La Rivoluzione Culturale

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La storia della Rivoluzione Culturale comprende un arco di tempo piuttosto lungo. Generalmente viene considerata come quel periodo che va dal 1965 sino alla morte di Mao, undici anni più tardi.

E’ l’ultimo grande sforzo compiuto dai maoisti per la conquista del potere, ma che invece ben presto degenererà nella violenza e nella confusione e che vive negli anni tra il 65 e il 69 i suoi momenti più drammatici.

Lo scopo di Mao è quello di distruggere il Partito per eliminare e screditare i suoi avversari politici.

Dal Comitato Centrale del ’65 alla campagna contro Wu Han

Con la riunione del Comitato Centrale nel settembre del ’65 comincia l’offensiva scatenata dal presidente Mao contro gli ambienti letterari della capitale, e dei dirigenti che li proteggono.

Nel giro di poco tempo cominciano a essere interessati sempre più strati della società.

Nel giugno del ’66 la protesta entra nelle scuole e nelle Università.

Alcune settimane più tardi l’Apl (Armata Popolare di Liberazione), sotto il controllo di Lin Biao, si impossessa delle città e si accanisce non solo sui simboli del passato, ma anche su semplici cose colpevoli di essere vecchie e quindi involontarie interpreti della vecchia ideologia in aperta contrapposizione con il giovanilismo della nuove generazioni rivoluzionarie scagliate contro l’ordine stabilito.

Il Partito crolla come un castello di carta.

Durante la Conferenza del lavoro, tenuta dall’VIII Comitato Centrale (CC) nella capitale nel settembre del ’65, ancora una volta Mao indica gli ambienti letterari di Pechino come principale nemico dello Stato.

Insiste affinché l’opera di Wu Han, “La destituzione di Hai Rui” – chiara opera metaforica critica nei confronti del chairman Mao – venga sottoposta a giudizio. Ma Mao si trova isolato.

Non trova l’appoggio sperato dalle alte cariche del partito, non disposte, ancora una volta, a epurare la classe intellettuale, ma anzi più inclini a una riapertura dei rapporti con Mosca.

Il Gruppo della Rivoluzione Culturale

Frustrato questo primo tentativo anche dallo stesso Deng Xiaoping e da Liu Shaoqi, Mao fa pubblicare a nome di uno scrittore sconosciuto un articolo contro Wu Han, presentandolo come un nemico della Rivoluzione.

Colpendo Wu Han colpisce contemporaneamente il referente politico, Peng Zhen, che tenta di spostare il dibattito su un piano meramente accademico.

Le cose sembrerebbero tornare momentaneamente normali con l’accettazione da parte del partito di un’autocritica moderata di Wu Han.

Peng Zhen cerca di assecondare Mao riattivando una rivoluzione culturale con la riformazione di un Gruppo dei Cinque e con la pubblicazione, con l’approvazione del partito, de “Le Tesi di febbraio“.

La risposta di Mao giunge il 16 maggio con una circolare che destituisce Peng Zhen, annulla le tesi e scioglie il Gruppo dei 5, sostituendolo con un Gruppo della Rivoluzione Culturale, posto sotto l’autorità dell’Ufficio Politico.

Mao dunque riesce a spostare definitivamente il discorso da un piano accademico a uno politico, accusando apertamente membri del Partito, del governo e dell’esercito di essere filo sovietici e revisionisti.

Le Guardie Rosse

Quella del ’66, verrà ricordata come l’estate delle accuse. La prima vittima sarà proprio Liu Shaoqi.

Questi verrà accusato della manovrazione a fini politici delle Squadre di lavoro, composte per lo più da veterani del partito, inviate nelle università per coordinare le proteste studentesche che allora infiammavano gli atenei studenteschi.

Gli studenti accuseranno le Squadre di rallentare la loro azione rivoluzionaria e di fatto così di sabotare la lotta di classe. I Maoisti dunque denunceranno del subdolo tentativo di Liu Shaoqi di lavorare per la Rivoluzione per meglio contrastarla dal suo interno.

I gruppi studenteschi più attivi formano le Guardie Rosse che presto verranno scagliate da Mao contro il Partito e incarica l’Apl di appoggiarli.

Durante l’XI plenum dell’VIII CC (1-12 agosto 1966) il presidente trionfa della resistenza degli alti dirigenti. Viene dunque stilata una carta sotto forma di “Decisione in 16 punti”, che definisce chiaramente gli obiettivi del movimento: rovesciare i quadri del partito che hanno preso la via del capitalismo ed eliminare dalla società tutti gli elementi borghesi.

L’ultimo tentativo del partito per evitare che la protesta sfoci nell’anarchia è rappresentato dalla volontà di difendere gli sforzi produttivi del paese, difendendo i tecnici e gli scienziati.

La rivoluzione deve essere in grado di distinguere i quadri buoni dalle mele marce e di usare la violenza come ultima carta da giocare. Così invece non fu.

Mao, che in un primo tempo aveva sottoscritto i famosi 16 punti, decide di scagliare le guardie rosse contro il partito e di far dilagare la Rivoluzione Culturale nelle campagne.

In autunno la lotta si fa più violenta: Liu Shaoqi e Deng Xiaoping vengono ufficialmente indicati come ispiratori della corrente revisionista.

Lin Biao e Chen Boda (il segretario particolare di Mao) esortano pubblicamente all’assassinio.

Il ruolo del partito in questo momento è praticamente azzerato.

La Comune di Shanghai (1967)

Oramai la protesta infiamma inesorabilmente nelle grandi città. A Shanghai si assiste in quell’anno ad uno degli episodi più importanti.

I ribelli rivoluzionari, appoggiati dal sottoproletariato, attaccano l’apparato locale, reo di aver compilato i “dossier neri“, vere e proprie relazioni sull’attività politica di tutti i cittadini.

Sulla l’altro fronte si muovono invece le guardie scarlatte, legate agli ambienti dell’élite operaia, tradizionalmente amica dell’apparato, che appoggiano l’operato del sindaco Cao Diqiu.

Per distogliere le masse operaie dall’impegno radicale il sindaco stabilisce aumenti salariali e distribuzioni di premi.

Gli scioperi di carattere economico si moltiplicano e raggiungono sempre più categorie sociali.

Le agitazioni portano la città nel caos più totale. L’anarchia in cui è sprofondata Shanghai induce i ribelli rivoluzionari a prendere il controllo della situazione.

Il 5 gennaio del 1967 esortano i contestatori a tornare al posto di lavoro.

Zhong Chunqiao viene inviato a Shanghai per riprendere il controllo della città.

Il 5 febbraio nasce così la Comune di Shanghai e un comitato provvisorio di governo in attesa delle future elezioni.

Contrariamente alle sue attese, le sue decisioni non incontrano il favore di Pechino che invece gli preferisce la triplice alleanza tra Partito, masse ed esercito.

Ma l’abolizione da parte di Mao della Comune rischia di contraddire lo spirito rivoluzionario del periodo.

Il caos generale in cui è precipitata la situazione induce all’intervento dell’esercito già decretato con la direttiva del 28 gennaio.

L’esercito sarebbe dovuto servire da modello alle guardie rosse, con il preciso compito di guidarle e istruirle.

Lo slancio rivoluzionario delle guardie rosse talvolta risulta sin troppo zelante, in particolar modo nelle più sensibili regioni di frontiera.

L’esercito arriva persino all’eliminazione fisica delle guardie rosse che rischiano di destabilizzare l’equilibrio con le minoranze locali.

Infine l’Apl appoggia i rivoluzionari conservatori, dall’alto del suo potere di riconoscere e indicare gli elementi di disturbo all’attività rivoluzionaria.

La corrente radicale, duramente colpita denuncia l’Instaurazione di una dittatura militare.

Vanificato anche questo tentativo di riportare un po’ di ordine da parte di Pechino, il potere centrale decide di rivolgersi ai corpi d’armata che sono inviati nelle zone più calde.

Ai militari viene ingiunto il divieto dell’uso delle armi, anche in caso di legittima difesa.

Questa nuova direttiva ancora una volta provoca effetti non previsti, un po’ come quasi tutte le fallimentari decisioni prese dal governo comunista in quegli anni.

Le guardie rosse difatti approfitteranno del nuovo stato di cose provocando apertamente i membri dell’esercito, e riaprendo il conflitto tra masse radicali e ribelli conservatori.

Al principio dell’estate di quell’anno vengono aperte delle inchieste.

Un’estate violenta

Al principio dell’estate del ’67 Wuhan è il palcoscenico dove si muovono le fazioni opposte del Quartier Generale dei Lavoratori (QGL) e Il Milione d’Eroi (ME) appoggiati dal comandante regionale, il generale Chen Zaidao e sostenuti dai ribelli conservatori.

Il 14 luglio infine arriva il sostegno di Zhou Enlai al QGL. Chen Zaidao e i suoi non accettano la decisione di Zhou Enlai e mobilitano l’ME. Vengono così rapiti i due inviati del governo, Xie Fuzhi, ministro della Sicurezza e il propagandista radicale Wang Li.

Zhou Enlai riesce a reprimete il focolaio rivoluzionario. La risposta radicale non si fa attendere: l’esercito viene filtrato alla ricerca dei suoi elementi conservatori.

Viene accettata così dal governo l’idea che le fazioni più estreme possano girare armate.

L’esercito invece di trovare una risposta comune si fraziona ulteriormente e non rimane immune al fazionalismo.

L’incapacità delle forze armate di riorganizzarsi, spinge le forze radicali a rafforzare le proprie posizioni.

Accusano i comitati rivoluzionari di appoggiare i conservatori e quindi di fatto di ostacolare l’impeto rivoluzionario.

Alcuni membri del comitato di Shanghai vengono rapiti dalle falangi di sinistra.

Così tutti gli sforzi di Pechino di imbrigliare la Rivoluzione Culturale vengono vanificati e ora le masse si rivolgono proprio contro il Partito esigendo le teste di Liu Shaoqi e di Deng Xiaoping, accusando Zhou Enlai e attaccando le ambasciate straniere.

Mao è costretto a porre la parola fine sulla Rivoluzione Culturale.

Ancora una volta per arrivare a una soluzione si gioca sulle parole: per riprendere il potere l’unico alleato prezioso per Pechino alla fine rimane proprio l’esercito cui poco prima si erano scagliate le guardie rosse.

Sorprendentemente dunque i capi rivoluzionari vengono accusati di essere dei falsi partigiani.

La vittima più illustre è Wang Li.

Gli altri membri del gruppo della Rivoluzione Culturale vengono risparmiati ma devono associarsi alla denuncia.

Gettando nel discredito la falange radicale, accusata in realtà di essere un elemento destabilizzatore, l’esercito ritrova potere e legittimità. Il divieto d’uso d’armi da fuoco viene rimosso.

Nel corso dell’anno successivo (gennaio 67- settembre 68) vengono istituiti dei Comitati rivoluzionari.

I comitati rivoluzionari vengono visti da parte delle masse radicali come una nuova dittatura borghese.

Nel corso del ’68 le guardie rosse vengono isolate e sconfessate da Mao, il quale autorizzerà l’uso dell’esercito e dell’artiglieria per eliminare i giovani agitatori.

Squadre di diffusione del pensiero maoista vengono inviate nelle scuole e nelle università per riportare all’ordine gli studenti.

Il IX congresso del Partito dell’aprile del 69 ricostruisce il partito sotto il controllo dell’Apl.

Il pensiero di Mao diventa il fondamento teorico.

La Rivoluzione Culturale è finita.

Una scena dal Distaccamento Rosso delle Donne. (Produzione 1972)
Una scena dal Distaccamento Rosso delle Donne. (Produzione 1972)
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