dinastia tang (618–906), la festa di Duanwujie era conosciuta e diffusa tra tutti gli strati della popolazione.

Durante l’epoca tang la Cina visse momenti di eccezionale splendore e di apertura verso l’esterno difficilmente ripetutisi nella millenaria storia del Celeste Impero.

Ciò rappresentava una tra le conseguenze di una politica molto aggressiva attuata nei confronti degli stati vicini da parte dei primi sovrani tang che aveva portato i confini dell’impero ben oltre quelli, comunque ragguardevoli, dell’odierna Cina, giungendo a inglobare ampie zone del Sud–Est Asiatico, della Mongolia e dell’Asia centrale.

I rapporti con quest’ultima regione si presentavano particolarmente intensi, in special modo con la Sogdiana.

I mercanti sogdiani già da tempo – almeno dall’epoca delle Dinastie del Nord e del Sud, 386–581 – occupavano posizioni preminenti a corte e spesso fondavano la loro ricchezza sullo smercio degli articoli d’importazione, ricercatissimi tra le classi agiate cinesi per la loro rarità o il loro esotismo (Rong, 2000).

Recentemente, nel corso degli scavi archeologici condotti nella zona di Chang’an, l’antica capitale dei Wei Occidentali (535–557) e dei Tang, le tombe appartenute a potenti stranieri di origine iranica hanno cominciato a restituire interessantissimi corredi funerari (I monumenti funerari appartenuti a potenti stranieri di origine iranica recentemente scoperti in Cina) .

La documentazione scientifica degli scavi ha permesso, tra il resto, di confermare l’attribuzione di altri monumenti funerari noti da tempo – ma provenienti dal mercato antiquario – a ricchi sogdiani attivi nella Cina del VI secolo (Marshak, 2001).

La Sogdiana riconobbe la sottomissione (più che altro nominale) ai Tang verso la metà del VII secolo, successivamente alla conquista cinese del regno dei Turchi Occidentali avvenuta verso il 658–659 (Chavannes, 1903: 267–268; Compareti, 2002: 376–377).

Lo stesso sovrano Varghuman fu proclamato governatore della Sogdiana dall‘imperatore Gao Zong (649–683) (Kageyama, 2002: n. 1).

L‘influenza della cultura cinese è ampiamente attestata nei principali siti archeologici della Sogdiana, e in particolare a Afrasyab, nucleo dell‘antica Samarcanda di epoca pre–islamica.

Qui, l‘edificio scoperto negli anni Sessanta del secolo scorso e universalmente noto come “Sala degli Ambasciatori” non solo ci ha restituito rappresentazioni di quella che doveva essere la vita di corte degli aristocratici cinesi ma ci ha anche rivelato l‘intima conoscenza da parte degli artisti sogdiani di alcune risoluzioni tecniche in voga tra i pittori cinesi dell’epoca tang (Kageyama, 2003).

fig. 1 - Inviati dal Celeste Impero compaiono tra gli ambasciatori che popolano le pitture della parete ovest di Afrasyab
fig. 1 – Inviati dal Celeste Impero compaiono tra gli ambasciatori che popolano le pitture della parete ovest di Afrasyab

Inviati dal Celeste Impero compaiono tra gli ambasciatori che popolano le pitture della parete ovest di Afrasyab (fig. 1), mentre la parete nord è interamente dedicata a una scena cortese della Cina tang, a cui prende parte lo stesso imperatore (probabilmente Gao Zong), raffigurato di dimensioni maggiori e intento a cacciare animali feroci (fig. 2).

La scena è divisa in due parti distinte, separate dalla linea di un corso d‘acqua che sembra sbarrare il passo al cavaliere in alto a sinistra.

La raffigurazione acquatica ritrae personaggi sia maschili sia femminili. Anzi, la figura principale di questa porzione di pittura è proprio la dama, di dimensioni maggiori, sulla barca dalla poppa a protome di drago, all’estrema sinistra dell’intera composizione.

Evidentemente si tratta di una nobile di altissimo lignaggio (forse dell’imperatrice stessa) posta sul lato sinistro della scena in modo da controbilanciare le imprese venatorie –forse più consone a un sovrano di sesso maschile – raffigurate nella parte opposta (1).

fig. 2 - Scena cortese della Cina tang, a cui prende parte lo stesso imperatore (probabilmente Gao Zong)
fig. 2 – Scena cortese della Cina tang, a cui prende parte lo stesso imperatore (probabilmente Gao Zong)

A lungo si è creduto di poter riconoscere nella scena acquatica (così come in quella di caccia) un momento qualunque della vita spensierata condotta a corte dalle dame aristocratiche cinesi, allietate nelle loro uscite in barca da vari servitori, tra cui anche due musici.

Tuttavia, a un’attenta analisi di ogni singolo elemento compositivo, la scena acquatica sembra rispecchiare un episodio preciso del calendario cinese, forse riconoscibile proprio nella celebrazione della festività di Duanwujie.

Una tale ipotesi trova maggiore sostegno se, oltre ai precisi elementi formali richiamanti il Duanwujie, si prende in considerazione anche il denominatore comune delle pitture, meglio conservate, raffigurate sulle altre due pareti della Sala degli Ambasciatori di Afrasyab: quella ovest (fig. 1) e quella sud (fig. 3).

In questo caso gli studiosi sono pressoché tutti concordi nel riconoscere sulla parete ovest la raffigurazione della celebrazione del nuovo anno in presenza di Varghuman, mentre la parete sud raffigura l‘uscita dal palazzo del sovrano sogdiano in direzione di un tempio consacrato agli antenati regali. L‘identificazione della prima festività non comporta alcun problema, in quanto numerose fonti attestano che i sogdiani celebravano il Nawruz, il Capodanno iranico (Silvi Antonini, 1989: 118; Marshak, 1994: 14; Grenet, 2003: 124–125).

Durante il regno di Gao Zong, il Nawruz yazdgardi andò arretrando quadriennalmente a partire da un iniziale 12 giugno nel 649 fino a giungere al 4 giugno nel 683.

Per avere le date di un Capodanno secondo la variante sogdiana del calendario iranico si devono aggiungere cinque giorni, ottenendo così un arretramento dal 17 al 9 giugno nel periodo indicato (Cristoforetti, 2000: 34, 37, 149).

La festa cadeva in giugno, vale a dire in coincidenza o in prossimità con il solstizio estivo, che in quell’epoca cadeva nei giorni compresi tra il 18 e il 20 giugno (giuliano).

Un’unica fonte cinese ha consentito a Boris Marshak di identificare il rituale dell’omaggio agli antenati celebrato dal sovrano del regno di Chach con le scene dipinte sulla parete sud della Sala degli Ambasciatori (Marshak, 1994: 14–15) (2), e gli omaggi funerari, nella tradizione iranica, sono in qualche modo collegati con i rituali del Nawruz (più precisamente del Farwardigan che questo precede).

fig. 3 - Uscita dal palazzo del sovrano in direzione di un tempio consacrato agli antenati regali
fig. 3 – Uscita dal palazzo del sovrano in direzione di un tempio consacrato agli antenati regali

Se si torna ora alla parete nord, osservando attentamente l‘atteggiamento della dama di dimensioni maggiori rispetto agli altri personaggi in barca con lei, si nota che la mano sinistra è tenuta aperta come se avesse appena lasciato cadere qualcosa nell’acqua (fig. 2).

Tra i flutti si riconoscono vari animali acquatici tra cui un essere fantastico alato con la parte inferiore del corpo anguiforme.

Tralasciando gli uccelli (3), i rettili e gli esseri fantastici, i pesci sotto l’imbarcazione sono raffigurati in maniera molto realistica mentre sono intenti a contendersi un boccone di cibo.

In alto a destra rispetto all’imbarcazione delle dame, altri due pesci sono ritratti nello stesso atteggiamento.

La seconda imbarcazione spostata verso la riva presenta tre soli occupanti maschili e un quarto raffigurato nell’atto di salire a bordo.

Più sotto, altri due uomini svestiti e con i capelli legati si immergono nell’acqua: uno sembra davvero setacciare il fondo con l’aiuto di un bastone; il secondo, invece, spinge due cavalli (dei quali affiora solo la parte superiore) in maniera piuttosto brusca forse verso l’imbarcazione delle dame.

La barca dei personaggi maschili non presenta la protome di drago come quella occupata dalle dame e quindi sembrerebbe corretto interpretarla come un’imbarcazione per i servitori del seguito, forse impiegati solo per scortare la signora di dimensioni maggiori e per setacciare il fondo del fiume.

I due personaggi svestiti non presentano grosse difficoltà interpretative all’interno di questo quadro: si tratta evidentemente di altri servitori impegnati a setacciare il fondo del corso d’acqua, anche se, al momento attuale, non è dato sapere se l’impiego dei cavalli fosse contemplato durante tale fase della celebrazione del Duanwujie, o se si tratti di un riflesso di mitologhemi iranici in chiave di rinascita legati alla figura dell’Eroe ctonio (sub–acqueo), nella fattispecie giustappunto Afrasyab (Cristoforetti, 2002: 267 n. 245, 267–272, 298–299)(4).

Se l‘interpretazione delle pitture della parete nord di Afrasyab proposta in questa sede dovesse risultare corretta, allora ci sarebbero elementi in più per lo studio della festività anche nella Cina vera e propria con l’aggiunta di tasselli importanti per la ricostruzione di tutte le sue fasi.

Infatti, si potrebbe essere indotti a pensare (come suggerisce E. Kageyama per la scena della parete ovest), che i Sogdiani riproducessero meccanicamente alcune risoluzioni tipiche della pittura tang senza le quali le opere non potevano considerarsi “complete”.

Si potrebbe quindi ritenere che dovessero esistere raffigurazioni della festa di Duanwujie di epoca tang anche se non sono note rappresentazioni tanto antiche in Cina (5).

Lo stesso discorso vale per la caccia che si svolge nella porzione destra della pittura: i sogdiani potrebbero aver semplicemente ripreso un’altra fase venatoria della festa del Duanwujie oggi dimenticata dalla tradizione oppure potrebbero avere optato per una raffigurazione “più marziale” del loro principale alleato, lasciando alle sole donne il rito civile di nutrire i pesci.

Sarà interessante notare come i cacciatori siano ritratti secondo moduli propri dell’arte iranica in generale e, nello specifico, di quella sasanide, vale a dire lanciati al galoppo volante e, nel caso del personaggio interpretato come l’imperatore cinese, nell’atto di trafiggere un felino raffigurato puntualmente già morto sotto gli zoccoli del cavallo, sebbene di dimensioni leggermente inferiori (De Francovich, 1984: 89–97).

Non è stata proposta una spiegazione convincente per i personaggi appiedati nella scena di caccia.

In realtà, l’uomo intento a stringere una cinghia intorno a un bagaglio che tiene fermo con un piede potrebbe essere ritratto nell’atto di impacchettare qualcosa che successivamente dovrà essere trasportato a bordo di una delle imbarcazioni per impedire che si bagni: forse proprio il cibo per i pesci o altri generi necessari per officiare il rito, lasciati a terra per mancanza di spazio sulla barca.

Una sua imminente immersione è indicata dalle gambe già nude fin sopra il ginocchio, esattamente come il personaggio col bastone, che ha già un piede in acqua.

Vicino al servitore che si dedica all’imballaggio se ne può notare un altro (non riportato nelle ricostruzione della fig. 2), raffigurato nell’atto di levarsi una calzatura: un chiaro riferimento al fatto che anch’egli dovrà entrare in acqua (fig. 4).

Una tipica festa cinese tra le pitture del VII secolo d.C. di Afrasyab (Samarcanda)
fig 4

Dati calendariali

A dar consistenza alla suesposta ipotesi interpretativa del ciclo di pitture della cosiddetta Sala degli Ambasciatori di Afrasyab, oltre alla coerenza interna degli elementi rappresentati, concorrono alcuni dati calendariali.

Tenendo presente l‘ipotesi più accreditata che vede nella scena rappresentata sulla parete ovest l‘omaggio dei popoli vassalli al re locale in occasione della festa iranica per eccellenza, il Nawruz, e l‘autorevole interpretazione delle pitture della parte sud offertaci da B. Marshak come processione regale verso il tempio degli antenati – probabile riflesso di celebrazioni in onore dei defunti – è lecito pensare che l‘intero ciclo pittorico di Afrasyab sia volto alla rappresentazione di momenti festivi appartenenti a differenti tradizioni considerati in qualche modo collegati tra loro.

Si è parlato di Nawruz, e per individuare il momento in cui cadeva quella festa all‘epoca della probabile messa in opera delle pitture, cioè nella seconda metà del VII secolo – e più precisamente dopo la caduta dell’impero dei Turchi Occidentali nell’orbita dei Tang (cioè dopo il 658–659), quando l’influsso cinese in Sogdiana si rafforza notevolmente – vanno tenuti presenti alcuni punti.

Come è ben noto e come già accennato, nel corso del VII secolo, il Nawruz passò da posizioni leggermente successive al solstizio estivo a posizioni di poco antecedenti quel momento calendariale.

Ciò è testimoniato da una tendenza rintracciabile nelle fonti della prima epoca islamica a considerare il principio dell‘estate come l‘inizio dell‘anno fiscale (iftitah al–kharaj), in accordo con la tradizione sasanide che vedeva appunto nel Nawruz un indispensabile riferimento in materia fiscale.

Per calcolare la data del Nawruz in Sogdiana è necessario però considerare la discrepanza di cinque giorni – illustrataci da al–Biruni (Athar al–Baqiya: 233–234) – tra la forma “interna” (diffusa nell‘Altopiano iranico) e quella “periferica” (diffusa in Sogdiana, Corasmia, Armenia) del calendario iranico.

Tale discrepanza è da attribuirsi a interventi sul calendario la cui ricostruzione fa ancora discutere gli studiosi.

Essa fa sì che il Nawruz sogdiano cada in corrispondenza del giorno 6 del primo mese (Farwardin) del calendario “interno”.

Nel 658 (27 Yazdgardi), il Nawruz del calendario interno cadeva il 10 giugno, e così avvenne anche l‘anno successivo.

Dopodiché, a causa dell‘arretramento della data del Nawruz rispetto alla datazione giuliana dovuta alla perdita di un giorno ogni quattro anni per via della mancanza nel calendario iranico di un meccanismo intercalare simile a quello in uso per il calendario giuliano, il Nawruz cadde il 9 giugno nel quadriennio successivo (660–663), e così via.

In base a ciò, si ebbe un Nawruz sogdiano il 15 giugno per il 658 e il 659, e il 14 giugno per il quadriennio successivo.

Queste date sono prossime al momento solstiziale estivo (il 16 giugno giuliano, corrispondente a un 19 giugno in termini gregoriani).

Sulle parete ovest della Sala degli Ambasciatori di Afrasyab è tratteggiato l‘omaggio di prammatica dei vassalli al re (tradizione ampiamente attestata nel mondo iranico non solo sasanide) in occasione della festa solstiziale estiva del Nawruz.

Che poi, nella tradizione reinventata (probabilmente nell‘XI secolo) in ambito islamico il Nawruz sia divenuto la festa primaverile per eccellenza, così come sarebbe dovuto essere nella primigenia religione dei popoli iranici è cosa di cui si è ampiamente parlato in altra occasione (Cristoforetti, 2003: 155–161) e che comunque non ha a che vedere con la realtà storica del mondo iranico del VII secolo.

Ecco perché, trovandosi sulla parete nord della Sala degli Ambasciatori di Afrasyab una scena di ambientazione cinese, una volta ipotizzatasi la rappresentazione in quel sito di un ciclo festivo solstiziale, si è pensato che potesse trattarsi anche in quel caso della raffigurazione di una festa o di momenti in qualche modo collegati a celebrazioni solstiziali.

Ebbene, proprio nella sezione sinistra della parete nord potremmo vedere rappresentata quella che per i sogdiani dell’epoca non poteva non apparire come il corrispondente cinese della loro festa “nazionale”, e i dati calendariali non mancano.

Il Duanwujie è una festa che, ora (ma, come è stato detto più su, già da molto tempo), è caratterizzata da motivi “nazionalistici” che ne appannano le ancestrali caratteristiche di venerazione per l’elemento umido, comunque conservatisi nelle offerte riparatrici agli animali acquatici volte a aiutare l’Eroe nella riuscita della sua missione infera.

E va qui accennato che il tema è comune a tutto il ciclo di feste della rinascita della luce, cui il Nawruz è indissolubilmente collegato (Cristoforetti 2002: 249–272).

Il Duanwujie cade il quinto giorno del quinto mese del calendario cinese, e il calendario cinese, come ben noto, è un calendario luni–solare.

Ciò significa che gli anni solari sono suddivisi in dodici lunazioni, o tredici negli anni intercalari, e che una festa legata a quel calendario non corrisponderà costantemente con uno stesso giorno di un calendario solare, ma oscillerà entro l’arco di una trentina di giorni, presentando una prossimità statisticamente maggiore al giorno mediano di quei trenta, permettendo così di individuarne una data solare media di ricorrenza.

In tempi moderni la festa del quinto giorno del quinto mese del calendario cinese oscilla tra la datazione più “alta” del 28 maggio e quella più “bassa” del 27 giugno.

La data media è il 12 – 13 giugno gregoriano corrispondente al 9 – 10 giugno giuliano del VII secolo.

È la festa che mediamente indica l’approssimarsi di uno dei dodici Zhongqi, il Xiazhi, cioè il 90° dell’eclittica (per i cinesi mediamente il 18 giugno nel VII secolo), o solstizio estivo.

Il Duanwujie è la celebrazione che, come il Nawruz del VII secolo, segna il periodo solstiziale, in cui per circa una decina giorni il Sole allo zenith per chi lo osserva dalla Terra non pare mutare la sua traiettoria di “transito” nel cielo.

Nel corso dell’espansione tang verso occidente, i sogdiani, viste anche le caratteristiche mercantilistiche di quella società, devono necessariamente essere venuti in contatto con la celebrazione del Duanwujie.

Ecco che allora ad aver fatto sì che venissero dipinte in un unico ciclo le celebrazioni solstiziali di sogdiani e cinesi potrebbe benissimo essere stata proprio un’epocale coincidenza di due importantissimi momenti festivi di entrambe le tradizioni.

Una coincidenza esatta con la data media del Duanwujie nel corso del VII secolo si ha nel periodo 676–683, quando il Nawruz sogdiano cadde dapprima il 10 e poi il 9 giugno.

Però si può cercare di stabilire corrispondenze più precise.

Si è utilizzato allo scopo il programma di conversione che si può trovare nel sito dell’Academia Sinica con i seguenti risultati relativi al periodo 660–680 (N= Nawruz; NS= Nawruz sogdiano; D= Duanwujie) corrispondente grosso modo al regno di Gao Zong:

659: D: 31 maggio
N: 10 giugno; NS: 15 giugno
  
660: D: 18 giugno
N: 9 giugno; NS: 14 giugno
672: D: 5 giugno
N: 6 giugno; NS: 11 giugno
661: D: 7 giugno
 
673: D: 26 maggio
 
662: D: 27 maggio
 
674: D: 14 giugno
 
663: D: 15 giugno
 
675: D: 3 giugno
 
664: D: 4 giugno
N: 8 giugno; NS: 13 giugno
676: D: 21 giugno
N: 5 giugno; NS: 10 giugno
665: D: 23 giugno
 
677: D: 10 giugno
 
666: D: 12 giugno
 
678: D: 30 maggio
 
667: D: 2 giugno
 
679: D: 18 giugno
 
668: D: 19 giugno
N: 7 giugno; NS: 12 giugno
680: D: 6 giugno
N: 4 giugno NS: 9 giugno
669:D: 8 giugno
 
681: D: 27 maggio
 
670: D: 29 maggio
 
682: D: 15 giugno
 
671: D: 16 giugno
 
683: D: 5 giugno
 

Nel ventennio compreso tra il 660 e il 680 l’unica coincidenza esatta tra un Nawruz –in questo caso quello sogdiano– e Duanwujie è quella verificatasi nel 677, anche se come si può ben vedere si danno numerosi casi di estrema prossimità tra le due celebrazioni.

A tutto ciò va però aggiunto che, in mancanza di precise attestazioni di celebrazioni del Nawruz sogdiano, per quello che è forse un eccesso di scrupolo, pare comunque il caso di considerare anche due altre possibilità.

La prima, già segnalata nel grafico di cui sopra, riguarda la celebrazione di un Nawruz del 1 Farwardin, cioè in accordo con il Capodanno della variante “interna” del calendario iranico.

In questo caso, il periodo entro cui si è verificata una duratura prossimità/coincidenza tra data media del Duanwujie e Nawruz è quello compreso tra il 656 e il 663, quando il Nawruz del 1 Farwardin cadde dapprima il 10 e poi il 9 giugno.

La seconda (non segnalata nel grafico di cui sopra) concerne un problematico passo di Narshakhi a proposito di un secondo Nawruz celebrato a Bukhara, viceversa, cinque giorni dopo il Nawruz sogdiano dei cosiddetti “magi”.

E ciò allarga ulteriormente lo spettro delle possibili coincidenze temporali (Cristoforetti, di prossima pubblicazione).

Ipotizzando che il filo conduttore del ciclo della sala degli ambasciatori di Afrasyab sia quello della celebrazione di usi solstiziali secondo la maniera di vari popoli e che la messa in opera delle pitture abbia una qualche relazione con la prossimità/coincidenza delle due feste del Nawruz e del Duanwujie nell‘arco del VII secolo, avremmo così una datazione iniziale – il 656 (con il Nawruz del 1 Farwardin) – e una datazione terminale – il 683 (con il Nawruz del primo giorno del primo mese del calendario sogdiano) – individuanti il periodo di più probabile realizzazione di quei dipinti, data una sicura prossimità di almeno uno dei due possibili Nawruz con il Duanwujie. Certo, immaginare che a favorire la realizzazione del ciclo della Sala degli Ambasciatori sia stata la coincidenza verificatasi nel 677 rimane un’ipotesi particolarmente suggestiva.

In conclusione, possiamo affermare che l‘ipotesi che nella scena della parete nord legge non tanto la rappresentazione di un generico svago “alla maniera cinese”, bensì la raffigurazione del rituale, secondo le modalità cinesi, di una precisa festa cinese solstiziale, il Duanwujie, sentito corrispondere dal pittore o dal committente sogdiano alla propria festa solstiziale, il Nawruz, è ampiamente supportata da precisi fatti calendariali.

Rimane la parete est, dove i particolari richiamano prepotentemente usanze di ambito indiano (Grenet, 2003). Che si tratti anche in quel caso di una celebrazione all‘indiana del medesimo evento? Andranno comunque condotte analisi più approfondite.

Conclusione

Naturalmente l’interpretazione qui proposta vuole essere solo un’ipotesi di lavoro, supportata tuttavia da diversi elementi di natura storico–artistica e, soprattutto, calendariale, a nostro avviso del tutto verosimili e perfettamente adattabili all’intero quadro delle pitture della Sala degli Ambasciatori di Afrasyab.

Le suesposte osservazioni possono rappresentare una conferma di quanto già proposto al riguardo in altra sede: per esempio, la scena della parete nord può ora considerarsi solo come la raffigurazione della corte cinese, venendo a cadere ogni chiamata in causa di altre popolazioni che erano in contatto con il mondo sogdiano, presso le quali non è attestata la celebrazione del Duanwujie.

Rimane da stabilire se si tratti di un’immagine stereotipata della corte cinese nella concezione degli artisti sogdiani o se invece essa possa considerarsi un ritratto fedele del Duanwujie di epoca tang. In entrambi i casi vi sarebbero i presupposti per ritenere che nella pittura tang esistessero altri esempi similari, e il fatto che non si conoscano raffigurazioni tanto antiche della festa di Duanwujie all‘interno della Cina vera e propria rende i dipinti di Afrasyab ulteriormente importanti per lo studio della stessa arte cinese.

Infine, se si tratta davvero di questa festa, allora si può considerare la datazione di tutte le pitture di Afrasyab inquadrabile con un buon margine di sicurezza nel periodo di regno di Gao Zong, quando, cioè, il Duanwujie cadeva in prossimità del Nawruz sogdiano allora intorno al solstizio estivo.

Nello specifico, l’intervallo compreso tra il 656 e il 683 si adatta bene sia da un punto di vista calendariale, sia da un punto di vista storico, e in parte è già stato indicato da altri studiosi, anche se mai individuato in maniera tanto precisa.

A tale proposito, sarà interessante ricordare che le prime incursioni arabe in territorio sogdiano erano avvenute tra il 673 e il 676 all’epoca del vassallaggio ai Tang e, forse, un primo scontro era già capitato nel 654, cioè quando i signori dell’Asia Centrale erano ancora i Turchi Occidentali (Compareti, 2002: 378).

Volendo essere precisi, le armate arabe al comando di Sa’id b. ‘Uthman avevano conquistato Samarcanda proprio nel 676.

Come ha recentemente suggerito F. Grenet, è probabile che le pitture di Afrasyab vadano collocate in un periodo in cui i sogdiani potevano solo rivolgersi alla Cina quale unica potenza nella regione in grado di garantire una certa protezione a fronte dell’avanzata degli eserciti arabi (Grenet, di prossima pubblicazione) (6).

Le pitture della Sala degli Ambasciatori di Afrasyab potrebbero dunque rappresentare l’omaggio reso all’imperatore cinese (con ogni probabilità Gao Zong) da parte di Varghuman, il signore di Samarcanda, in concomitanza con un evento davvero epocale, quale fu la coincidenza tra le due feste solstiziali estive del Nawruz e del Duanwujie nel 677, vale a dire quando, per la Sogdiana, la minaccia di un’invasione da sud, da parte araba, si andava ormai sempre più prepotentemente profilando come una realtà con cui dover fare i conti.

Ma nella testimonianza di Narshakhi, Sa’id b. ‘Uthman durante la conquista di Samarcanda nel 676 non aveva trovato alcun re a capo di quella città (Frye, 1954: 40).

Si potrebbe quindi restringere ulteriormente il campo d’indagine e proporre come datazione più probabile per l’esecuzione delle pitture di Afrasyab il periodo compreso tra il 656 e il 676.

In ogni caso, rimangono le raffigurazioni di ambientazione indiana della parete est (le più rovinate dell’intero ciclo), per le quali, in assenza – almeno per il momento – di una loro chiara interpretazione, quest’ultima ipotesi non sembra fornire una qualche plausibile spiegazione.

Note

1) Le pitture di Afrasyab sono state studiate e commentate in varie occasioni: Al’baum, 1975; Belenitskii, Marshak, 1981: 47–49, 61–63; Silvi Antonini, 1989; Mode, 1993; Marshak, 1994; Silvi Antonini, 1994; Majtdinova, 1994; Silvi Antonini, 2003: 171–185; Yatsenko, 2004; Grenet, di prossima pubblicazione. Si veda anche: Pugachenkova, Rtveladze, 1985. La figura 2 è una ricostruzione operata da F. Ory e F. Grenet e presentata in una brochure pubblicata dal Museo di Afrasyab: Grenet, Samibaev, 2002: 6–7. Un’altra ricostruzione di M. Mode si può trovare in Internet:
http: //www.orientarch. uni-halle.de/ca/afras/north.htm. Per quanto riguarda invece un tentativo di ricostruzione della parete ovest (ancora operato da F. Ory), si veda: http://www.afrasiab.org/ambassador2.html.

2)Per un’interpretazione leggermente diversa di questa scena che comunque non cambia il senso generale appena esposto, si veda: M. Compareti, “Remarks on the Sogdian Religious Iconography in 7th Century Samarkand”,
http://www.eurasianhistory.com/data/articles/a02/422.html

3) Va notato che, attualmente, durante le celebrazioni della Festa delle Barche–Drago in Cina, alcuni membri della ciurma si tuffano in acqua allo scopo di catturare le anatre lasciate libere di nuotare appositamente nelle vicinanze delle imbarcazioni e tramortite dagli scoppi dei fuochi artificiali. Queste anatre costituiranno il pasto di chi le ha catturate alla fine delle regate.

4) Scacrifici di cavalli connessi all’elemento acquatico si registrano in Cina fin dai tempi più remoti. Una fonte relativa agli Han Occidentali riporta l’obbligo da parte della gente comune di sostituire con statuette i cavalli destinati all’immolazione in onore dei fiumi. Solo l’imperatore era escluso da tale divieto. Altre fonti parlano poi di riti a cui partecipavano coppie di cavalli in prossimità di specchi d’acqua: Riboud, 2003: 153.

5) Tra le raffigurazioni più antiche della Festa delle Barche–Drago si possono citare due dipinti su seta di epoca Yuan attribuiti entrambi a Wang Zhenpeng (c. 1280–1329), uno si trova oggi al Museo di Palazzo (Pechino), l’altro al Metropolitan Museum di New York: Yang, Nie, Lang, Barnhart, Cahill, Hung, 1997: 149–150, fig. 138; Lee, Ho, 1968: fig. 201.

6) Anche G. Verardi giunge alla medesima conclusione in riferimento però ai regni buddhisti dell’Asia Centrale minacciati dall’avanzata inesorabile dell’Islam e anche dall’aggressività dimostrata dal brahmanesimo oltre i confini tradizionali dell’India: Verardi, 2002; Veradi, Parapatti, 2004: 97–102. Relativamente alla Sogdiana si veda anche: Compareti, di prossima pubblicazione.

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