Intervista a Davide Cucino

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Intervista a Davide Cucino, Direttore della Camera di Commercio Italia – Cina.

Qual è lo stato di salute dei rapporti economici Italia – Cina?

Lo stato di salute degli scambi commerciali tra Italia e Cina è molto buono: l’Italia è infatti al quinto posto tra i partner commerciali della Cina all’interno dell’Unione Europea, mentre il mercato cinese risponde sempre meglio al richiamo del made in Italy. Ciò che mi rallegra e mi rende ottimista per il futuro è che, accanto alle eccellenze italiane di sempre, ai grandi marchi simbolo della nostra produzione, si muove un gruppo di imprenditori sempre più compatto e motivato che promuove attivamente i propri prodotti. La Cina è un mercato giovane e culturalmente molto distante dal nostro, per cui il primo obiettivo deve essere formare e informare le persone su chi siamo e sull’alta qualità che siamo in grado di proporre, e questo è compito troppo importante e complesso perché possa essere svolto individualmente dalla singola azienda, senza l’appoggio di un sistema solido e compatto.

 

L’Italia negli anni ha accumulato un ritardo negli investimenti in Cina rispetto ad altre nazioni. Come giudica la situazione contemporanea?

Nel 2007 il numero di progetti italiani sviluppati in Cina è stato di 348, che riferendosi all’Unione Europea, ci vede in terza posizione dietro solo a Germania e Regno Unito. Il valore assoluto però è realtivamente modesto ed evidenzia i nostri problemi strutturali di fronte ai grandi mercati internazionali: l’Italia possiede un sistema economico composto da piccole e medie imprese che, nell’effettuare grossi investimenti, incontrano difficoltà molto maggiori rispetto alle grandi multinazionali. L’Italia, inoltre, è sprovvista dei grandi gruppi di distribuzione che invece aiutano molto la coesione fra le piccole imprese. Negli ultimi tre anni, però, gli indicatori hanno evidenziato tendenze molto più confortanti, a testimonianza di un’accresciuta consapevolezza delle imprese italiane nel considerare la Cina un mercato importante non solo per il made in Italy, ma anche per il Made by Italy e Designed by Italy, con nuove e ottime prospettive in settori come  la meccanica, i beni strumentali o le tecnologie per l’ambiente.

Quali sono le opportunità più interessanti per le piccole e medie aziende italiane interessate a operare in questo immenso paese? Quali invece i rischi?

La Cina è uno dei paesi con le maggiori opportunità potenziali di business al mondo: il suo PIL cresce con una media annua del 9-10%, il mercato interno rappresenta un quinto della popolazione mondiale e il reddito pro-capite è in promettente crescita. Attualmente, in Cina, le attività produttive risultano più profittevoli non rispetto ai servizi. In particolare, i maggiori ritorni nel comparto manifatturiero si realizzano in settori come quelli delle apparecchiature per ufficio e per telecomunicazioni, dei macchinari elettrici e non, nell’acciaio, nel ferro e nei carburanti. Mediamente profittevoli sono poi i mercati dei macchinari per produrre energia, l’automobilistico, i prodotti chimici e agricoli e, a decrescere, quelli del tessile, dei semilavorati, dei metalli e dei minerali. Nei servizi hanno mostrato maggiori potenzialità attività legate ai trasporti e alla logistica piuttosto che servizi finanziari, legali, di raccolta dati, di call center, di software design e di system integration, anche se alcuni segmenti risentono di una forte concorrenza con l’India. Il boom economico non è iniziato da poco e non è sconosciuto ai più, per cui la concorrenza è intensa, sia tra imprese internazionali sia con quelle locali, con un rischio d’impresa sempre crescente. Inoltre, troppo spesso si sottovaluta il lato culturale dell’aprire un’impresa in Cina: per l’azienda italiana significa compiere un salto di migliaia di chilometri, che porta a immergersi in una realtà completamente diversa che ha anche le proprie regole sociali. Il rapporto interculturale, quindi, va tenuto in attenta considerazione.

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Il mercato della contraffazione in Cina è dilagante. Vi sono delle garanzie per tutelare i marchi italiani in questo paese? Le autorità cinesi sono collaborative da questo punto di vista?

La Cina, in seguito all’entrata nel WTO nel 2001, si è dovuta allineare agli standard mondiali per la tutela dei diritti di marchi e brevetti e negli ultimi tempi, nonostante la contraffazione sia ancora radicata nel paese, le autorità hanno mostrato una certa durezza nella repressione, con punizioni esemplari per i colpevoli, che peraltro hanno avuto una notevole pubblicità presso i media. È emblematico il caso della Ferrero, che nell’aprile del 2008, dopo tre anni di battaglia legale, ha ottenuto una significativa vittoria contro la contraffazione. L’Alta Corte di Tianjin ha infatti ingiunto alla cinese Montresor di mettere immediatamente fine alla produzione di cioccolato impacchettato in modo identico a quello dell’azienda italiana, condannandola inoltre a pagare alla Ferrero un indennizzo di 87000 dollari. Considerando che Rocher è la pralina leader anche in Europa, la vittoria in Cina rappresenta un caso emblematico per la tutela dei marchi occidentali in questo paese, e testimonia la volontà dello stato cinese di combattere la contraffazione all’origine, prima che raggiunga le frontiere europee.

Recentemente, in vista delle Olimpiadi, il governo ha cambiato le regole per ottenere i visti per la Cina. Vi sono state ripercussioni per quanto riguarda l’attività di uomini d’affari italiani che operano in questo mercato?

Secondo i dati in nostro possesso, allo stato attuale la permanenza in Cina è garantita solo a coloro che hanno un contratto di lavoro e sono in possesso del visto di tipo Z, mentre tutti coloro che possiedono un visto di diversa tipologia, salvo casi eccezionali non possono rimanere in Cina oltre il primo di luglio (SIAMO SICURI?). Questa situazione causa ovviamente una riduzione forzata del personale di molte aziende internazionali. Mentre ci rendiamo conto delle esigenze di sicurezza necessarie a garantire la gestione di un periodo critico come quello olimpico, tale stretta porta tuttavia di conseguenza disagi, anche se temporanei, al business tra la Cina e il resto del mondo.

 

Quali consigli darebbe a un giovane imprenditore intenzionato ad avvicinarsi alla Cina?

Ciò che è imprescindibile per poter iniziare a operare qui è la conoscenza, intesa in modo molto ampio e diretto: significa essere pronti a interfacciarsi con questa cultura, tanto affascinante quanto diversa dalla nostra; la Cina, e l’Asia in generale vanno per prima cosa capite:, le regole vanno rispettate cercando di mediarle con il nostro modo di ragionare, mentre non può mancare una solida preparazione tecnica e moltissima predisposizione a imparare cose nuove. È necessario avere un approccio che, visti i repentini cambiamenti di questa società in evoluzione, deve essere sempre attiva positivo, in modo da coglierne di volta in volta i punti più favorevoli.  La Camera di Commercio Italiana in Cina è un’associazione di imprese che focalizza la sua attività nella promozione delle relazioni commerciali tra i due paesi, fornendo conoscenza, assistenza ed esperienza a chi si appresta a intraprendere relazioni commerciali con la Cina.

Quali sono i settori in maggior crescita?

Il settore produttivo traina trainante per l’economia cinese è quello manifatturiero che, nonostante una lieve diminuzione del tasso di crescita nell’ultimo anno, possiede ancora il valore di IDE più alto, confermandosi il più attraente per le imprese straniere. Un altro settore trainante è quello energetico: la produzione di energia elettrica, nel 2007 ha raggiunto quota 3208,6 miliardi di kwh, con una crescita su base annua del 15%. Il settore immobiliare e delle costruzioni, inoltre, beneficia di investimenti esteri molto alti e la sua importanza è ben evidenziata dai numerosi cantieri sparsi per le città, che stanno cambiando il volto della Cina.  Il settore primario rappresenta il 12% del PIL e si conferma come quello fondamentale; la sua efficienza è inoltre in costante aumento grazie al crescente impiego delle nuove tecnologie. L’economia cinese, però, negli ultimi anni si è diversificata fino a comprendere praticamente tutti i settori, con un’importante crescita nel terziario che ne testimonia il processo di maturazione.

Secondo Lei, la Cina si è allineata agli standard economici del WTO?

L’entrata della Cina nel WTO nel 2001 ne sta profondamente mutando la struttura normativa interna. Il paese ha dovuto allinearsi agli standard del commercio internazionale con trasformazioni epocali che, per concludersi, hanno bisogno di molto tempo. Per citare alcuni segni di questa trasformazione, si pensi alle innovazioni legislative più recenti come la nuova legge fallimentare (1 Giugno 2007), la nuova legge antitrust (30 Agosto 2007), la nuova legge sul lavoro (01 Gennaio 2008) e la nuova legge sull’imposta dei redditi societari (1 Gennaio 2008). L’allineamento non può ancora dirsi compiuto, ma i progressi sono evidenti: per valutarne la reale efficacia, sarà indispensabile un’attenta analisi dei risultati concreti che le imprese otterranno dal prossimo semestre in avanti.

Intervista di Massimiliano Carponi, Matteo Damiani

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