La nuova forma della poesia cinese contemporanea

Storia della Poesia in Cina di Fabio Grasselli


PREISTORIA E STORIA DELLA POESIA IN CINA
DALL’INVENZIONE DEI CARATTERI AL TRACOLLO DELL’ULTIMO IMPERO

La lingua cinese, dalle grandi risorse visive e agilità grammaticale si presta particolarmente ad essere lingua di poesia: lingua divinatoria nell’antichità, veniva utilizzata per scopi magici, gli sciamani scrivevano sulle ossa delle scapole di bovini o su gusci di tartarughe e interpretavano le modifiche apportate dal fuoco; il potere dello stesso sovrano aveva senza dubbio un’origine magico-sacrale. Fonti archeologiche ci permettono di datare al V millennio a.C. la nascita dei simboli grafici in Cina; leggende attribuiscono l’invenzione dei caratteri ai tre mitici imperatori Fu Xi, Shen Nong, e Huangdi, vissuti, si narra, fra il XXIX e il XXVII sec. a.C. Fu Xi è indicato come creatore degli otto trigrammi, combinazione di tre linee orizzontali continue o spezzate, i quali secondo antiche teorie cosmologiche corrispondevano ai fenomeni del mondo naturale, fungevano da immagini degli stati mutevoli con cui si manifesta l’ordinamento del Cielo e della Terra. A Shen Nong è attribuita l’introduzione della registrazione di dati attraverso nodi su cordicelle. Huangdi (più esattamente il suo ministro Cang Jie) è considerato l’inventore dei caratteri, instillati dalle orme degli animali, soprattutto dagli uccelli.

La prof.ssa Tamburello scrive: “se è vero che la nostra lettera “a” è stata un’alfa e prima ancora la stilizzazione di una testa di bovino con le corna, e se è vero che anche la nostra scrittura nasce dal bisogno di riprodurre quanto ci è noto di ciò che ci attornia, è pensabile che la scrittura cinese abbia prediletto la forma del pittogramma e l’abbia conservata per una consapevolezza della natura rivelatrice, suo malgrado, del disegno? Se così fosse, la cultura cinese avrebbe realizzato un’altra delle sue grandiose sintesi: una lingua che attraverso il disegno, esprime al tempo stesso la rappresentazione riconoscibile del reale e la rappresentazione in quanto assenza, dell’ineffabile. Una lingua di poesia, dunque, ma non della pausa o della sospensione, bensì dell’essere e del non-essere.” (1). La prof.ssa Claudia Pozzana descrive così la scrittura cinese: “[…] spontaneamente si raffigura d’essere l’<> di un <>, l’incerto confine <> tra un <> e un <>, che spesso viene considerato radice di una presunta costitutiva delle modalità del <>” (2). Ernest Fenollosa, il quale trasferì sui caratteri cinesi l’ammirazione che gli intellettuali dell’ottocento nutrivano verso i geroglifici, li definiva come una vivida pittura stenografica delle operazioni naturali. Attraverso Lawrence Binyon, uno dei maggiori esperti di arte cinese e giapponese del primo novecento, il poeta americano Ezra Pound venne a contatto con i principi estetici della pittura cinese e giapponese, e scoprì l’importanza della relazione tra la scrittura e l’immagine visiva, il rapporto spaziale tra vuoti e pieni. Egli esaltò le qualità “imagiste” della poesia cinese: la chiarezza nella rappresentazione, la capacità di esprimere un’idea per mezzo dell’immagine che la rappresenti, la subitanea compenetrazione tra il poeta e ciò che lo circonda. A questo proposito Yang Lian ha scritto: “A confronto con le lingue europee, dove si può “vedere” il suono delle lettere dell’alfabeto, la musicalità della lingua cinese è nascosta dietro la percezione visiva dell’immagine. […] E’ questo ciò che io chiamo “l’energia segreta” della poesia” (3). (da “all’interno del cinese” www.manifatturae.it/YangLian )

Per il poeta Yang Lian, appunto, le tradizioni poetiche cinesi sono due: la prima risale alla cultura magica del bacino dello Yangzi, la quale si chiude con l’importante figura di Qu Yuan (340-278 a.C.), e che viene soverchiata dalla seconda, quella confuciana, stabilita sulla base dello Shijing, caratterizzata dall’impoverimento tematico e da un estremo convenzionalismo. Tuttavia, generalmente si parla di due grandi filoni poetici che ricalcano i due sistemi filosofici autoctoni cinesi: quello taoista e quello confuciano.

Di solito, se si parla di poesia cinese, l’immaginario si rivolge immediatamente al periodo Tang (618-905 d.C.), epoca in cui questa forma d’arte raggiunse l’apice espressivo (il Quan Tangshi, la raccolta completa delle odi del periodo Tang, comprende quasi 50.000 poesie, di oltre duemila autori diversi); tra i più eminenti poeti del tempo si possono citare Wang Wei, Du Fu, Li Bai influenti durante il primo periodo e Bai Juyi, Li He, Li Shangyin e Wei Zhuang, i più famosi del secondo periodo. In realtà già dal periodo medievale la poesia aveva raggiunto altissimi livelli: lo Shi, genere poetico già utilizzato sotto gli Han orientali, caratterizzato da opere costituite da versi di cinque o sette caratteri, conobbe un grande sviluppo. La tonalità in questi anni divenne elemento fondamentale nella prosodia, i cui contenuti vertevano su vino, musica e natura; tra i poeti più eminenti ricordiamo Ruan Ji, Xi Kang, Xie Lingyun e Tao Qian.

In epoca Tang si attinse da questa tradizione soprattutto grazie all’opera di mecenatismo degli imperatori di questa gloriosa dinastia. Dal punto di vista formale i Tang svilupparono la “poesia codificata” (Lüshi), senza cessare di utilizzare lo stile antico (guti o gushi); introdussero, inoltre innovazioni come il nuovo metro dei cosiddetti “versi troncati” (jueju) o il nuovo genere della “canzone” o ci. Tuttavia bisogna dire che la poesia ha sempre rivestito un ruolo fondamentale lungo l’intero arco della storia della Cina: i primi versi documentati risalgono al 1753 a.C., e sono quelli del Libro delle Odi (Shi Jing), uno dei cinque classici, fondamento dell’educazione di un Ru, letterato confuciano. La cultura confuciana conferì alla poesia un ruolo importante nella gestione degli affari dello stato, edificando intorno ad essa un sapere “poetologico”, non solo attraverso la codificazione di regole metriche e formali, ma principalmente con la prescrizione di un canone interpretativo il quale accoglieva la poesia come uno dei “riti” che ordinavano il funzionamento dello stato al fine basilare di educare la massa. Durante il primo impero (221 a.C-220 d.C.), la letteratura era strettamente legata al potere politico, il genere letterario più in voga era il fu, composizione in prosimetro, descrittivo e declamatorio, derivato sul piano formale dai “Chu Shi” e dalla tradizione retorica della scuola dei politici (zonghejia), e, parlando appunto di fu, non si può prescindere dal citare Sima Xiangru, il maggiore cantore delle glorie imperiali; altro genere tipico del periodo Han è lo yuefu, tipo di composizione poetica accompagnata dalla musica i cui temi principali erano la fragilità e la precarietà della vita. Alla fine degli Han orientali, i sette poeti dell’era Jian’an, tra cui Cao Cao, Cao Pi e Cao Zhi, nostalgici e melanconici, riportarono la poesia ad ottimi livelli.

Dopo il periodo d’oro della poesia cinese di cui abbiamo già delineato i tratti fondamentali, il periodo Song (960-1279) vide una capillare diffusione della letteratura in lingua parlata, dai temi di carattere storico, avventuroso, religioso e fantastico, i cosiddetti “canovacci” (huaben); il genere ci venne gradualmente a sostituirsi alla poesia codificata, il cui massimo esponente del tempo fu Su Dongpo, pittore, calligrafo e saggista permeato di buddismo e taoismo.

Durante la dinastia Yuan (1271-1368) si assisté al tracollo del mecenatismo di corte e alla separazione fra la cultura e la carriera politica; gli scrittori, da un lato, si dedicarono a testi teatrali e alla narrativa incrementando lo sviluppo della letteratura in lingua volgare e dialettale, dall’altro crearono limitati circoli letterari in cui si venne affermando un tipo di letteratura raffinato ed ermetico. La letteratura drammatica fu l’espressione più alta dei ceti urbani; nel nord si diffusero le ballate sanqu, che combinavano arie settentrionali con forme poetiche shi o ci, a cui si aggiunse un nuovo genere prettamente drammatico, lo zaju, genere considerato indegno dai letterati. Gli argomenti ivi maggiormente trattati erano di tipo familiare, poliziesco, amoroso o leggendario.

Quello della dinastia Ming (1368-1644) si può definire il “secondo Rinascimento cinese” per la densa concentrazione di fermenti intellettuali. Emerse una prosa semplice ed espressiva che trovava le radici nei canovacci (huaben) dell’epoca Song, atta alla stesura di romanzi, testi d’evasione, d’argomento religioso e novelle in lingua parlata; anche il genere drammatico raggiunse altissimi livelli. Riguardo alla poesia, contro lo stile ufficiale arcaicizzante, si posero autori originali come Tang Yin (1470-1524), la scuola Gong’an dei fratelli Yuan (seconda metà del XVI sec.) e Li Zhi (1527-1602).

Gli imperatori della dinastia Qing (1644-1911) si fecero promotori della cultura ufficiale, promovendo il confucianesimo ortodosso, l’arte accademica e lo stile classicheggiante, censurando tutto ciò che fosse contrario al regime e al mos maiorum, castrando, così, l’originalità degli autori; non mancarono, certo, eccezioni, come ad esempio il poeta drammaturgo Yuan Mei (1716-1798), anticonformista e libertino il quale esaltava la libertà d’espressione; inoltre, non scarseggiarono centri d’irradiazione culturale alternativi, grazie soprattutto al mecenatismo dei ricchi mercanti del Sud.

Alcuni studiosi sono soliti affermare che la letteratura cinese moderna abbia avuto inizio nel 1917, anno in cui Hu Shi e Chen Duxiu pubblicarono sulla rivista Xin Qingnian articoli che inneggiavano alla creazione di una “letteratura nuova”; altri asseriscono che il movimento del 4 Maggio 1919, la prima grande protesta studentesca a carattere nazionale (contro le concessioni in Cina attribuite dal trattato di Versailles alle potenze straniere, soprattutto al Giappone), sia da considerare l’inizio della letteratura cinese contemporanea, in quanto legato alla diffusione di nuove riviste che non si servivano più della lingua letteraria (wenyan), ma della lingua volgare (baihua).

La letteratura in lingua volgare, come abbiamo visto, aveva una sua antica tradizione, che non aveva però mai avuto un riconoscimento ufficiale ed era sempre stata legata al teatro e alla narrativa. Hu Shi, a favore di essa, sosteneva che la letteratura in baihua era stata la fonte di tutti i rinnovamenti importanti nella letteratura in wenyan. Già nel 1915, alcuni intellettuali, come Chen Duxiu e Hu Shi appunto, avevano propugnato l’uso del volgare come lingua letteraria, utilizzabile in ogni tipo di espressione scritta; per la poesia, tuttavia, l’abbandono del cinese classico a favore del volgare era una sfida fino ad allora intentata.
E fu nei primi anni venti che il Ministero dell’Educazione varò una serie di decisioni mirate al fine di sostituire il wenyan con il baihua nell’insegnamento scolastico, anche nel settore della lingua e della letteratura. Il passaggio dal cinese classico a quello moderno fu soltanto uno degli aspetti della Rivoluzione Letteraria, la quale si prefiggeva, inoltre, di opporsi alla moralità confuciana e all’ordine sociale tradizionale per creare una nuova Cina, moderna, sviluppata e potente; ovviamente, lo sguardo era rivolto all’Occidente come fonte di temi, idee, ispirazione. L’importanza rivestita da Hu Shi riguardo allo sviluppo della letteratura cinese moderna va ben oltre la pubblicazione di articoli su riviste: egli fu, infatti, uno dei primi autori a sperimentare la poesia in baihua, la sua raccolta Changshi ji (Esperimenti) venne alla luce nel’19.

Molti scrittori degli anni Venti si politicizzarono in modo sensibile dopo la riunificazione nominale della Cina da parte del Guomindang nel’28, e anche molti scrittori degli anni Trenta, che dapprima avevano focalizzato nella felicità individuale la loro somma ricerca, divennero sempre più politicamente impegnati, soprattutto dopo lo scoppio della guerra sino-giapponese nel 1937.

È possibile dividere la letteratura moderna in Cina in due fasi distinte: 1917-1942 e post-’42. Nel primo periodo gli scrittori godevano di relativa libertà di scelta riguardo ai metodi, ai temi e ai mezzi adottati per esprimere i propri ideali; dopo il’17 ci furono brevi periodi di cooperazione tra scrittori e governo. La corruzione dei membri del Guomindang e la loro incompetenza portarono molti intellettuali a schierarsi per disperazione tra le file dei comunisti. Nella poesia dei primi anni Venti, abbandonati i tradizionali concetti formali, comparve il verso sciolto e di conseguenza vennero alla luce componimenti poetici in prosa, come quelli che troviamo nella raccolta Yecao di Lu Xun del ’26; verso la fine degli anni’20 attirarono l’interesse i poeti che cercavano di adattare la poesia occidentale alla lingua cinese e i poeti che creavano nuove forme di scrittura basate sulle caratteristiche del baihua. A livello di contenuti fu il Romanticismo a svolgere un ruolo predominante in quegli anni: si studiavano Byron, Keats e Shelley, nonché Whitman. Tra i poeti in voga nei primi anni venti si annoverano Zhu Ziqing (1898-1948), Yu Pingbo, Bing Xin e i più noti Wen Yiduo, Guo Moruo e Feng Zhi. Bing Xin ottenne fama per la prosa “al femminile”, Yu Pingbo per gli scritti critici e accademici e Zhu Ziqing per i saggi in baihua.

Guo Moruo (1892-1978), nato nel Sichuan e laureatosi in medicina in Giappone, fu uno dei pochi scrittori cinesi influenzati, oltre che dalla letteratura in lingua inglese, dalla letteratura tedesca, nel cui ambito, peraltro, si cimentò in traduzioni, pubblicando la versione in cinese del Faust e de I dolori del giovane Werther di Goethe. Egli si fece notare come poeta con la raccolta Nüshen (Le dee) del’21, in cui anela all’unione cosmica con l’universo; si iscrisse al Partito Comunista nel’25, partecipò alla Spedizione del Nord, ma, dopo il colpo di mano di Jiang Jieshi del ’27 si rifugiò in Giappone per tornare in Cina nel ’37; dopo aver scritto ancora poesie dalle forme più tradizionali, nel’66, allo scoppio della Rivoluzione Culturale, rinnegò tutto ciò che aveva scritto.

Wen Yiduo (1899-1940) si guadagnò la fama di poeta moderno con due raccolte, Hongzhu (La candela rossa, 1923) e Sishui (acqua morta, 1927), raccolte in cui si leggono versi rimati dalla struttura metrica delineata, i quali esprimono i dolori pubblici e privati del poeta.

Xu Zhimo (1897-1931) è stato spesso insignito del titolo di maggiore poeta cinese moderno; nato da una famiglia di banchieri, si trasferì nel’18 in America dove cominciò ad interessarsi di letteratura, nel 1920 si recò a Cambridge e tornò in patria nel 1922. Fu un appassionato di poeti romantici e nel ’24 accompagnò Tagore in un viaggio attraverso la Cina, insegnò in diverse università e collaborò con Wen Yiduo a vari progetti letterari. Le poesie di Xu Zhimo dalla fama più longeva sono le brevi poesie d’amore in cui sperimentò nuove forme strofiche, pubblicate in quattro volumi tra il 1925 e il 1932.

Il più famoso professionista del sonetto in Cina fu Feng Zhi (1906-1993), anche egli sperimentatore di diverse forme strofiche; oltre a brevi versi in cui urla disperazione e solitudine, scrisse lunghi poemi narrativi basati su leggende popolari. La sua permanenza a Harbin nel 1927 lo ispirò alla stesura di Beiyou (viaggio al nord). Dal ’30 al’35 studiò letteratura tedesca in Germania, tradusse varie opere e ne scrisse altre per il cui tono contemplativo egli fu definito poeta “metafisico”.

Negli anni trenta i poeti cinesi cominciarono ad ispirarsi all’Imagismo e al Simbolismo ma, con l’avvento del conflitto col Giappone, si ritornò a semplici forme di poesia popolare. Il simbolista più noto del periodo fu Dai Wangshu (1905-1950), il quale soggiornò in Francia e in Spagna e dopo essere tornato in Cina, scappò nel’38 a Hong Kong per sfuggire alle milizie nipponiche; tuttavia, presa anche Hong Kong, egli fu fatto prigioniero. La sua salute peggiorò di mese in mese e, infine, Dai morì a causa di una malattia polmonare. I suoi versi continuano ad essere apprezzati per la caratteristica inafferrabilità.

Zang Kejia (1905-), allievo di Wen Yiduo, è ricordato oltre che per la qualità formale dei versi, anche per il patriottismo che permea le sue opere. Bian Zhilin (1910-) divenne famoso per le raccolte Yumu ji (occhi di pesce, 1935) e Hanyuan ji (Il giardino Han, 1936) che contengono versi meditativi ambientati nelle strade pechinesi. Ai Qing (pseudonimo di Jiang Aicheng, 1910-1996), fu esponente di spicco del verso sciolto. Tornato dalla Francia nel’32, fu subito catturato per le sue “idee pericolose”; in quel periodo scrisse Dayanhe, pubblicato nel’36, raccolta di poesie ricca di ricordi di gioventù, a cui fanno sfondo il divario fra ricchi e poveri. Tian Jian (pseudonimo di Tong Tianjian, 1916-1985) iniziò a pubblicare nel ’32 lunghe poesie patriottiche influenzate dal poeta russo Mayakovsky.

Il secondo periodo della letteratura cinese moderna si apre con i discorsi di Yan’an, attraverso cui Mao decretava irrevocabilmente che la responsabilità della modalità del lavoro degli scrittori fosse di competenza delle autorità politiche. Durante l’epoca maoista, il pensiero di Mao Zedong si manifestava anche attraverso poesie di soldati, operai e contadini, che inneggiavano al socialismo; Mao stesso scriveva componimenti rifacendosi alla poesia classica, sostenendo che la poesia fosse necessaria alla rivoluzione. Il disastro del Grande Balzo in Avanti (1958), il progetto per la promozione dell’industrializzazione in chiave domestica, causerà il collasso economico e la fine dei rapporti con l’Unione Sovietica, e obbligherà Mao a finalizzare tra il ’62 e il ’65 una grande campagna per educare le masse al socialismo; dal ’58 al ’68 verranno alla luce circa 880 milioni di testi, il cui soggetto sarà la vita quotidiana del popolo e i cui autori saranno sovente giovani studenti; diminuiva l’importanza degli scrittori professionisti, mentre s’innalzava quella dei dilettanti provenienti dalle masse; la poesia perderà, così, il suo carattere elitario per divenire popolare.

Essendo il pubblico a cui la letteratura era indirizzata costituito da operai, contadini e soldati, gli autori avevano il compito di narrare le proprie esperienze in una forma riconoscibile e gradevole per operai contadini e soldati, essi dovevano ottenere consenso fra le masse e desistere dall’imitazione di forme e temi occidentali, rappresentare modelli positivi di condotta e fare prendere coscienza al popolo della situazione attuale. Scrive Xiao Kaiyu, “in Cina, dopo aver realizzato il sistema socialista, si volle che la tradizione poetica potesse essere ripristinata solo quando tutti fossero diventati poeti e avessero cominciato a scrivere versi” (1). Si tentò di adottare la tradizione dei testi da rappresentazione in modo nuovo: l’esempio più indicativo è il lungo poema narrativo Wang Gui yu Li Xiangxiang di Li Ji (1921-1980), in cui è narrata la storia del contadino Wang Gui che si unisce ai guerriglieri e sposa Xiangxiang, figlia di un fittavolo, dopo che il feudatario è stato cacciato dal villaggio.
Inevitabilmente si assisteva a scontri tra partito e scrittori, il primo dei quali sfociò nella campagna contro Hu Feng (pseudonimo di Zhang Gufei, 1902-1985) il quale entrò in conflitto con le autorità sostanzialmente a causa del suo ergersi a paladino dell’importanza dell’individualità nella letteratura. Nel 1957, durante la campagna contro la destra, parecchi autori, tra cui Ding Ling e Ai Qing, furono oggetto di critiche: mentre si effettuava la campagna dei Cento Fiori, l’anno precedente, avevano protestato contro il giogo a cui erano imbrigliati nello svolgimento della propria mansione.

Nel ’66 si aprirà la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria che vedrà scontrarsi le varie fazioni politiche; le Guardie Rosse e i loro comitati rivoluzionari svolgeranno un ruolo cruciale e Mao riuscirà a riportare l’ordine solo attraverso l’uso delle forze militari. Nell’ottobre del 1968, con l’avvio della campagna shangshan xiaxiang si assisterà alla dispersione di venti milioni di Guardie Rosse nelle campagne per conoscere il socialismo della vita quotidiana del popolo. Il disordine causato da questo progetto si protrarrà fino al ’76, anno della morte di Zhou Enlai, il premier che aveva tentato di riorganizzare il partito, e anno della morte dello stesso Mao, tuttavia è proprio da questa esperienza che germoglia una delle stagioni poetiche più prolifiche della storia della Cina.

La Rivoluzione Culturale, una “punizione del cielo”, secondo Gu Cheng, determinò un radicale cambiamento poiché trasformò le categorie di pensiero dei cinesi; fu questo un cambiamento ricco di contraddizioni in quanto effetto di un’ingiunzione dall’alto, imposta con la violenza sia fisica che psichica e i giovani ne furono i protagonisti. La sua chiusura non mise in discussione la figura di Mao e non modificò gli indirizzi di politica estera cinese sempre più intenzionata a vedersi riconosciuta una collocazione internazionale autonoma da Mosca; nel novembre 1970 tale politica fu coronata dall’ammissione all’Onu e dalla cooptazione fra i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza con diritto di veto. Alla rottura con Mosca fecero da contrappeso l’apertura agli Stati Uniti che prese il via dalla visita del presidente americano Nixon, nel febbraio 1972, e il trattato di amicizia con il Giappone nel 1978.
Il mezzo culturale che darà voce a questo travagliato periodo sarà proprio la poesia. Tra la fine degli anni cinquanta a Pechino nascono i cosiddetti “saloni letterari”, eufemismo per designare gli sparpagliati ritrovi di eterodossi amanti dell’arte, circoli underground in cui si leggono, si scambiano, si criticano e si scrivono poesie e in cui si può accedere anche a testi stranieri e proibiti. Uno di questi è quello di Xu Haoyuan, a cui approdano come cantanti dilettanti anche Duo Duo e Genzi.

A causa della censura circolano soltanto manoscritti. La mancanza di documenti scritti non ci permette di ricomporre i tasselli degli eventi di quel periodo, la cui storia è affidata a volubili resoconti orali.

I poeti che emersero in quegli ambiti furono Guo Lusheng, conosciuto come Shizhi, e Yi Qun. Guo, oggi cinquantunenne, era, appunto, uno dei più famosi poeti underground, la sua versificazione era regolare, ricca di parallelismi, tradizionali nella poesia cinese; durante i primi anni della Rivoluzione Culturale, le Guardie Rosse copiavano a mano le sue poesie e se le recitavano a vicenda, faccenda che venne alle orecchie della moglie di Mao, Jiang Qing, suscitandone l’ira. “Durante la rivoluzione culturale, nessuno possedeva un’arte o una cultura propria,” afferma il poeta Mang Ke, “le poesie di Guo erano qualcosa di libero”. Shizhi ha pagato dolorosamente per le sue passioni politiche; nonostante la sua condizione di underground, egli non fu mai imprigionato e la sua malattia, diagnosticata negli anni ’70 come schizofrenia, ha radici cliniche, non politiche, anche se avvertì pesantemente l’uncino della rabbia di Jiang Qing: ella denunciò i suoi lavori come “malsani” nel 1970. Poco dopo, Guo cadde in depressione e la sua famiglia lo affidò a case di cura; il suo collasso, secondo gli amici, fu causato dal caos che consumò la sua gioventù. Oggi le poesie di Shizhi vengono nuovamente lette; anche se dissotterrare dettagli di lotte di potere è ancora un tabù, la letteratura della Rivoluzione Culturale si fa sempre più abbondante, attirando i compagni della generazione di Guo, disillusi radicali, presi dalla frenesia politica. Una collezione delle poesie di Guo fu pubblicata nel 1998, ed un’altra dovrebbe essere pubblicata quest’anno. Egli è stato recentemente insignito di un premio letterario.

Scrive Van Crevel (1) : “le sue poesie sono spesso di natura narrativa: narrano storie con una chiara coerenza, lungo le linee di una logica quotidiana e non colpiscono il lettore a causa della frammentarietà o della misteriosità in nessun modo. A volte l’autore stabilisce cosa un’immagine intenda rappresentare, rompendo, così, in modo prematuro l’incantesimo della poesia. Guo è all’apice della sua forza quando evita di fare digressioni, lasciando l’immaginario a se stesso e al lettore. […]

Canuti intellettuali rievocano la purezza di tono nella sua famosa poesia “Credere nel futuro”, la quale dà voce alla speranza e al dolore di un animo perplesso. In un’altra, scritta quando aveva sedici anni, dei pesci in un canale coperto dal ghiaccio nuotano disperatamente ma (al contrario dei pesci della poesia “pesci asfittici” di Gu Cheng) invano per raggiungere la libertà dei tiepidi raggi del sole; secondo Lin Mang, editore della collezione del ’98, i versi si riferiscono alle Guardie Rosse, che prima crederono nella Rivoluzione Culturale, ma poi scoprirono di essere state usate.

Guo esprime stupore per la nuova popolarità dei suoi lavori. Egli è ancora appassionato di politica, è rimasto molto deluso dal bombardamento della NATO all’ambasciata cinese di Belgrado. In recenti interviste ha animatamente recitato le sue poesie e discusso circa i suoi lavori stranieri preferiti. Ora è una celebrità non solo fra i letterati ma anche al ospedale psichiatrico fuori Pechino, dove divide una stanza spartana con altri due pazienti. “Guo è stato in un manicomio per venti anni,” dice il critico letterario Bei Ling, “quindi non ha nemici”, a suo modo è libero.

Yi Qun, nato nel 1947, popolerà l’ambiente underground dopo Guo Lusheng con poesie come “Centenario della Comune di Parigi”, permeata di retorica rivoluzionaria, ma originale nella forma (il poeta adotta il verso libero, considerato come una forma di alienazione di classe, che, però gli precluderà la pubblicazione) e come “Via Chang’an”, poesie che verranno lette in tutta la Cina seppur assenti nei circuiti ufficiali.

Egli sarà eclissato da Genzi, il quale nel 1972 diverrà una figura prominente nel salone di Xu Haoyuan, ma la cui carriera sarà molto breve: nell’estate del 1973 sarà infatti preso di mira dalla polizia che gli confischerà alcune delle sue carte; l’Istituto di Ricerca per la Letteratura Cinese dell’Accademia delle Scienze giudicherà, tuttavia, innocuo il suo lavoro, ma nonostante ciò Genzi non riprenderà a scrivere.

Autoritratto di Genzi (poesia, Marzo 2004)

Vestiti, in verità con un’anonima uniforme militare blu scura, le Guardie Rosse erano giovani studenti e operai che dimostravano contro i metodi autoritari di professori e funzionari, attaccandoli con i tazebao, manifesti scritti a mano, costringendoli a sfilare in pubblico e coprendoli di insulti di ogni sorta. Ben lungi dall’essere una manifestazione di spontaneità , le Guardie Rosse rappresentavano una manovra di massa abilmente diretta dal vertice del partito contro gli oppositori interni: un’intera leva di dirigenti venne emarginata per anni.
I giovani che non prestarono servizio nelle G.R., all’avvio della campagna shangshan xiaxiang, per non mostrarsi contrari alla politica del governo, dovettero arrangiarsi e spostarsi da sé.

La professoressa Tamburello scrive :” […] è opportuno sottolineare uno degli elementi di cambiamento della società indotto dalla Rivoluzione Culturale: lo smembramento di uno dei cardini della società cinese –la famiglia- per motivi politici. La delazione e la denuncia, anche dei propri familiari, da un lato, l’allontanamento di questi per detenzione o altre misure di rieducazione politica dall’altro, contribuiscono pesantemente al disfacimento dei nuclei familiari e al susseguente problema di perdita di un punto di riferimento forte per molti giovani […]” (2). Si avverte, tra i versi del ’71 di Genzi una fosca tinta di nostalgia per la famiglia, sentimento condiviso da molti suoi coetanei: “il terreno si crepa…/ quando ero piccolo, di sera,/ nel foyer del teatro, mi addormentavo. / con la testa appoggiata alla spalliera del sofà in pelle,/ freddo frizzante come le braccia della mamma. / come si trova in alto / il lume verde da tavolo di papà!/ mormoravo parole in sogno. / spegni la luce, mamma. / continua a raccontare. / ieri sei arrivata fino a zio Onegin…/A quel tempo ero ancora piccolo, non riuscivo a capire/ perché papà / anche se era così tardi, non spegneva ancora la radio.” (3); nostalgia imperante lacera anche nella lirica “Non ci sei” di Mang Ke: “questo cortile è la tua casa/ nessuno a far pulizia/ in rovina/ proprio come il mio cuore adesso/ così troppo quieto da risvegliare gli altri/ un’eccessiva sensazione di perdita/ e sentire invece il proprio corpo più leggero ancora di un’ombra/ uscire dalla propria ombra/ per evitare di tornare a preoccuparsi/ per evitare la riluttanza a separarsi/ entrare nel proprio cuore/ ma non riuscire a vedere quel tuo profilo forte/ e quello tuo sguardo rivolto a me/ solo una luce confusa, spezzata/ cade per terra/ triste, priva di suono/ ti ho amato troppo/ e solo ora capisco quanto solo possa essere un cuore/ quanto misero, vuoto/ ti ho atteso troppo/ e solo ora d’un tratto mi è chiaro che questo cortile è la tua casa/ ma tu non ci sei” (4); sa di definitiva recisione del cordone ombelicale che legava Shizhi alla sua infanzia/adolescenza, la sua poesia “Questa è Pechino alle 4 e 08 minuti”del 20 Dicembre 1968: “questa è Pechino alle 4 e 08 minuti/ movimento ondoso di un mare di mani/ questa è Pechino alle 4 e 08 minuti/ suono prolungato di un fischio stridulo/ imponente struttura della stazione di/ Pechino/ improvviso un violento scossone/ spaventato guardo fuori dal finestrino/ senza sapere che cosa accada/ in cuor mio d’un tratto un dolore, di certo è/ l’ago con il filo con cui mia mamma attacca i bottoni che è penetrato in petto/ in questo momento il mio cuore si trasforma in un aquilone/ il filo dell’aquilone è nelle mani della mamma/ il filo si è teso troppo, si spezzerà/ non posso fare a meno di allungare il capo fino al finestrino del vagone/ proprio adesso, proprio in questo momento/ capisco che cosa accade/ – un’ondata di saluti di commiato/ spazza via la stazione/ sotto i miei piedi Pechino/ lentamente già si muove/ ancora una volta agito la mano verso Pechino/ penso di afferrare l’orlo del suo abito/ quindi verso di lei grido con affetto: “ricordati sempre di me, mamma, Pechino/ infine afferro qualcosa/ la mano di chiunque essa sia, non posso lasciarla/ perché questa è la mia Pechino/ questa è la mia ultima Pechino (5). Continua la Tamburello:“Al tempo stesso e per contro, questi giovani abbandonati a se stessi fanno esperienza per la prima volta di una totale autonomia di gestione. Anche questo va ad intaccare un altro cardine della cultura cinese: il rispetto per gli anziani, custodi delle tradizioni del Paese. L’autonomia di gestione ha come conseguenza, fra l’altro, anche l’autoformazione. Per potersi recare nelle campagne, i giovani devono lasciare la scuola: se vogliono, studiano ciò che preferiscono lontani dalle scuole che da sempre in Cina formano l’individuo ortodosso. Di nuovo un caposaldo della cultura cinese intaccato dagli sviluppi rivoluzionari.[…] Tra i giovani cinesi degli anni Sessanta circola un sentimento di disillusione. L’esperienza del dolore li sta avviando verso la maturazione di una visione più critica: la ricerca non si volge verso un ideale di bellezza e muove invece verso una sorta di riassestamento, quasi a voler fare il punto della situazione”. Tra questi giovani vi erano i tre poeti Duo Duo, Mang Ke e Genzi, i quali tra il 68 e il 69 optarono per Baiyangdian nello Hebei . Duo Duo vi sarebbe rimasto solo pochi mesi per via di un’epatite che lo costrinse a tornare nella capitale, Mang Ke e Genzi vi soggiornarono più a lungo.

Baiyangdian, che è un’area lacustre in cui l’attività predominante è la pesca, era nota soltanto per la fierezza dei suoi abitanti, che durante la guerra sino-giapponese non si erano mai lasciati soggiogare dai nemici. Questa località era avvantaggiata dalla vicinanza alla capitale e, infatti, secondo Song Haiquan quella di Baiyangdian sarebbe una cultura di tipo prettamente urbano (6). I giovani studenti potevano lavorare al mantenimento degli argini e potevano pescare, ma la gente del posto preferiva che non lo facessero, poiché inesperti.
Molti giovani si riunirono a Baiyangdian, e il luogo, nonostante le restrizioni della politica governativa, era accalorato dalle loro chiacchierate segrete sui temi più disparati. L’amicizia che legava fin dall’infanzia Mang Ke, Duo Duo e Genzi anche a livello poetico, aveva creato l’idea di una presunta scuola di Baiyangdian facente capo ai tre poeti. Questa idea esprime chiaramente l’influenza esercitata dai “tre moschettieri” sugli intellettuali del tempo: molti poeti post-rivoluzionari si formarono proprio a Baiyangdian.

Duo Duo, Genzi e Mang Ke si stabilirono nel villaggio di Dadiantou, spostandosi di tanto in tanto in altri villaggi e raggiungendo sovente Pechino dove stabilirono legami con la cultura underground . Conducevano quella che Song Haiquan, il quale si trovava a Baiyangdian in quel periodo, denomina “jingshen de liulang shenghuo”, una “vita errabonda dello spirito” (7). Liulang, “vagabondare”, resterà uno dei concetti basilari della vita culturale di quegli anni. Insieme agli altri giovani di Baiyangdian, discutevano di filosofia, di arte, di attualità, dandosi l’un l’altro il proprio contributo formativo e, spesso, creativo.

Essi provenivano da famiglie di intellettuali, bersaglio della lotta politica o erano figli di dirigenti di partito caduti in disgrazia a causa delle lotte di fazione; si sentivano improvvisamente esclusi dal corso degli eventi storici, e fu proprio questa loro condizione che li spinse a riflettere lucidamente circa tali eventi. Indicativa a tale riguardo è la lirica “Che giorno è oggi” di Mang Ke: “che ore sono/ ti chiedo un’idea di tempo/ quale tempo? Dov’è il tempo/ il povero tempo si ritrae nella conchiglia dell’orologio/ scura la luce della lampada/ (forse questa è la tua pelle)/ cristallino il bicchiere/ (tu folle sembri baciare un’acqua che scorre nuda)/ nessuno guarda/ (le membra dell’acqua ondeggiano fascinose)/ agitata l’aria/ tutt’intorno vapori di gioia/ un altro bicchiere!/ non starci a pensare/ ma che tempo e non tempo/ sai quanti anni ha il tempo/ nessuno ci fa caso/ non siamo ubriachi/ (solamente il bicchiere farnetica)/ nessuno va via/ (che giorno è oggi)/ pensa e ripensa/ lo sai?/ oggi è per certo lontanissimo da noi” (8).

Mang Ke (poesia, Marzo 2004)

Il prof. Van Crevel (9) asserisce che “Mang Ke fu il primo a sviluppare un modo di espressione individuale e maturo nella poesia Sperimentale scritta a Pechino e dintorni attorno ai primi anni Settanta. I suoi primi versi datano 1970 e trovano come primi lettori i suoi amici nel 1971. Mang Ke utilizza un lessico semplice, preciso e a volte ripetitivo, e un numero limitato di immagini ricorrenti. In una miscela di buon senso e fantasia, forze della Natura come giorno e notte, sole e vento, sono personificate e dotate di attributi umani o animali come occhi, capelli o capacità di piangere. Hanno relazioni ambigue ma intime con i protagonisti, di solito denotati da pronomi personali. In verso libero con rime non cospicue ma frequenti e ritmo, il suo poetare si distingue per la fluente dizione più che da qualsiasi altra cosa.

I giovani di Baiyangdian, come i loro coetanei sparsi per la Cina, attingevano da qualunque fonte disponibile, legale o illegale che fosse, cinese o straniera (tra i più importanti autori stranieri leggevano Sartre, Baudelaire, Keruac), e prendevano ispirazione dalle opere lettere per analizzare la situazione in cui erano precipitati. Erano particolarmente eccitati dalle traduzioni di opere estere, in quanto facenti parte degli huangpi shu, ossia dei libri dalla copertina gialla, che sarebbero dovuti rimanere segregati nelle case dei quadri dirigenti e degli intellettuali di alto livello, in quanto considerati nocivi alle masse. I libri passavano misteriosamente di mano in mano e nessuno si curava della loro provenienza; tutti, però, erano ansiosi di nutrirsene, passavano intere nottate a copiare e a leggere e i possessori di libri godevano di estremo rispetto. Genzi, ad esempio, figlio di un drammaturgo e di un’attrice di teatro spesso assenti da casa, fin da bambino, poté soddisfare la sua brama di conoscenza consultando le migliaia di libri della biblioteca privata del padre, leggendo quasi esclusivamente classici occidentali. Ma siccome né Genzi, né nessun altro a Baiyangdian conosceva idiomi stranieri, i giovani studenti erano costretti a leggere traduzioni, o meglio, adattamenti o interpretazioni, svolte da noti intellettuali che colmavano, così, la mancanza di lavoro.
Peng Gang, pittore attivo in quel periodo, si sofferma sull’importanza che rivestiva la cultura occidentale: “per dirla in modo esaustivo, il nostro essere avanguardia significava venerare l’Occidente, non solo la letteratura e l’arte occidentali, ma anche l’emancipazione occidentale, l’emancipazione individuale. In Cina non esistevano” (10).

A proposito dell’emancipazione individuale la Tamburello scrive11: “centrale nella poesia di Mang Ke, di Genzi, di Duo Duo è l’io, in cinese wo. Ritorna questo wo, incessantemente. Appare sperduto, umiliato confuso. Ma non è un io che indulga all’auto compassione. Tutt’altro. è un io che nel riconoscimento di brandelli di cuore, di molecole di coscienza ancora vivi dopo la devastazione ricrea quel filo di speranza che dà all’individuo dignità e forza.

Note

1 – Underground Poetry in the 1960s and 70s, Modern Chinese Literature, vol.9 1996
2 – mensile “Poesia” nº181, Marzo 2004,pag.36
3 – Genzi, Marzo e la fine, Baiyangdian, pag33-35
4 – mensile “Poesia” Marzo 2004 pag.41
5 – mensile “Poesia“, Marzo 2004, pag.35
6 – Zhan Ming e Liao Yiwu, Chenlun de shengdian. Zhongguo 20 shiji 70 niandai dixia shige yi zhao, Xinjiang qing-shaonian chubanshe, Urumqi, 1999, p.247
7 – Zhan Ming e Liao Yiwu, Chenlun de shengdian. Zhongguo 20 shiji 70 niandai dixia shige yi zhao, Xinjiang qing-shaonian chubanshe, Urumqi, 1999, p.240
8 – mensile “Poesia” Marzo 2004 pag.40
9 – Underground Poetry in the 1960s and 70s, Modern Chinese Literature, vol.9 1996
10 – Zhan Ming e Liao Yiwu, Chenlun de shengdian. Zhongguo 20 shiji 70 niandai dixia shige yi zhao, Xinjiang qing-shaonian chubanshe, Urumqi, 1999, p.190

DAL DOPO MAO AI GIORNI NOSTRI

La nera notte mi ha dato occhi neri
E io con essi vado a cercare la luce
Gu Cheng 1979

Il lasso di tempo di tredici anni, tra il decesso di Mao nel ’76 e l’incidente del Quattro Giugno 1989, è stato un periodo di sperimentazione, modernizzazione, e contraddizione. Sembrava ci fosse nell’aria qualcosa di veramente nuovo, liberale, moderno, come non si era mai visto nella RPC; ovviamente la sensazione fu smentita nel ’89: in realtà la repressione non era mai cessata. Una delle caratteristiche peculiari di questo periodo è la rapidità spropositata con cui è stata introdotta e assimilata da parecchi intellettuali cinesi la cultura moderna e post-moderna dell’Europa e delle Americhe. Il caos della Rivoluzione Culturale non aveva permesso a molti cittadini un’adeguata istruzione, e in aggiunta la grande influenza del Mao wen ti, uno stile di cinese scritto ispirato ai classici marxisti, ben lungi dall’essere considerato un cinese moderno, corretto, gradevole e fluente, castravano lo sviluppo di uno stile personale da parte degli scrittori, quasi ormai autodidatti in materia di lingua e arte.

Il 4 Aprile del ’76, il popolo decise di radunarsi in piazza Tiananmen e di decorare, in onore di Zhou Enlai, con ghirlande e poesie i piedi del monumento agli Eroi del Popolo. Le autorità ovviamente non gradirono il cordoglio per un leader considerato antagonista e rimossero gli addobbi e gli scritti. Il giorno dopo, il 5 Aprile, la folla si radunò nuovamente in piazza; l’esercito vi si oppose con la forza causando morti e feriti.

Le “Poesie di Tiananmen”, scritte sulla falsariga di canzoni popolari, ebbero, durante il corso di questo avvenimento, un ruolo cruciale: furono strumento di protesta, di critica contro il malgoverno di quegli anni. L’evento fu bollato come “contro-rivoluzionario”, ma nel ’78, sotto il governo di Deng Xiaoping, ad esso fu conferita la dignità di movimento “del tutto rivoluzionario”; allo stesso tempo la poesia underground, cominciava ad uscire allo scoperto e ad essere letta da un maggior numero di persone. Tuttavia questa clemenza da parte del governo fu soltanto temporanea, infatti dopo le prime recite non ufficiali ma pubbliche, organizzate da Jintian, scattarono una serie di arresti e condanne.

La prima letteratura veramente nuova dopo la Rivoluzione Culturale fu la cosiddetta “letteratura delle ferite” degli anni 1977-1978, permeata delle storie delle sofferenze personali di coloro che, durante la rivoluzione, erano stati maltrattati, perseguitati o privati dei diritti. A partire dal ’79 emerse poi la “letteratura di apertura”, il “neorealismo” cinese, il cui tema principale era l’amore individuale in contrasto con le norme collettive.
In questi anni si assiste alla riabilitazione di molti scritturi espulsi, in precedenza, dalla scena letteraria per ragioni politiche, e al nuovo interessamento verso scrittori prima del tempo messi in disparte durante la travagliata rivoluzione. Tra questi figurano i poeti del gruppo delle “Nove Foglie”(nome tratto da un’antologia) attivi negli anni ’40. Due poetesse dalla sofisticata qualità contemplativa, in particolare, si guadagnarono la debita stima: Chen Jingrong (1917-1989) e Zheng Min (1920-).

Negli anni 1978-79 cominciò a circolare, pubblicata clandestinamente in Cina, una coraggiosa letteratura associata al Movimento Democratico; tra gli scrittori più eminenti di questo canale comparivano giovani poeti che negli anni ottanta avrebbero ottenuto fama nazionale. La rivista alternativa Jintian (Oggi) pubblicava versi di Bei Dao (Zhao Zhenkai, 1949-) e Gu Cheng (1956-1993), poeti sperimentali, la cui poesia venne chiamata “menglong shi” (poesia “oscura”), nome che intendeva essere denigratorio. Alcuni studiosi, a proposito, ritengono che buona parte di questa poesia menglong non sia da reputarsi cinese, in quanto non assomiglia per nulla alla poesia tradizionale e millenaria di questa cultura e andrebbe piuttosto considerata come una versione orientalizzata del modernismo europeo ed americano.

Nella geopolitica del mondo contemporaneo, il regno di mezzo è un gigante dai piedi d’argilla che si muove a passi celeri verso un futuro da superpotenza economico-politica. Gli anni Novanta , decade che ha mostrato una crescita annuale del PIL pari a circa il dieci percento, hanno assistito al traboccare di artisti cinesi in svariati campi culturali: la narrativa, le arti visive, la musica, il cinema, l’architettura, la poesia. Punto di svolta nell’elaborazione letteraria ed artistica è stato il massacro di piazza Tian’anmen, per gli intellettuali cinesi una sorta di lampante e drammatica epifania, come lo fu per l’ Occidente l’invasione di Praga nel ’68 da parte dei sovietici. La dittatura era senza dubbio evidente a tutti, ma nell’anno della caduta del Muro di Berlino, del tracollo di dittature come quella atroce che dominava la Romania, non si credeva avverabile una reazione così cruenta da parte dell’esercito cinese. Molto meno sensazionale, ma non meno indicativo, è stato il passaggio di Hong Kong, nel 1997 da Londra a Beijing; Hong Kong era per molti una specie di simbolo, una fortezza democratica sulle sponde dell’impero comunista cinese. Solo ad Hong Kong si manifestò in piazza, in segno di solidarietà verso gli studenti uccisi nella capitale, e qui, nel 1991 e nel 1995, si tennero le uniche due elezioni democratiche, entrambe con esito favorevole al Partito Democratico. Prima della restituzione della città alla Cina, una radio libera, The Voice of Democracy, organizzava dibattiti, manifestazioni di carattere civile e politico, incontri e la radio, pure, ospitava intellettuali; nel luglio 1997 è stata costretta a chiudere. Alcuni pensavano che il nuovo baluardo democratico sarebbe stato Singapore, ma questa città-stato dall’altissima concentrazione di etnie malesi, indiane e cinesi, ha visto, al contrario, ben poca democrazia.
Negli ultimissimi anni, numerosi scrittori hanno lasciato la RPC per trasferirsi in modo più o meno definitivo all’estero. I loro scritti più recenti manifestano chiaramente il confronto con l’occidente e il tentativo di riconciliazione con il passato. La situazione della cultura artistica e letteraria in Cina oggi è particolarmente ambigua e instabile; le politiche governative ora si possono considerare una mistura tra la tradizione mandarinale dell’arte per ammaestrare il popolo, e l’intrattenimento di massa. Claudia Pozzana, asserisce: “Quanto ai saperi letterari stabiliti […]in generale vi si prolunga tuttora, pur estenuata, una visione dell’arte di tipo <>, che ha saldato per decenni l’immaginario burocratico socialista alle rovine di quello confuciano, e che oggi risulta magari anche integrata da un po’ di umanesimo ferito, e da alcuni elementi sparsi tratti dalle tecniche della critica letteraria occidentale moderna. Ma tutto ciò non fa che confermare la generale depressione intellettuale, o <>, cinese” (1).
L’importantissima rivista Jintian, che ha trovato una seconda vita fuori dalla Cina, prima in Svezia e poi negli Stati Uniti, grazie ad alcuni poeti in esilio, e la rivista Qingxiang, stampata ad Hong Kong (che si scontra col veto ufficiale alla distribuzione in Cina) sono state fondamentali punti d’incontro per questi scrittori, tra cui Bei Dao, Duo Duo, Yang Lian (1955-) e Gao Xinjian (1940-).

I poeti della “nuova generazione” sono intrappolati tra il rigetto dell’ideologia comunista e il disgusto per l’inesorabile ascesa della cultura di massa capitalista. Affrontando la minaccia di perdere la propria identità e soggettività, avvertono un bisogno urgente di trovare un punto d’appoggio sia a livello locale che globale, in un contesto di rapido sviluppo e mutazione. Agli occhi dei poeti della “nuova generazione”, la fede nella verità, nella perfezione, nell’umanità, il metodo imagistico e simbolico di scrittura, tipici dei menglong sono ormai superati. Il compito più importante ora non è più la celebrazione dell’eroismo e dell’idealismo utopico, ma consiste nello spogliare della decenza, della bellezza e del sublime il linguaggio e l’arte: le poesie della “nuova generazione” tendono a sottolineare l’eterna oscurità e bruttezza della natura umana, sono caratterizzate da fratture e discontinuità, dalla differenza più che dall’identità e dall’enfasi di ristabilire una relazione pura tra parole e oggetti.

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